
Game of Thrones, un mese dopo
Attenzione: se avete utilizzato internet nell’ultimo mese il danno è fatto, ma l’articolo contiene ovviamente SPOILER per l’intera serie!
È finita. Le ceneri si sono posate su Approdo del Re, l’opera di ricostruzione è cominciata e l’unica battaglia ancora da combattere è quella contro le barriere architettoniche. È passato un mese dal finale di Game of Thrones, periodo in cui l’argomento principale è stato l’enorme polemica contro l’ultima stagione, causata sicuramente da un calo della qualità della serie, in particolare per quanto riguarda la scrittura, ma anche dal sempre arduo compito di concludere perfettamente una storia con un pubblico così vasto, considerando poi la particolare situazione di essere un adattamento della serie di romanzi di George R.R.Martin, Le Cronache del ghiaccio e del fuoco, ancora incompiuta. Come nella capitale dei Sette Regni il polverone si sta ora abbassando, quel che rimane è una serie che rimarrà nella storia della televisione, un’incredibile avventura che è stata seguita religiosamente da decine di milioni di persone, facendo appassionare non solo i fan del fantasy più nerd, ma anche un’enorme fetta di pubblico che mai avrebbe pensato di farsi conquistare dal genere. Ritorniamo allora all’inizio di tutto, quando gli Estranei erano ancora leggenda e i draghi regali di nozze ancora impacchettati, e ripercorriamo insieme la serie attraverso alcuni degli episodi più riusciti e degli elementi che ci hanno fatto innamorare della battaglia per il Trono di spade.

1X09: Baelor o “Subvert your expectations”
“Sovvertire le aspettative”. L’espressione ha avuto un boom in rete nell’ultimo anno, principalmente in relazione alla risposta del pubblico a The Last Jedi di Rian Johnson e l’ultima stagione di Game of Thrones. Utilizzata ironicamente essa si riferisce a una serie di plot-twist e scelte narrative, considerate da molti fan come momenti scritti per scioccare il pubblico, ignorando però lo svolgimento sensato e organico della storia. Prima di arrivare allo status di meme, la frase non aveva però accezione negativa, riassumendo perfettamente uno degli elementi più importanti per il successo della componente narrativa. GoT arriva per la prima volta sui nostri schermi nel 2011, quando il fantasy epico è ancora rappresentato per il grande pubblico dal Signore degli Anelli, grazie principalmente agli adattamenti cinematografici di Peter Jackson. Tolkien ha però tra le sue ispirazioni fonti arturiane, nordiche, omeriche e bibliche, mentre Martin trae da Shakespeare e la guerra delle due rose, provando a creare una sorta di “fantasy realistico” in cui gli elementi magici rimangano, almeno inizialmente, sullo sfondo e concentrandosi sugli intrighi e i giochi di potere di un vasto mondo immaginario, in cui buona parte delle culture e location sono riconducibili alle rispettive controparti geografiche e storiche, immaginando una trama che si svolga in maniera naturale invece di seguire i cliché del fantasy classico.
Nella prima stagione di GoT ci viene presentata la complicata situazione politica del continente di Westeros e il cast corale già composto da decine di personaggi, da cui emerge però, rispetto alle stagioni successive, un protagonista ben definito per importanza e screen-time: Ned Stark. Il Guardiano del Nord e nuova mano del Re Robert Baratheon, interpretato da uno Sean Bean di Boromiriana memoria, è un eroe classico in un mondo che non gioca secondo le regole classiche, un Lord che mette l’onore e il bene del Regno e della sua Casata davanti al suo stesso tornaconto. In seguito alla sospetta morte del Re, scoperta la relazione incestuosa dei fratelli Lannister e la conseguente vera paternità dell’erede al trono, Ned decide di dare una possibilità a Cersei, scelta che gli si ritorce immediatamente contro nel momento in cui viene arrestato e condannato a morte per cospirazione contro la corona; la pena viene però fortunatamente commutata in una confessione pubblica e l’esilio alla Barriera. Lord Stark confessa, proteggendo la propria famiglia a scapito del suo stesso onore, e già si può immaginarlo come cupo Lord Comandante dei guardiani della Notte in compagnia del figlio illegittimo Jon Snow, in attesa della sua rivincita. Sfortunatamente però il giovane Re Joffrey è sadico e vendicativo e, con una decisione dell’ultimo secondo, l’apparente protagonista ed Eroe della storia viene decapitato davanti alle sue figlie, insultato e deriso dalla popolazione che aveva giurato di difendere. Baelor è un vero e proprio manifesto di intenti per l’intera serie: nessuno è al sicuro, nel gioco dei troni non c’è spazio per eroi e le nostre aspettative sono destinate a essere sovvertite più e più volte.

