
Il futuro di cinema e serie – Dalla quarantena alla ripartenza
A cura di Nicolò Villani e Luca Ieranò
Giunti ormai a una nuova fase della gestione comunitaria e internazionale della quarantena, che porta con sé i prodromi di una progressiva e graduale ripartenza delle attività finora bloccate, appare opportuno volgere uno sguardo più attento su come le contingenze degli ultimi mesi abbiano colpito la produzione e la distribuzione di cinema e serie, in modo da tracciarne uno scenario futuro. In particolare, il costante interrompersi del regolare funzionamento dell’industria mediale, unito alla diversa temporalità vissuta da ogni persona nella propria abitazione, ha inciso sulle abitudini di consumo audiovisivo degli ultimi mesi, aprendo scenari inediti e per certi versi molto complessi per il futuro del cinema e della televisione.
Nelle diverse parti di questo articolo proviamo a mettere ordine tra gli eventi che hanno portato alla situazione attuale, analizzando in che termini l’attenzione mediale degli spettatori sia cambiata e provando a prospettare quale futuro può scaturire da una ripartenza che appare quanto mai differenziata e parcellizzata, in relazione alle dimensioni e ai diversi interessi che i soggetti del mercato audiovisivo mettono in gioco. Per farlo, utilizzeremo i dati gentilmente fornitici dalla piattaforma JustWatch durante il periodo di quarantena, dati preziosi ma che richiedono un’analisi narrativa e una consapevole interpretazione, legate a un’osservazione complessiva dell’intero ecosistema mediale in cui lo spettatore può ed è indotto a muoversi.
Dalla pausa allo stop – I come e i perché del fermo dell’industria
Per comprendere i motivi e lo svolgersi ordinato degli eventi che hanno portato a un fermo pressoché totale dell’industria audiovisiva, nelle sue due principali arterie operative – produzione e distribuzione – occorre sottolineare quanto questi due ambiti siano strettamente interconnessi e come ogni singola componente del mercato, come l’ingranaggio di un delicato motore, porti con sé il funzionamento dell’intero equilibrio industriale. Se inizialmente la chiusura di alcune sale nel nostro Paese poteva far pensare a una momentanea pausa della distribuzione cinematografica – magari lasciando spazio a titoli che avrebbero avuto una vetrina meno ampia in condizioni normali – le conseguenze economiche di quelle chiusure portavano già in nuce gli effetti che si sono riverberati nell’intero mondo produttivo, prima ancora, idealmente, che questo fosse costretto a fermarsi per motivi di distanziamento sociale. Ma andiamo con ordine.

Le iniziali misure cautelari prese in regione Lombardia – estese poi ad alcune province del nord – verso la seconda metà di febbraio hanno portato a una chiusura anticipata di molte sale cinematografiche; questa chiusura, è da dirlo, si è fatta sentire soprattutto per il peso specifico in termini economici che quei territori portano con loro in termini distributivi: si stima che la chiusura di quelle sole zone potesse abbattere di circa il 35-40% il fatturato medio di una pellicola a distribuzione nazionale. Neanche a dirlo, questo ha immediatamente fatto sì che le principali uscite previste tra febbraio e aprile venissero rimandate a data da destinarsi: Carlo Verdone, Luca e Paolo, la Pixar, James Bond e diversi altri sicuri protagonisti dell’imminente primavera del 2020 si sono ritirati, lasciando in questo modo più respiro a titoli già esausti (pensiamo alla lunga permanenza nelle sale de Gli anni più belli) o ad altrimenti meno pubblicizzati prodotti in uscita (Il richiamo della foresta e Volevo nascondermi, per citarne due).
Con ingressi ridotti e titoli recuperati dove possibile, le sale si sono ritrovate a dover chiudere su tutto il territorio nazionale a inizio marzo, decretando il rinvio di tutte le uscite già pronte (la Disney ha resistito fino all’ultimo con Mulan e Black Widow, prodotti fortemente pubblicizzati lungo tutto l’inverno). Senza la possibilità di un primo canale di distribuzione, le produzioni non hanno fatto in tempo a correre ai ripari che le misure contenitive hanno costretto al fermo di tutte le riprese, arrivando ad una situazione di totale arresto dell’industria audiovisiva su scala planetaria. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo, tanto le grandi quanto le piccole industrie dell’intrattenimento hanno interrotto le riprese, costringendo a posticipare ogni eventuale uscita. Resta da capire quali strategie muoveranno la distribuzione del materiale già girato e in fase di editing.
I consumi in quarantena – Modi e abitudini dell’entertainment
Come è facile immaginare, durante la quarantena il consumo mediale e dell’entertainment in senso lato si è consumato all’interno delle mura domestiche, affidato ai canali multimediali disponibili in casa: televisione, home video, libri, fumetti e, soprattutto, piattaforme streaming. Come si può facilmente vedere dalla tabella qui riportata, le tre principali piattaforme OTT nel nostro Paese (Netflix, Amazon e NowTV) hanno visto un sostanziale incremento, chiaramente da misurare in relazione al numero di abbonati precedente al lock down; in questo senso, anche se Netflix ha una percentuale sensibilmente più bassa, è ragionevole pensare che questa corrisponda a un numero assoluto più alto rispetto a NowTV.

