
Tiger King – Baby, it’s a wild world
Sono passati dieci minuti dall’inizio del primo episodio del nuovo documentario seriale Netflix e il protagonista Joseph Maldonado-Passage, meglio noto come Joe Exotic, si presenta come il gestore di uno dei più grandi zoo privati della nazione. Una struttura malandata nascosta in un angolo sperduto dell’Oklahoma e popolata in larga parte da grandi felini, 187 per la precisione. È introdotto da un testimone come un “pazzo furioso, gay fanatico, tossico e armato”, veniamo a conoscenza della sua carriera musicale come artista country mentre si esibisce in uno sgangherato videoclip di sua produzione, e delle sue abilità d’intrattenitore nella conduzione di un episodio della sua web serie JoeExoticTV. Sarebbe materiale sufficiente per fare da base a un’intera saga cinematografica ispirata al personaggio, ma Tiger King è un prodotto fermamente intenzionato a superare ogni aspettativa e fantasia dello spettatore.
È davvero difficile staccare gli occhi dalle vicissitudini di Joe Exotic e del suo pazzo mondo fatto di orride canzoni country e complotti omicidi, Tiger King ci trascina nelle sue sette ore di durata attraverso un costante gioco dell’assurdo al rialzo. Ogni personaggio o testimone è più sconclusionato del successivo: c’è John Reinke, braccio destro di Joe Exotic nell’amministrazione dello zoo e costretto a muoversi con delle protesi al posto delle gambe amputate, diversi signori della droga appassionati di grandi felini e il gestore di uno zoo in South Carolina noto come “Doc” Antle, un guru poligamo dedito all’adescamento di giovani ragazze come lavoratrici sotto pagate e concubine. E si tratta dei personaggi del solo primo episodio.
Soprattutto c’è Caroline Baskin, milionaria della Florida direttrice di un santuario per il salvataggio di animali e con un losco passato riguardante la sparizione dell’ex marito e il conseguente ingente patrimonio ereditato. Definita l’acerrima nemica di Joe Exotic nella sua lotta contro la compravendita domestica di grandi felini e l’enorme traffico monetario che ne deriva. Lo scontro tra i due fa da perno principale alla trama, in un continuo scambio di non troppo velate minacce di morte e cause giudiziarie milionarie.
Si tratta dell’ultimo prodotto di successo Netflix nel campo delle produzione seriali documentarie, settore dove il colosso dello streaming si è reso protagonista negli ultimi anni con solidi prodotti come Wild Wild Country o Making a Murderer. Nel caso di quest’ultima Tiger King condivide il sapore true-crime in un’ambientazione da America di provincia a cui unisce il gusto per l’assurdo e i personaggi da fumetto di Fyre: The Greatest Party That Never Happened, altro successo documentario targato Netflix. Tiger King ha conquistato però una popolarità senza precedenti arrivando ad assurgere a vero e proprio fenomeno di costume negli Stati Uniti: dalle reazioni entusiastiche di star come Jared Leto, Kim Kardashian e Cardi B all’enorme profusione di meme sui social, fino alle proposte di fanta-casting (comprese quelle di Joe Exotic stesso) che si rincorrono per l’ormai già annunciato adattamento televisivo.
Tecnicamente si tratta di un prodotto semplice e dall’impostazione linguistica piuttosto tradizionale: teste parlanti e voice over si alternano al materiale filmato dal regista Eric Goode nel corso di cinque anni, assieme a filmati di repertorio, fotografie e sequenze di reenactment. Come già accennato la vera forza di Tiger King risiede però in un ritmo irrefrenabile nell’accatastare eventi e personaggi incapaci di far scendere l’attenzione dello spettatore, in una continua alternanza tra il registro comico-assurdo e svolte tragiche da commedia nera degne di un film dei fratelli Coen.
Seguire la graduale discesa nella follia di Joe Exotic e della sua corte medievale di giullari e criminali vuol dire trovarsi a contatto con l’ennesimo lato nascosto degli Stati Uniti. Quell’America white trash visibile solitamente nei prodotti televisivi dei canali Real time e DMAX, in titoli come Vite al Limite, Affari al buio e il restante teatro degli orrori che ne affolla i palinsesti.
Allo stesso tempo mantenere una salda bussola morale è più difficile in questa tempesta di risate e facce incredule per l’ennesima svolta di trama inaspettata. Un racconto che inizia come veicolo di denuncia per il traffico dei grandi felini negli Stati Uniti finisce troppo facilmente e senza opporre sufficiente resistenza a farci empatizzare e affezionare a personaggi totalmente complici e colpevoli della situazione, primo fra tutti Joe Exotic. Ed è una sensazione ambigua quella che ci accompagna quando le ricadute più tragiche delle sue azioni ne faranno crollare il trono e il pazzo mondo di personaggi a cui ci siamo affezionati. Contemporaneamente il regista Eric Goode si ricorda un po’ troppo tardi e abbastanza svogliatamente di sottolineare quale sia il vero cuore morale per completare l’obbligatoria parabola del racconto, più per necessità drammaturgiche rispetto al reale spirito che anima la serie.
Detto questo Tiger King rimane un prodotto d’intrattenimento a grana grossa validissimo e difficilmente troverete in questo periodo una narrazione più avvincente, prodotti di finzione compresi. Una cavalcata selvaggia di sette ore nei sogni e deliri più oscuri di quella giungla che è l’America dell’era Trump. Come cantava Cat Stevens «Baby, baby, it’s a wild world».
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