
Black Widow – Montagne Russe
I parchi a tema Marvel Studios con tanto di montagne russe hanno riaperto dopo due anni. Era infatti il luglio del 2019 l’ultima volta che abbiamo visto i Marvel Studios al cinema e, se si esclude la ingiustamente sottovalutata parentesi dei The New Mutants, sono stati due anni di completa astinenza della Casa delle Idee sul grande schermo. Due anni in cui il film di Black Widow si è fatto attendere e desiderare, prima come un doveroso riscatto di un personaggio prematuramente scomparso, poi inevitabilmente come un ritorno a una tanto agognata normalità. Insomma si chiedeva tanto al film su Natasha Romanoff e sicuramente neanche la regista Cate Shortland poteva immaginare che le aspettative del pubblico, per cause indipendenti dalla volontà di tutti, sarebbero aumentate esponenzialmente in questo lasso di tempo. Con Black Widow la Marvel inaugura la fase 4 del MCU in maniera assolutamente tradizionale e in linea con il suo rodato medito produttivo: come vediamo in questa recensione, ne risulta un film prevedibilmente sorprendente su certi aspetti, inaspettatamente prevedibile in altri e in fin dei conti più che godibile. E siccome le aspettative erano tante, proviamo a incanalarle in cinque domande (e possibili risposte) assolutamente spoiler free per chi ancora vuole capire se tornare in sala coi Marvel Studios o meno.

1. Com’è il film Marvel su Black Widow?
Bello. Non esageratamente bello, né del tutto originale, specialmente se comparato ai “colleghi” a marchio “Captain America” come The Winter Soldier e Civil War, ma comunque un buon film che rende giustizia (sia pure in ritardo) al personaggio interpretato da Scarlett Johansson negli ultimi dieci anni. La Johansson qui ci regala una performance fisica e attoriale all’altezza delle aspettative e ormai lontana dalla fredda femme fatale che abbiamo conosciuto in Iron Man 2. Dobbiamo però subito mettere in chiaro una cosa: Black Widow non è un film sull’empowerment, né vuole lontanamente esserlo. Non è in altre parole un replay delle atmosfere di Captain Marvel, che dichiaratamente voleva essere empowerment-centred, ma un film dove i personaggi sono già ampiamente “empowered”. Le Vedove Nere (perché non sarà sorpresa per nessuno sapere che ce ne sono più di due) hanno già compiuto il loro viaggio di formazione e ciò che accade nel film ha poco a che fare con la loro crescita personale e più invece con un regolamento di conti. Certo è un po’ amaro constatare che per la seconda volta un personaggio femminile protagonista di una pellicola Marvel Studios possa trovare il suo spazio soltanto in un tempo non suo, ovvero nel passato. Un trend al quale non sfugge neanche la DC Comics con i suoi due Wonder Woman se ci pensiamo. Quasi come se si volesse dire che i protagonisti femminili possono avere il loro spazio, ma non ancora il loro tempo, il quale spetta prima ai personaggi maschili. Così Black Widow si ambienta subito dopo Captain America: Civil War e va prevedibilmente a colmare tutti quei vuoti narrativi del personaggio che nelle prime tre fasi del MCU erano stati appena accennati.

2. Black Widow è fedele ai fumetti Marvel?
Durante una spettacolare sequenza di apertura, contornata da una cover altrettanto spettacolare di Malia-J di Smells like teen spirit dei Nirvana, leggiamo chiaramente che il film è “ispirato ai fumetti Marvel” e non basato. E meno male, perché in pieno stile Marvel Studios assistiamo ancora una volta a una quasi totale riscrittura di molti personaggi classici. Red Guardian, che nei fumetti è nientemeno che l’ex marito di Natasha, interpretato qui da un David Harbour mai così tanto a suo agio in un ruolo, è una figura paterna bonaria sulle cui spalle pesa tutta la parte comica del film. A differenza di altre spalle comiche, però, il personaggio di Aleksei Shostakov non appare mai forzato o eccessivo nei suoi momenti di leggerezza, ma addirittura coerente con le atmosfere più seriose della storia. La riscrittura si estende anche al personaggio di Melina, non più una nemesi di Natasha come nei fumetti dall’improbabile nome di “Iron Maiden”, ma una figura materna elegante e malinconica che porta il familiare volto di Rachel Weisz. Forse però la riscrittura più sorprendente è toccata al personaggio di Yelena Belova, nei fumetti storica villain di Natasha e degli Avengers in generale, qui è invece una vera e propria sorella adottiva della protagonista. Il rapporto tra Natasha e Yelena è uno dei punti focali dell’intero film, giocato interamente sulle differenze d’età delle due: se infatti Natasha è una giovane donna provata dall’esperienza sul campo di battaglia come spia e Avenger, Yelena è una millennial più cinica e arrabbiata, divisa tra ammirazione e disillusione verso la sorella maggiore. In particolare, Florence Pugh incarna alla perfezione quell’atteggiamento caustico e diffidente che porta i più giovani a irridere qualunque modello si presenti loro davanti («ma davvero fai quella posa?»).

