
The Haunting of Bly Manor – Gli spazi infestati e le relazioni infestanti
Lo scorso 9 ottobre Netflix ha rilasciato The Haunting of Bly Manor, seconda stagione della serie antologica di stampo horror ideata da Mike Flanagan. Ogni stagione della serie si occupa di raccontare una differente vicenda relativa ad una casa infestata, i suoi abitanti e le loro esperienze con il paranormale. La prima stagione è la famosa The Haunting of Hill House.

In questa seconda ci troviamo negli anni ’80 e seguiamo le vicende di Danielle, giovane americana, che, per via di un triste episodio che l’ha vista protagonista, ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito, allontanandosi dalla California, luogo in cui è cresciuta e ha sempre vissuto. In Inghilterra trova lavoro come istitutrice privata presso un vecchio maniero nelle campagne dell’Essex. Sarà suo compito occuparsi dell’educazione di Flora e Miles, due bambini che hanno già diversi lutti alle spalle, compreso quello relativo alla perdita dei genitori. Ad occuparsi di loro da un punto di vista finanziario è lo zio Lord Henry Wingrave. Vivono nel grande maniero con i due giovani una governante, un cuoco e una giardiniera.
Detta così, sembra di assistere a una partita di Cluedo, e in effetti delle eco ci sono. Il gioco da tavolo ambientato nella villa di Tudor Hall è un giallo, mentre qui, come accennavamo sopra, le tinte virano più sull‘horror: il mistero non è relativo a un omicidio ma a degli strani episodi che si verificano nel maniero, episodi che spesso coinvolgono anche i due bambini. Nel gioco da tavolo una matrice essenziale è quella dello spostamento nelle varie stanze della grande casa, l’esplorazione, solo così è possibile provare a vincere, indovinando chi tra gli ospiti di Tudor Hall ha commesso l’efferato omicidio. In Bly Manor questa componente esplorativa è altrettanto presente e i diversi spazi in cui si divide il grande maniero ricoprono un ruolo determinante da un punto di vista semantico e narrativo.

Ad ogni personaggio della vicenda, sia quella relativa al presente, sia quelle relative agli altri piani temporali in cui poi si dipana la serie nella sua interezza (quello seicentesco ricorda molto l’approccio visivo di Guillermo Del Toro nel suo Crimson Peak, senza però le magnifiche intuizioni estetiche del regista messicano), sono intimamente legate delle zone della tenuta oppure delle precise stanze. La funzione degli spazi, il modo che i personaggi hanno di occuparli, di interagirvi e di ospitare al loro interno gli altri personaggi, ci rivela chi essi siano, da un punto di vista sociale, emotivo, caratteriale. C’è chi se ne sta prevalentemente nella chiesetta al limine del grande giardino, intento tutti i giorni ad accendere delle candele in memoria dei defunti e accoglie chi fa visita alla chiesa, essendo sempre disponibile all’ascolto. C’è chi se ne sta nella grande cucina, immensa, fatta di pietra e con il suo agire porta colore in un posto grigio e fa assaggiare in continuazione a chi varca la soglia impasti e sughi di ogni genere. E c’è anche chi non può fare a meno di eseguire lo stesso percorso tutte le notti, dal lago nel mezzo del giardino della tenuta, fino a una delle camere da letto dell’ala chiusa del maniero.
A evidenziare con ancor più forza questo tipo di approccio agli spazi il fatto che Flora, la secondogenita, giochi così avidamente con una casa di bambola che le ha regalato lo zio Henry e che è l’esatta riproduzione in scala del maniero. La bimba dispone con cura maniacale nelle varie stanze le bambole di pezza da lei costruite, che ritraggono fedelmente gli abitanti di Bly (presenti e passati). Ci è capitato più di qualche volta in horror apprezzati di recente di vedere case di bambola: penso a The Lodge di Severin Fiala e Veronika Franz o all’acclamato Hereditary di Ari Aster. Quello che a mio avviso accomuna i due film citati alla serie ideata da Mike Flanagan (anch’egli autore sia televisivo sia cinematografico, suoi tra gli altri Oculus e Doctor Sleep) è proprio l’approccio al genere orrorifico, il suo utilizzo come strumento di analisi del sistema relazionale di un nucleo familiare borghese o medio borghese, con le sue malattie e le sue violenze, tra padri e figli, tra madri e figli e tra fratelli.

Questa seconda stagione partorita dalla penna di Flanagan non è però certamente esente da difetti: l’impianto romance e melò tende a prendere il sopravvento sulla parte più puramente horror e The Haunting of Bly Manor finisce per essere poco o per nulla disturbante, complici delle intuizioni estetiche che, come prima accennavamo, non appaiono indimenticabili e con ogni probabilità anche la necessità di risultare il più possibile alla portata di tutti, visto il broadcaster. La serie resta però degna di attenzione e Mike Flanagan un autore da tenere d’occhio: in pochi come lui negli ultimi anni hanno saputo così sapientemente utilizzare i territori del genere horror per indagare l’umano.
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