
Dalla saga alla miniserie – I formati del seriale
Articolo di Nicolò Villani e Matilde Pieraccini
Il panorama del seriale ha subito, nel tempo, diverse e molteplici perturbazioni, dovute al cambiamento di dispositivi in cui i prodotti venivano fruiti (dai serial su grande schermo fino ai brevi video su smartphone), alle abitudini del pubblico e alle dimensioni economiche di un’industria in continua espansione, che trova nella differenziazione di racconti e di formati la chiave per rinnovare continuamente il proprio appeal sulle audience. In questo articolo, proviamo a fare ordine intorno ad ogni formato della serialità, tra saga, miniserie, serie antologica, procedural e così via, cercando di tracciarne l’evoluzione e la continua commistione, con un occhio attento alle mutazioni in corso. A parità di formato, le serie contemporanee mostrano una tendenza alla riduzione degli episodi – pur mantenendo una forte serializzazione -, con una predilezione per le miniserie e una fascinazione per l’ampio respiro – anche produttivo ed economico – della saga. Con ciò, l’elenco qui sotto si vedrà costantemente aggiornato, con la speranza di rendere conto dello stato dei linguaggi e della loro evoluzione.
La saga – Raccontare i mondi

La saga si definisce come un racconto tendenzialmente infinito, o comunque molto ampio, in cui si trovano intrecciate le vicende di vari personaggi. Ci troviamo di fronte a una saga quando il respiro seriale del racconto appare molto più vasto rispetto alla semplice rappresentazione dei suoi episodi, facendo percepire la presenza di un mondo narrativo potenzialmente senza limiti e dettato più da regole di coerenza dell’immaginario che dalla tenuta dei racconti. Sono casi di saghe – in grado di generare poi diversi formati seriali al loro interno – quella di Star Wars e quella de Il Signore degli Anelli, presto rinominate franchise e innalzate al rango di veri e propri ecosistemi narrativi. Tradizionalmente, si opponeva al concetto di “saga” quello di “serie”, intendendolo come facente riferimento a un solo personaggio o alle sue vicende – si pensi a Sherlock Holmes -, ma col tempo, venendone anche a cadere le ragioni produttive, questa distinzione è sbiadita: chi può dire oggi che quella di Harry Potter non è una saga?
La miniserie – Una questione di densità

Quando parliamo di miniserie pensiamo a prodotti accomunati da un ridotto numero di episodi, da uno sviluppo decisamente orizzontale, dal fatto di presentare narrazioni tendenzialmente chiuse, con un inizio e una fine ben definiti, spesso riprese da eventi storici o adattamenti letterari. Potremmo essere indotti a considerare questo tipo di formato come a metà fra la serialità più tradizionale e il prodotto cinematografico, poiché articola spazi narrativi meno estesi rispetto alla prima, ma offre comunque un respiro più ampio rispetto al secondo. Per fare qualche esempio pratico, citiamo titoli come Unorthodox, A Very English Scandal, Chernobyl, Hollywood o, ancora, Good Omens: prodotti molto diversi e variegati, accomunati dal loro svilupparsi in spazi ridotti, ben definiti, e, ragionevolmente, dalla grande probabilità di essere fruiti in breve tempo dagli spettatori. Per ragioni produttive, la miniserie si è rivelata il formato più di successo del mercato on demand, permettendo un rapido consumo e un immediato ricambio, contenendo le spese di realizzazione e massimizzando l’uscita immediata; anche in contesti dove il formato non è chiuso, il modello della miniserie sta diventato il pacchetto preferito per pensare il racconto audiovisivo (si pensi a The Young Pope e The New Pope di Sorrentino).
La serie antologica – Variazioni sul tema

Pensiamo a un grande classico televisivo come The Twilight Zone, che presenta trame, ambientazioni e personaggi diversi in ogni episodio. Ecco, una serie che definiamo “antologica” si distingue dalle altre fondamentalmente per questo e, anche se la creazione di Rod Serling risale al 1959, la produzione di contenuti seriali di questo tipo non si è esaurita. In tempi recenti abbiamo infatti assistito a un’interessante ripresa di questo formato, sia in senso più classico – come accade con Black Mirror – sia con serie come American Horror Story, Fargo, True Detective, in cui il cambiamento di trama, ambientazioni e personaggio si sposta dai singoli episodi a intere stagioni. Quello che dagli anni Cinquanta non è invece cambiato è che, a far da collante fra i vari episodi o stagioni, ogni serie ha un concetto, un’atmosfera, un modo di affrontare la narrazione comuni; e dalla celebre premessa di The Twilight Zone all’ironia nell’orrore di Fargo possiamo dire che ce n’è davvero per tutti i gusti. Chiaramente, la rinascita della serie antologica è dovuta in buona parte alle possibilità produttive e distributive che i nuovi canali mediali concedono, forti di poter dare sempre qualcosa di nuovo agli spettatori sostenendosi sul successo di modelli già rodati, come accade per The Haunting o la transnazionale Criminal.
Il procedural – L’eterno ritorno del serializzato