2X09: Blackwater o “How It’s Made: battaglie”
L’ombra del Signore degli Anelli è presente in GoT e in ogni fantasy, come ispirazione, modello da sovvertire o entrambi, e, se il Fosso di Helm ci ha insegnato qualcosa, è sicuramente che non può esistere grande Fantasy senza grandi battaglie. Quando una storia ha un focus così largo, andando a coinvolgere i destini di interi Regni, gli scontri non si possono decidere solo in duelli tra i personaggi principali, siano essi a fil di spada o verbali, ma arrivano all’apice dei vari conflitti a enormi battaglie tra eserciti. Scene di questo tipo sono però estremamente costose da girare, soprattutto per una produzione che aveva ancora un budget (relativamente) limitato, e nelle prime stagioni le battaglie ci vengono raccontate invece che mostrate, o i personaggi di cui condividiamo il punto di vista arrivano a scontro già concluso (quando non vengono addirittura feriti e storditi per la sua intera durata). Gli espedienti funzionano in maniera abbastanza naturale, ma non possono ovviamente essere una soluzione definitiva e Blackwater, scritto da Martin in persona, arriva infine, con un budget all’epoca record per la serie, a risolvere egregiamente la situazione.
Stannis Baratheon, liberatosi magicamente del fratello Renly, arriva con la sua potente flotta nella baia di fronte ad Approdo del Re, pronto ad assediare la capitale per riprendersi il trono cui sente di essere destinato; non ha fatto però i conti con l’astuzia di Tyrion e l’intero piano affonda in un`esplosione verde smeraldo, quando vediamo per la prima volta in azione l’Altofuoco, napalm ante litteram che sarà al centro di numerosi punti chiave della trama. Questo episodio già racchiude tutti gli elementi più riusciti delle battaglie che seguiranno, presentandoci uno scontro in cui non ci sono buoni contro cattivi, ma personaggi interessanti con motivazioni e moralità estremamente differenti, uno svolgimento pieno di sorprese tra esplosioni, il tradimento dell’eroico ”Mezz’uomo” Tyrion da parte di uno dei suoi uomini e l’arrivo finale di Tywin Lannister a concludere l’assedio; interessante inoltre il focus sui personaggi non combattenti, come nella memorabile scena in cui Cersei, in una delle migliori interpretazioni di Lena Headey, passa la battaglia a ubriacarsi in un crescendo di crudo cinismo, arrivando quasi ad avvelenare se stessa e il figlio Tommen per evitare la cattura.
Con il procedere della storia e il continuo aumento del budget, ci saranno poi altre grandi battaglie, che si concentreranno su molti di questi elementi. Pensando ai personaggi e alla difficoltà di schierarsi con una fazione, la battaglia alla Barriera di Watchers on the Wall è emblematica: sembra facile decidere per chi tifare quando ”lo Scudo che protegge il reame degli uomini” deve difendersi contro una gigantesca armata di barbari, ma sappiamo come i Guardiani della notte siano costituiti per buona parte da criminali, codardi e comandanti crudeli e nei viaggi di Jon a Nord abbiamo imparato a innamorarci di Ygritte e Tormund, arrivando a comprendere le motivazioni dei Bruti. Altre battaglie, come la Battaglia dei Bastardi e la battaglia di Winterfell contro gli Estranei, soffrono un po’ per avere evidentemente una fazione con cui schierarsi e per una gestione a tratti ingenua dell’aspetto tattico degli scontri, rimediando però con un’enorme spettacolarità, garantita da budget mai visti sul piccolo schermo, una fotografia, una coreografia e un utilizzo della CGI sempre più elaborato e dall’abilità del regista Miguel Sapochnik nel saper rendere perfettamente le sensazioni di panico e caos totale del trovarsi al centro di combattimenti di queste dimensioni.