Questo dato è immediatamente confermato da questo grafico che fotografa l’utilizzo effettivo delle stesse piattaforme: nonostante l’incremento di abbonati, NowTV si pone all’ultimo posto, subito sotto Disney+, che nell’arco di poche settimane dal rilascio (24/03/2020) si è conquistato un posto rilevante nell’economia dello streaming italiano. Appare quindi evidente come, tra aumenti e bilanciamenti, la competizione sullo streaming si è posta da protagonista nella dieta mediale dei cittadini fermi a casa; questo, però, va unito a un differente modo di approcciarsi all’intrattenimento, legato a pratiche di consumo tradizionali e da tempo meno centrali, appartenenti alle logiche palinsestuali televisive.

Se, infatti, l’osservazione di quali titoli del panorama seriale si siano imposti in testa alle classifiche di ricerca degli utenti può legittimamente far pensare a una rincorsa della comfort TV – specialmente sit-com – e dei recuperi di long run (pratiche incentivate dalle release di prodotti che intercettano queste abitudini sulle principali piattaforme negli ultimi due mesi), traspare però un ritorno d’affezione verso il mezzo televisivo in quanto grande “sincronizzatore temporale collettivo” e dispositivo organizzatore dei ritmi, tanto dell’entertainment quanto dell’informazione.

Unendo infatti il dato di un aumento medio di almeno un’ora al giorno di consumo televisivo sul territorio nazionale con quanto riportato nella tabella qui sotto, è facile intuire come la televisione giochi un ruolo più centrale nel dettare l’agenda mediale: la saga di Harry Potter programmata da Mediaset e seguita da Il Signore degli Anelli si è imposta come protagonista di molta discorsività social, dimostrandosi non soltanto elemento di comfort TV, bensì vero e proprio unificatore collettivo e sociale, portando a un incontro intergenerazionale del consumo audiovisivo.

Le logiche di palinsesto diventano modi di utilizzo, con l’implementazione di sistemi come Netflix Party e le iniziative di streaming sincronizzato diffuse sui social (si segnalano gli innumerevoli episodi di Doctor Who visti e commentati in contemporanea con attori e autori, oltre a prodotti Marvel come I Guardiani della Galassia e la serie animata degli X-Men, protagonisti di simili iniziative). Dove i dati ci mostrano una radicale separazione degli usi dei dispositivi – internet diventa luogo dell’entertainment, mentre la televisione è percepita come mezzo d’informazione, come mostrato da una recente ricerca dell’UniPv –, più articolata appare la commistione dei modi, mettendoci di fronte a un’inedita convergenza tra i due aspetti.

Si pone quindi in un’ottica più consapevole la presenza mediale degli utenti nel vasto ecosistema mediale composto dai diversi canali e dispositivi. In questo senso, si mostrano come dubbi e poco consistenti i possibili risultati delle iniziative di distribuzione “a biglietto” dei film che hanno mancato l’uscita in sala – si pensi a Un figlio di nome Erasmus –: difatti i modi sopra descritti si affiancano a quelle modalità della visione in sala che molto spesso fanno la fortuna di titoli simili perché inseriti in una pratica, quella cinematografica, che poco ha a che fare con la centralità del contenuto in quanto tale.