3. Come sono i villain di Black Widow?
I villain non sono un punto di forza del film e ciò non deve stupire. Si può capire molto di un film Marvel già dalla sua campagna promozionale e quando la Casa delle Idee sceglie di non mettere sui suoi poster né il villain principale né di rivelare l’attore di quello secondario, qualcosa vorrà pur dire e cioè che molto probabilmente i villain sono solo funzionali alla storia dei protagonisti e non i loro avversari. Così il personaggio di Ray Winstone è poco più che una proiezione incarnata di un incubo misogino. Sia chiaro, si tratta di un ruolo perfettamente funzionale appunto alla trama del film e alla resa dei conti di Natasha e famiglia ma non aspettatevi un memorabile villain Marvel. Discorso a parte merita il misteriosissimo Taskmaster, il quale lascerà a bocca asciutta chi si aspettava un’introduzione dell’iconico personaggio dei fumetti. Nulla da dire sulle perfomance fisiche dello stuntman che lo interpreta, Taskmaster in questo senso è davvero una micidiale macchina da guerra che imita alla perfezione gli stili di lotta di chiunque e a tratti sembra di vedere l’inarrestabile implacabilità del Soldato d’Inverno. Ma a film concluso, chi conosce il personaggio dei fumetti non potrà che concordare: quello non è Taskmaster.

4. Com’è la regia?
Cate Shortland dirige un film che definire d’azione è dir poco. Sicuramente non ha diretto un film pensato per lo streaming casalingo, quindi il primo doveroso consiglio di visione è di andare a vederlo al cinema se possibile. Non è concepibile vedere che sullo schermo del tablet le impressionanti sequenze d’inseguimento o le titaniche slavine di metà film. Certo a volte si ha un po’ l’impressione che certe scene siano decisamente esagerate per il tipo di film che si sta guardando, oltretutto se consideriamo che specialmente gli inseguimenti, a piedi o in macchina, soffrono dei difetti tipici di molti film d’azione, ovvero di essere esagerati e spericolati ma nonostante tutto innocui per le protagoniste (difficile credere che si possa sopravvivere a così tanti ribaltamenti in automobile semplicemente mettendo la cintura). I combattimenti sono belli e ben coreografati, nonostante a volte la regia arranchi un pochino dietro al dinamismo barocco di certe scene. La sequenza finale poi è pura esagerazione scenica ma ancora una volta rinnoviamo il consiglio di cui sopra: se lo vedrete in un cinema, apprezzerete lo sforzo della produzione.

5. E la scrittura?
Coerentemente con la regia, anche la scrittura si dimostra a tratti esagerata e barocca. Probabilmente il problema più grosso è la forzatura di un personaggio come Black Widow all’interno dell’abusato stereotipo della famiglia. In questo si avverte tanto (troppo) lo spettro di mamma Disney che hegelianamente si affida all’unità narrativa della famiglia come unico legame tra personaggi all’interno di una storia. Al netto però di questo prevedibile meccanismo narrativo (che comunque riesce a trovare un suo senso all’interno del racconto) non si può che apprezzare il lavoro di sceneggiatura che riesce sapientemente a dosare l’azione più turbolenta a momenti di introspezione anche vagamente teneri. Black Widow, inteso sia come personaggio che come film, è una vera e propria wild ride, un rollercoaster contraddistinto da un ritmo frenetico e intervallato da pause che fanno da salita a vere e proprie discese a capofitto mozzafiato. Insomma delle vere e proprie montagne russe per non dire ex-sovietiche. Non ce ne voglia Martin “Scortese”, ma il cinema è anche questo.
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