3X09: The Rains of Castamere o “Trauma da penultimo episodio”
“Uhm, siamo quasi alla fine della stagione, solo GoT può permettersi di spendere buona parte dell’episodio al matrimonio di un buffo personaggio secondario, chissà che dialoghi e scene folgoranti riusciranno a trarre da questa situazione. Oh, Robb e Talisa hanno deciso di chiamare il loro futuro figlio Ned, che dolci…un momento, che cos’è questa musica? La festa procede a gonfie vele, perché chiudono gli ingressi, è già finita? Perché Walder Frey ha quel ghigno da Gazza dipinto in volto? Perché Lord Bolton indossa l’armatura?? Cosa…”
Da quel momento, fino alla fine dell’episodio, le espressioni straziate di buona parte degli spettatori sono più o meno le stesse di Catelyn, che assiste impotente al sanguinoso annientamento della quasi totalità della Casata Stark. L’esecuzione di Ned ci aveva avvertito che nessun personaggio è invincibile, che dalla scelta sbagliata possono scaturire terribili conseguenze impreviste, ma nessuna lezione può prepararci al celebre Red Wedding e all’uccisione a sangue freddo del King in the North, la moglie incinta, la madre, l’intero esercito e perfino il povero metalupo Grey Wind, la cui testa verrà cucita sul corpo decapitato del padrone in segno di sfregio, regalandoci immagini ancora impresse, a distanza di anni, nella mente di milioni di fan traumatizzati.
I primi tre episodi scelti per questo articolo sono il nono della rispettiva stagione, e non è un caso: l’episodio nove di Game of Thrones è diventato una vera ricorrenza nella struttura narrativa della serie, il momento in cui i numerosi elementi che compongono il complesso arco delle varie stagioni convergono e culminano in un momento memorabile, spesso scioccante, a cui segue poi un season finale che tratta delle conseguenze di quanto successo e semina nuovi elementi per il futuro, evitando di utilizzare questi episodi come meno raffinati cliff-hanger finali che avrebbero ulteriormente distrutto la salute mentale del pubblico sconvolto. Questa volontà di posizionare così puntualmente il twist o gli avvenimenti clou potrebbe diventare limitante e prevedibile ma, con il procedere della serie e l’aumento di momenti chiave della trama, già dalla quarta stagione troviamo sì un notevole nono episodio con il già citato Watchers on the Wall, preceduto però dal leggendario duello di The Mountain and The Viper e seguito dall’ottimo The Children, che include l’incontro di Bran con il Corvo a tre occhi, la selvaggia lotta tra il Mastino e Brienne e la morte di Tywin per mano del tanto disprezzato figlio. La situazione rimane simile nelle stagioni successive, ma la stessa ottava stagione ci ha ricordato come non importi se sia il nono o quinto episodio: il penultimo riserva sempre sorprese…

4X06: The Laws of Gods and Men o “Fate parlare Tyrion”
Come già accennato nell’episodio precedente, la quarta stagione è forse l’apice di qualità di Game of Thrones – una serie ormai di enorme fama, sicura dei propri mezzi e stile – perché include molti dei migliori momenti della serie, esplodendo già alla seconda puntata con la morte di Joffrey e mantenendo una qualità elevatissima fino ai tre episodi finali. L’arco narrativo principale è quello di Tyrion, ingiustamente accusato del regicidio, i cui temi sono perfettamente esposti nel magnifico sesto episodio, in cui viene sottoposto a un processo dall’esito già scritto. Ad accomunare tutti questi momenti, rendendoli così riusciti, è la bravura dell’intero cast, sul quale svettano alcuni ruoli memorabili, e in The Laws of Gods and Men Peter Dinklage ci regala forse la sua migliore interpretazione nei panni del Folletto. Perfettamente incalzato dagli altri personaggi presenti, Tyrion ruba completamente la scena, interpretando ottimamente un range di emozioni che va dalla straziante e malcelata tristezza, nel momento in cui l’amata Shae viene portata a testimoniare, all’esplosione di rabbia repressa nella “confessione” in cui ribalta l’accusa alla propria famiglia e all’intera società, colpevoli di averlo condannato e odiato dal giorno della sua nascita, solamente a causa del suo aspetto. Dinklage è qui perfetto, potendosi inoltre vantare di molte delle migliori battute e interpretazioni di una serie che, soprattutto nelle prime stagioni, raggiunge le vette più alte semplicemente posizionando tre o quattro personaggi intorno a un tavolo, dando vita a veri e propri duelli oratori tra personaggi interessanti e complessi.