Scenari e prospettive – Il futuro di cinema e serie
Le circostanze di consumo mediale durante la quarantena, unite a un ancor rigiro fermo delle produzioni, delineano un mosaico di scenari per il futuro dell’audiovisivo molto frastagliato e dalle diverse velocità. Anche in questo caso, è opportuno applicare uno sguardo ampio e complessivo per comprendere e ipotizzare al meglio quali conseguenze potranno scaturire dalle premesse sopra tracciate.
Partendo dalle piattaforme streaming ad abbonamento, per quanto queste abbiano notevolmente incrementato il loro numero di abbonati, si troveranno verosimilmente presto a fare i conti con la necessaria limitatezza di ogni catalogo, per quanto vasto. Il grande quantitativo di tempo a disposizione degli utenti durante il lock down ha permesso grandi recuperi, maratone, binge watching e, sostanzialmente, uno sfruttamento “anormale” delle risorse audiovisive contenute nelle diverse librerie. Questo ha due conseguenze: da un lato, il progressivo esaurirsi di contenuti “interessanti” per ogni specifico utente, che, per quanto differenziato, fa sempre più parte di nicchie ristrette di spettatori; da un altro, gli algoritmi che gestiscono i sistemi di raccomandazione hanno subito un sovraccarico di dati d’utilizzo, tanto da poter portare a un malfunzionamento di uno dei principali selling elements delle OTT: il consigliare agli utenti i propri prodotti.
A questo va aggiunto il fermo delle produzioni, con la conseguente mancanza di contenuti da rilasciare durante la prossima stagione autunnale – normalmente foriera di novità sul versate televisivo in senso lato. I pochi prodotti che avevano raggiunto il fine riprese in prossimità del lock down e quindi pronti per la post-produzione (operabile anche in smart working) saranno rilasciati con minuzia e parsimonia dalle diverse piattaforme e dai canali broadcast che ancora ne hanno in carico, prospettando una stagione seriale piuttosto povera e a rischio. Non va, inoltre, sottovalutata l’incidenza di strumenti come Netflix Party, di cui è difficile valutare la pregnanza nelle abitudini di consumo post-quarantena.
Per quanto riguarda la dimensione cinematografica, il discorso si pone prevalentemente in relazione alla proporzione di mercato in cui ogni singola casa produttrice si ritrova ad operare. Come si è iniziato già a vedere, alcuni film non usciti in sala hanno trovato una distribuzione a “bigliettazione virtuale” su diverse piattaforme, altri invece sono rimandati di parecchi mesi, nonostante ci siano diversi canali adibiti ad accoglierli. A tutto questo si aggiunge l’enorme mole di iniziative di solidarietà digitale che hanno modificato equilibri tra valore economico e qualità del prodotto all’interno della fruizione virtuale. Come interpretare tutto questo in maniera sistemica, considerando anche l’incognita dei festival?
Innanzitutto, i film finora usciti con bigliettazione virtuale fanno capo a case di produzione che spesso hanno nel film stesso il fine ultimo del loro investimento economico, che quindi basano la maggior parte del ricavato sulla vendita del biglietto. Se questa grande fetta di produzione – decisamente maggioritaria nella produzione italiana – può verosimilmente coprire iniziative come le sale virtuali, allo stesso tempo incontra un pubblico che va al cinema in quanto pratica e molto raramente con l’obiettivo di vedere un particolare titolo (questo è da pensare soprattutto in relazione all’età media di un certo pubblico in Italia). Questo tipo di iniziative, specialmente se portate avanti con certi costi per niente calmierati in relazione all’ambiente digitale, sono verosimilmente destinate a un riscontro molto basso in termini di pubblico, probabilmente limitato agli appassionati di cinema d’autore.
I film che vedono, invece, la loro data d’uscita rimandata a quando le sale riapriranno, sono per la maggior parte quelli che fanno del prodotto filmico un pretesto per tutto un sistema economico più vasto e frastagliato. Non è un caso che la Disney, nonostante abbia rilasciato da poco la sua piattaforma streaming, stia trattenendo alcuni titoli di grosso richiamo: dietro all’uscita di un prodotto come Mulan non c’è solo il ricavo dalla bigliettazione, bensì anche la vendita di pupazzetti, l’organizzazione di parate nei parchi a tema, l’apertura di attrazioni, ecc. Finché le condizioni dell’entertainment non presenteranno più stabili segnali di vivibilità, è molto probabile che certe grosse corporation faticheranno più di altri nella ripartenza a pieno regime.

Di fronte al mercato audiovisivo si pone, quindi, una ripartenza differenziata, fatta di molteplici velocità e, allo stesso tempo, ricca di opportunità per chi volesse porsi in un’ottica dinamica. Nell’immediato futuro, la velocità e il basso costo saranno le parole chiave di un’industria che avrà fame di contenuti, il tutto unito a un universale bisogno di scalabilità, dettato da quella commistione di modi e di dispositivi che si è consolidata durante il periodo della quarantena. Lo spettatore filmico della ripartenza è uno spettatore più consapevole di quello che usa, meno disposto a calarsi nell’abitudine e spesso incline a cercare ritmi da condividere (fattore che porta con sé il rilascio periodico dei contenuti a episodi); allo stesso tempo, è uno spettatore che aspetta il ritorno in sala come luogo dello svolgersi di pratiche di visione collettive, umane, da abitare e che quindi difficilmente scende a patti con una virtualità non concorrenziale e più asettica che anastatica.
Quello che ci si augura, anche da un punto di vista di osservatori e critici, è che la ripartenza porti con sé una consapevolezza d’intenti e di misure, perché il mercato audiovisivo, già non stabile e ben poco definito nella sua eterogeneità, sappia configurarsi nella lucida presa di coscienza che una chiara e interconnessa struttura è la strada migliore per la coesistenza del delicato ecosistema dell’entertainment.
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