Ci sono serie come La Signora in Giallo o Colombo che tutti, bene o male, almeno una volta abbiamo incontrato, indugiando poi con i loro protagonisti per scoprire chi fosse il colpevole del mistero del giorno; ebbene, in quei momenti, consapevoli o meno, abbiamo avuto di fronte classici esempi di serie “procedural“. La definizione sta nei nostri esempi: prodotti seriali costruiti su schemi fissi, con personaggi che si trovano a confrontarsi con qualche caso da risolvere per poi tornare a farlo, con un caso diverso, nell’episodio successivo. A prevalere è la trama verticale, del singolo episodio, e ciò che invoglia noi spettatori a tornare è la costante dei protagonisti, dei mondi che essi abitano, delle situazioni che vivono e il desiderio di vederli affrontare un nuovo enigma; fondamentalmente, in questa ricerca del già noto si trova il funzionamento dell’idea classica di serie, quella precedente all’arrivo delle cosiddette “serie serializzate”, che meritano un discorso a parte. Della stessa natura del procedural vivono prodotti come i Medical e Legal Drama o buona parte delle sit-com tradizionali: quando il focus della narrazione è spostato sul singolo episodio e il procedere del racconto è scandito da situazioni e scenari ben riconoscibili, allora siamo di fronte a un tipo di serie procedurale, che ci sia o meno un caso da risolvere.
La serie serializzata – Dilatare i confini

Il panorama seriale a cui siamo ormai quotidianamente abituati, basato su narrazioni più o meno estese e verosimilmente sempre aperte, è un modo di intendere il racconto che si è consolidato attraverso ibridazioni e sperimentazioni di formato, i quali hanno dato come esito la “serie serializzata”, oggi sempre più ascrivibile semplicemente al termine “serie”. Etimologicamente – e produttivamente – parlando, la serie serializzata mette insieme le caratteristiche della vecchia idea di “serie” – racconto diviso in episodi tutti ben riconoscibili con al centro un personaggio a fare da fulcro – e di “serial” – racconto diviso in puntate, numerate, senza vere e proprie trame verticali in cui le situazioni si succedono in un flusso apparentemente ininterrotto (è il caso delle soap-opera) – dando origine a racconti in cui il piano verticale (singolo episodio) e orizzontale (trama di stagione o di intera serie) si intrecciano, dando forma a stratificazioni complesse del racconto. Fin dalla moderna Golden Age della televisione, con prodotti come Twin Peaks, Hill Street Blues, I Soprano e tutto quello che hanno generato, il modello di serie serializzata si è consolidato come il modo di intendere la serialità estesa, ad ampio respiro, con un orizzonte narrativo ben preciso: tutto ciò che sta tra Il Trono di Spade, Stranger Things, Mad Men e tantissimi altri prodotti va inteso entro questo formato seriale, con ovvie differenze di maggiore o minore “serializzazione”. Il formato della serie serializzata ha sempre più contaminato praticamente ogni altro formato seriale, imponendosi anche come substrato dei racconti procedurali e situazionistici, portando a prodotti come Scrubs, The Big Bang Theory, How I Met Your Mother, Castle, Sherlock, ecc.
La docuserie – Serializzare il reale

Com’è facile intuire, una serie si può definire “docu” quando presenta una tematica o una vicenda utilizzando il linguaggio tipico del documentario: interviste, materiale d’archivio, voice over a fornire informazioni o spiegazioni allo spettatore. Per quanto riguarda lo sviluppo nel corso delle stagioni (o della stagione) e le tematiche affrontate, i prodotti riuniti sotto questa dicitura possono essere molto diversi fra loro. Per fare qualche esempio, con Tiger King o The Family assistiamo a uno sviluppo decisamente orizzontale del discorso, a una serializzazione che ci spinge, episodio dopo episodio, a procedere per scoprire “cosa succederà dopo”. Questo meccanismo non è invece quello scelto da serie come 33 Giri – Italian Masters, Marvel 616 o Explained, che per ogni episodio presentano oggetti diversi, come nel più classico modello di serialità antologica; il collante fra i diversi episodi può essere una tematica generale (il mondo Marvel) o uno stile, un modo di far procedere il discorso (le “pillole” di Explained). Il formato della docuserie si presenta, quindi, già ibrido, scegliendo di mostrarsi in modo più o meno antologico a seconda dell’oggetto del discorso; certo è che in ambito produttivo, la docuserie si avvicina sempre più ai modi di costruzione della miniserie, preferendo un testo compatto, chiuso, ben strutturato e lasciando le derive serializzanti ad altri modi di fare divulgazione.
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