La scena in questione e l’intero arco non sarebbero però altrettanto efficaci senza il carisma del compianto Oberyn (Pedro Pascal), il glaciale timore che incute Tywin (Charles Dance), i sorrisetti di Cersei, l’evoluzione di Jaime (Nikolaj Coster-Waldau), l’irraggiungibile odiosità di Joffrey (Jack Gleeson), e lo stesso vale per l’intera serie con un cast, impossibile da citare nella sua interezza, che comprende centinaia di attori accreditati. Con l’avvicinarsi del finale, accompagnato dall’elevato tasso di mortalità dei personaggi, a emergere come protagonisti principali sono infine Jon e Daenerys; Kit Harington e Emilia Clarke non hanno sicuramente le doti puramente attoriali di alcuni dei loro colleghi, ma risultano convincenti e migliorano con il procedere della serie, costruendo rispettivamente la tragica e malinconica (a tratti forse mogia) presenza del nostro bastardo preferito e la transizione della Madre dei Draghi da ragazzina indifesa a regina e liberatrice, fino alla drammatica svolta finale (notevole inoltre per il saper raggiungere la massima intensità recintando in Dothraki). Gli attori più giovani sono attorialmente e letteralmente cresciuti sul set, lungo i quasi dieci anni di produzione, e contemporaneamente abbondano i ruoli e camei interpretati da più o meno celebri vecchie glorie (Diana Rigg, Ian McShane, Jonathan Pryce e molti altri), a completare l’enorme pantheon di interpreti, la cui recitazione è alla base del successo della serie.
Durante la visione dell’ultimo episodio della serie, molto fan si sono ritrovati insoddisfatti, o quantomeno perplessi, nel momento in cui a essere incoronato è Bran the Broken (ingenerosa scelta di nome da parte del “folletto” Tyrion), ma siamo davvero sicuri che qualcuno abbia un curriculum migliore di un apprendistato con Max von Sidow?

5X08: Hardhome o “Do you believe in magic?”
Dopo l’ottima riuscita della quarta stagione, la quinta arriva con un carico di aspettative ancora maggiori, rivelandosi purtroppo un deciso passo indietro: una serie di elementi, in primis l’avvicinarsi della fine del materiale adattabile dai libri e la terribile gestione dell’intera storyline di Dorne (Oberyn si sta tuttora rivoltando nella tomba), portano a un calo della qualità della serie, soprattutto dal punto di vista della sceneggiatura, risultando l’inizio di una serie di problemi che GoT si sarebbe poi portato dietro fino al discusso finale. Ci sono però numerosi elementi positivi e l’ottavo episodio, Hardhome, è uno dei più amati e riusciti della serie. Jon, in compagnia di Tormund e alcuni membri dei Guardiani della Notte, si reca nella gelida Hardhome, per convincere i Bruti a ritirarsi a sud della Barriera e guadagnarsi il loro aiuto nella incombente guerra contro gli Estranei; dopo un incontro carico di tensioni si giunge finalmente a un accordo, ma la situazione precipita nel caos quando il Re della Notte giunge in compagnia di un’enorme esercito di non-morti. Nelle immagini finali i sopravvissuti si allontanano dalla spiaggia in barca, mentre il leader degli Estranei fa risorgere le migliaia di vittime dello scontro, rendendo finalmente evidente la gravità della minaccia di un nemico inarrestabile, vera e propria personificazione della Morte, che diventa più potente ad ogni battaglia.
Come già detto in relazione al primo episodio, Game of Thrones è un fantasy all’inizio “realistico”, in cui l’esistenza di elementi magici è ritenuta leggenda e superstizione da buona parte dei personaggi della storia. Gli Estranei, di cui non si hanno notizie da migliaia di anni, appaiono già nella prima scena dell’intera serie, ma l’unico sopravvissuto all’incontro non viene creduto, finendo giustiziato da Ned Stark per diserzione, e le loro successive apparizioni saranno, almeno fino ad Hardhome, brevi e misteriose. All’estremo opposto dello spettro magico ghiaccio/fuoco abbiamo i draghi, estinti da quasi due secoli e le cui uova regalate a Daenerys sono considerate pietrificate; quando le uova infine si schiudono i draghi sono ancora creature piccole e difficili da controllare, creando non pochi problemi alla loro madre Targaryen. L’elemento magico funziona inizialmente molto bene in Got proprio per essere raro, in un mondo in cui le resurrezioni del Dio Rosso e le visoni degli Stregoni di Qarth sono incredibili per i personaggi tanto quanto lo sono per gli spettatori, ma il ritorno della magia nel mondo è sicuramente uno dei temi della storia e, con l’aumentare della sua presenza, si vengono a creare numerosi problemi.
