
Anna – Un mondo senza i grandi
È una presenza silenziosa quella di Anna sul catalogo di NowTv e Sky: la nuova miniserie scritta e diretta da Niccolò Ammaniti, disponibile dal 23 aprile, è una presenza imponente ma quasi scomoda, che rischia di passare troppo inosservata per il tipo di prodotto che è, una scommessa su cui non si vuole accendere troppo i riflettori. E già solo dal primo episodio si può comprenderne il motivo: non solo la serie è complessa, tanto profonda quanto cupa e disincantata, ma tocca con ruvidità e senza mezzi termini un nervo decisamente troppo scoperto in Italia come in tutto il mondo: l’emergenza pandemica.

La miniserie, composta di 6 episodi dalla durata di 45-60 minuti è tratta dall’omonimo romanzo del 2015 scritto da Ammaniti stesso, e quasi profeticamente le riprese sono iniziate sei mesi prima dell’emergenza sanitaria mondiale, una coincidenza incredibile, che autori e distributori hanno pensato di segnalare in apertura di ogni puntata quasi come se fosse una scusante rispetto a quanto mostrato dalle immagini: emerge così la chiara consapevolezza di avere tra le mani un materiale pericoloso, urticante e abrasivo, un pugno allo stomaco, come di fatto conferma la visione.
Vale indubbiamente la pena superare questo rigetto emotivo per poter apprezzare gli enormi pregi di questa serie, di non facile approccio e non pensata per un pubblico generalista: la fotografia, la scenografia, le incredibili prove di attori giovanissimi (Giulia Dragotto, Clara Tramontano, Vincenzo Masci e molti altri alla prima esperienza audiovisiva), fanno sì che i difetti, tra cui uno sviluppo talvolta discontinuo, passino in secondo piano.

Ambientata in una Sicilia post-apocalittica, la miniserie, come del resto il romanzo da cui è tratta, pone allo spettatore un interrogativo di fondo: come sarebbe un mondo senza adulti? La risposta è tanto amara quanto intuibile, stando alla rappresentazione dell’infanzia da parte dell’autore: esattamente uguale a se stesso. L’infanzia non è sempre innocenza, e questo è chiaro in tutti i romanzi dello scrittore, da Io non ho paura fino ad Anna. E se l’infanzia è un topos irrinunciabile per l’autore, sempre amara è la sua rappresentazione: il mondo dei piccoli rispecchia quello dei grandi con le sue incredibili cattiverie, con i suoi vizi, con il suo egoismo che forse in questo caso vengono pure amplificati dal senso di morte imminente e dalla mancanza di guide.

Oltre ad una scrittura di partenza che gode di un genio creativo di tutto rispetto, a livello tecnico colpisce la scenografia: oltre alle meravigliose riprese dell’Etna, notevoli sono i costumi e gli ambienti punk e underground; tutto ci parla e sembra essere significativo e stratificato nei suoi riferimenti, suggerendo connessioni almeno visive con molteplici fiabe – forse le più evidenti Pinocchio e Il Mago di Oz. Gli oggetti simbolo della civiltà accatastati ai lati delle strade o accumulati nelle stanze sembrano voler comunicare come ciò che noi riteniamo essenziale nella nostra quotidianità sia in realtà accessorio ai fini della sopravvivenza dell’uomo, in quella che sembra essere una velata critica al consumismo e al materialismo imperanti.
Ma nella nuova società non si potrà andare troppo lontano: emerge la necessità di trovare una guida spirituale, un consorzio di mutuo soccorso che in rari casi può avere una base sana, ma che, nella maggior parte delle volte, si basa invece sulla legge del più forte che incanta il più debole grazie al prestigio sociale di cui gode, grazie a promesse basate su credenze non comprovate o grazie a minacce. Una critica alle religioni? Ma soprattutto: dove si può ritrovare un’alternativa? Dove fondare un nuovo mondo? Fa riflettere e in parte anche commuovere una delle scene più eloquenti della serie, che vede un teatro di marionette agito da bambini. Il teatro, luogo sacro tanto messo da parte in questi mesi, può essere un punto di partenza per rielaborare un vissuto collettivo e pensare a rifondare la società del domani.

Un’opera molto dura, complessa e stratificata, dunque, difficile da vedere e proprio per questo difficile da distribuire, una scommessa che rischia di non dare i suoi frutti commerciali, ma che in luce della sua pregevole fattura artigianale, ci conferma ancora una volta quanto certo prodotto nostrano abbia poco o nulla da invidiare alle produzioni internazionali. Complimenti e buona visione!
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