
Unorthodox – Il coraggio di ribellarsi alle aspettative
Disponibile dal 26 marzo su Netflix, Unorthodox è una miniserie di quattro episodi che chiede sicuramente di essere vista: i quattro capitoli delineano il percorso originalissimo di Esty, una ragazza diciannovenne nata e cresciuta all’interno della comunità ebrea ultra-ortodossa chassidica di Williamsburg, Brooklyn. La storia prende il via un anno dopo il suo matrimonio combinato, pochi minuti prima della sua fuga verso una Berlino che è insieme luogo di rinascita e di scoperta della propria identità, ma anche simbolo dello sterminio nazista che ha portato i suoi parenti a scappare negli Stati Uniti dopo il 1945.
La miniserie si ispira al memoir di Deborah Feldman Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots per i flashback relativi alla vita nella comunità, mentre le sequenze berlinesi, nel prodotto Netflix, sono scritte da zero. La ricostruzione filologica degli ambienti e degli abiti chassidici – così come la scelta di girare quasi interamente in yiddish – creano un’atmosfera tanto immersiva e intrigante, quanto opprimente nella descrizione di ogni limitazione a cui Esty – interpretata con intensità e grande maestria da Shira Haas – è costretta, in un ambiente che la vede solo come potenziale moglie e madre.
La narrazione ha così l’occasione di affrontare temi sensibili e importanti – dall’aborto al vaginismo, finanche alla morte – con il merito di farlo senza mai scadere in stereotipi o appiattire la parabola e lo sviluppo della protagonista.
Quello di Esty è un viaggio che insieme le fa guardare al passato e al trauma collettivo dei suoi antenati, proiettandola verso un futuro insperato e imprevedibile. Esty ha la necessità di esplorare il suo potenziale per comprendere quale sia la sua nuova comunità, in una Berlino che sembra accogliere chiunque abbia bisogno di emanciparsi e ricollocarsi nel mondo. Uno dei temi centrali è difatti il multiculturalismo che contraddistingue la capitale tedesca, in una prospettiva che vuole sottolineare il complesso equilibrio fra identità e integrazione.
Di conseguenza l’arco narrativo, sorretto da un’ottima colonna sonora, non produce bruschi tagli con il passato: Esty non rinnega in toto le sue radici, né si slancia acriticamente verso ogni nuovo stimolo. Il suo è un lento adattamento, una progressiva acquisizione di consapevolezza che le permette di riappropriarsi del suo passato in una nuova e liberatoria prospettiva. Coerentemente, a livello estetico e caratteriale, il personaggio muta lentamente con il mutare degli spazi intorno a sé, seguendo una personale esplorazione profonda e delicata.
Delicata è anche la rappresentazione del corpo e della sessualità di Esty: ogni scena ci permette di vivere con lei un’esperienza di cui è soggetto e mai oggetto. In tal senso anche le scene in cui il corpo si scopre e si denuda sono utili, se non necessarie, ad empatizzare con il personaggio e a meglio capirne le scelte intime.
Esty è una giovane donna che vuole e decide di conquistarsi una voce e un posto nel mondo senza più dover condiscendere alle aspettative altrui, perciò la storia stessa non punta a soddisfare ogni nostra attesa e a rispondere ad ogni domanda. Anche il finale aperto – sempre che non venga risolto in una seconda stagione – è coerente con questo intento e non banalizzante: non punta a trasmetterci una trita e romanzata storia di successo, ma vuole raccontarci il salto nel vuoto della protagonista e la sua volontà di fronteggiare la vita con le sole proprie forze.
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