Come si può sconfiggere un nemico apparentemente invincibile, che diventa esponenzialmente più numeroso? Come si può mantenere stimolante la storia di Daenerys, dal momento in cui dispone di tre enormi creature volanti e sputafuoco? Per quanto riguarda gli Estranei, la difficile situazione viene risolta affidandosi ad alcuni cliché della narrativa fantastica: non può esistere Superman senza Kryptonite (vetro di drago e acciaio di Valyria) e, come in ogni invasione aliena che si rispetti, distruggere la Nave Madre provoca il collasso dell’intero esercito invasore, permettendo ad Arya di risolvere la disperata situazione della battaglia di Winterfell con una coltellata dal tempismo perfetto. I draghi presentano problematiche simili, specialmente considerando l’imminente svolta finale di Daenerys, e anche qui la soluzione è a volte maldestra: la morte di un drago per causa di un opposto e altrettanto potente elemento magico (lo stesso Night King, giavellottista agonistico) è credibile, ma lo stesso non si può dire del secondo drago, abbattuto da enormi balliste, la cui utilità varierà enormemente a seconda della necessità di far proseguire la trama in una certa direzione. Certamente non è però tutto da buttare e, in contrapposizione ai difetti citati, abbiamo anche la spettacolarità di vedere finalmente la Barriera distrutta dal drago resuscitato, l’enorme ondata di non-morti, la distruttività dei draghi, le conseguenze temporali dei poteri di Bran e molti altri momenti magici. È difficile pensare a come tali elementi verranno eventualmente trattati nei libri, non ancora giunti al momento in cui la magia diventa così predominante; della complicata situazione dell’adattamento discuteremo nel dettaglio più tardi, ma è interessante pensare a come lo stesso Night King, la cui improvvisa sconfitta è stata causa di accesi dibattiti, sia un’invenzione della serie televisiva, non esistendo nei romanzi di Martin.

6X10: The Winds of Winter o “Re Ramin, primo del suo nome”
Il season finale della sesta stagione è ricco di momenti importanti, includendo la morte di Walder Frey per mano di Arya, la visione di Bran in cui viene finalmente rivelata l’identità dei genitori di Jon, la proclamazione dello stesso Jon come King in the North e la tanto attesa partenza di Daenerys verso Westeros. Ciò che rende però l’episodio uno dei migliori è la memorabile sequenza che si svolge ad Approdo del Re: Cersei, dopo essere stata sottoposta alla pubblica umiliazione, dev’essere processata per i suoi crimini dall’Alto Passero, leader del Culto dei Sette Dei il cui potere è stato causato dalle sue stesse infauste scelte, mentre Margaery Tyrell, figura più positiva ma altrettanto avvezza a trame e complotti, sta conquistando l’interesse del giovane e ingenuo Re Tommen. Cersei ha però un asso della manica e, con il ritorno in scena dell’altofuoco, incenerisce in pochi istanti buona parte dei suoi avversari e centinaia di presenti, nell’esplosione del Tempio di Baelor che sarà per altro causa, ancora una volta, della morte di uno degli amati figli quando Tommen, sconvolto da quanto successo, posa la corona e decide di suicidarsi. La scena è ben recitata e diretta, alternando tre diverse ambientazioni: la Fortezza Rossa in cui risiedono Cersei e Tommen, il Tempio in cui si svolge il processo e i sotterranei dello stesso, dove Lancel Lannister scopre, non riuscendo però a impedire l’esplosione, la scorta di altofuoco. Quel che però trasforma una scena notevole in uno dei momenti più riusciti dell’intera serie è Light of the Seven, il magnifico brano che, in un drammatico crescendo, accompagna l’intera scena fino alla pirotecnica conclusione.
Ramin Djawadi, compositore dell’intera colonna sonora di Game of Thrones (ma anche Prison Break, Westworld, Iron Man e molti altri), aveva già dato prova della sua abilità fin dai primi minuti del primo episodio, con un epico tema principale il cui motivo è conosciuto ormai anche da chi non abbia mai visto la serie. Nelle prime stagioni la colonna sonora è, escludendo la celebre sigla, ben realizzata ma non particolarmente memorabile; con il procedere della serie essa si evolve, andando a creare ottimi temi e melodie legate alle varie casate o a specifici personaggi, fino ad arrivare nelle ultime stagioni a momenti come quello citato, in cui la musica non è solo un piacevole sfondo ma una vera e propria protagonista. La battaglia di Winterfell in The Long Night è stata controversa, alternando una spettacolarità e una portata mai viste in televisione ad alcune scelte narrative che non hanno convinto tutti, ma è innegabile la qualità di The Night King, brano che precede la fine dell’omonimo antagonista, accompagnando una scena caratterizzata da poche battute con una progressione che va dalle noti dissonanti in presenza degli Estranei all’epicità delle eroiche morti di Theon Greyjoy e Jorah Mormont. In The Bells, nei momenti precedenti alla furia di Daenerys, Djawadi dimostra più sottilmente la sua abilità andando a creare un sottofondo musicale che mescola perfettamente il tema principale, Light of The Seven e The Rains of Castamere, rappresentando anche musicalmente il convergere dei vari personaggi.
Darth Vader non incuterebbe altrettanto timore senza l’Imperial March di John Williams, la cavalcata dei Rohirrim non sarebbe altrettanto epica senza Howard Shore e allo stesso modo l’evoluzione della colonna sonora di GoT va a comporre un arazzo musicale degno di essere paragonabile a quello di tante altre famose saghe, il cui successo è strettamente legato al loro compositore.

7X04: The Spoils of War o “Fire & Budget”
Il finale della sesta stagione vede Daenerys partire finalmente per Westeros, con il suo esercito di Immacolati e Dothraki, e i primi episodi della settima sono dedicati alla pianificazione dell’imminente guerra e al fatidico incontro con Jon. È però nel quarto episodio che questo scontro tra mondi esplode, quando Daenerys, in groppa a un drago e accompagnata dall’orda di Dothraki, attacca un carico d’oro dei Lannister diretto ad Approdo del Re. È una sequenza spettacolare, con la carica dei Dothraki che ricorda un classico assalto alla diligenza western e il terrore dell’esercito nemico nel doversi confrontare con l’inconcepibile potenza distruttiva del drago. Come già detto riguardo alle altre battaglie, scene del genere sono estremamente costose da produrre e girare ma, giunti alla settima stagione, il budget è notevolmente superiore all’inizio della serie e la sequenza, le cui riprese sono durate settimane, include centinaia di comparse, numerosi stuntman a cavallo, effetti speciali pratici e in computer grafica, potendosi permettere di infrangere il record di stuntman incendiati, come numero totale e presenti contemporaneamente in un’inquadratura. La battaglia contro gli Estranei ha numeri ancora più incredibili, richiedendo 55 giorni di riprese notturne, in condizioni meteo avverse, centinai di membri della troupe coinvolti e un utilizzo costante di CGI.
Blackwater, episodio più costoso al momento della sua messa in onda, è costato otto milioni di dollari, ma già dalla sesta stagione il budget medio per episodio è di dieci milioni, fino ad arrivare ai quindici dell’ultima stagione, in cui gli attori principali hanno un cachet di circa un milione a episodio. L’aumento esponenziale del budget non è sinonimo di aumento della qualità complessiva, causando forse anche un’eccessiva attenzione per i momenti più spettacolari, a discapito delle scene più teatrali che avevano reso famoso GoT, ma è innegabile come questo consenta di girare sequenze impensabili per un prodotto televisivo di qualche anno fa, potendosi permettere attori di livello, set enormi ed effetti speciali che non hanno nulla da invidiare alle produzioni cinematografiche. Game of Thrones è uno degli show più di successo degli ultimi anni, esemplificativo dell’evoluzione del panorama televisivo, da intrattenimento di serie b in cui a dominare sono le sitcom (girate in studio, in cui buona parte del budget è destinato agli attori protagonisti) a un medium in cui alla forma seriale si affiancano mezzi di produzione paragonabili a quelli per il grande schermo. HBO ha prodotto molte delle serie che hanno portato a questo cambiamento e, con l’avvicinarsi della fine di GoT, ha già pianificato il futuro, lavorando a numerosi spin-off, il primo dei quali (che tratterà apparentemente dei Figli della Foresta e della nascita degli Estranei) è già in produzione. Altre case di produzione hanno ovviamente intuito le possibilità portate dalla fine della serie e Amazon Studios ha acquistato, per più di duecento milioni di dollari, i diritti per una serie ambientata nel mondo del Signore degli Anelli, stanziando un budget che ammonterebbe a circa un miliardo, per un piano che già prevede numerose stagioni.
Da qualche parte Jeff Bezos, seduto su un trono di pacchi postali, sta sogghignando nel suo costume da Varys, pensando a quanti stuntman potrà dare fuoco.

8X05: The Bells o “Un finale (in parte) già scritto”
Scrivere il finale di una storia è spesso il momento più delicato, specialmente di una saga che ha appassionato milioni di fan che da anni provano a prevedere il finale di una trama così articolata e ricca di personaggi. Il finale è infine arrivato, lasciando molti inevitabilmente insoddisfatti; preceduto da due episodi iniziali di attestamento, il terzo episodio pone bruscamente fine a una delle più importanti storyline, quando Arya distrugge il Night King, ponendo fine alla minaccia degli Estranei. I tre episodi rimanenti sembrerebbero quindi dedicati alla guerra contro Cersei e i suoi pochi alleati rimasti, ma il penultimo episodio riserva, in perfetto stile GoT, la sorpresa più grande. Jon, Verme Grigio e Davos si preparano ad assediare le mura di Approdo del Re con i sopravvissuti della battaglia di Winterfell, ma le sorti della battaglia vengono velocemente decise quando Daenerys e il suo ultimo drago, Drogon, bruciano la Flotta di Ferro, distruggono balliste e cancelli e spazzano via i mercenari della Compagnia Dorata. L’esercito assediato, terrorizzato e consapevole dell’imminente sconfitta, decide di arrendersi senza aspettare l’ordine di Cersei, suonando le campane della città in segno di resa. La Madre dei Draghi, rimasta senza consiglieri fidati e ancora sconvolta dalla morte di Missandei e di due dei suoi “figli”, non ritiene però la capitolazione sufficiente e si abbandona alla sua peggiore natura di drago e Targaryen, dando fuoco ad Approdo del Re e incenerendo civili e soldati disarmati, mentre il suo esercito razzia, uccide e stupra per le strade della città sottostante. L’episodio è di per sé mozzafiato, lasciandoci attoniti (non quanto Jon Snow) mentre assistiamo al passaggio di Daenerys da liberatrice a criminale di guerra, al duello mortale tra il Mastino e la Montagna (dall’estetica estremamente Star Wars) e alla fine dei fratelli Lannister, sepolti dalle macerie della Fortezza Rossa. The Bells e l’intera stagione sono però state molto criticate, non solo per i twist della storia, ma per come essi siano stati preparati, risultando a molti insensati o frettolosi nella loro esecuzione; le ragioni sono numerose, dalla già citata impossibilità di dare a tutti i fan il finale desiderato a una gestione dei tempi molto difficile, considerato il numero di episodi scelti (l’episodio finale deve in poco più di un’ora includere: la morte di Daenerys per mano di Jon, l’incoronazione di Bran e un riassunto dello stato finale del mondo e di tutti i personaggi). La ragione più interessante è però, da un punto di vista narrativo, quella dell’adattamento, un caso quasi unico per una produzione di questo livello.
Martin pubblica i primi quattro volumi tra il 1996 e il 2005, si dovrà aspettare il 2011 (circa un mese dopo la conclusione della prima stagione) per il quinto; da quel momento il sesto e penultimo romanzo, The Winds of Winter, è stato continuamente rinviato, causando, a cavallo tra la quinta e la sesta stagione, il sorpasso della serie televisiva nei confronti dell’opera da cui è tratto. David Benioff e D.B.Weiss, showrunner dell’intera serie e principale bersaglio delle critiche, si sono ritrovati costretti a passare da un adattamento al dover completare una storia di fama mondiale, tenendo conto di una serie di indicazioni di Martin (solo in parte note al grande pubblico) riguardo la continuazione e conclusione della trama. Lo scrittore americano ha nelle interviste paragonato il suo stile di scrittura alla cura di un giardino, in cui piantare personaggi e situazioni interessanti, lasciandole crescere in maniera naturale; questa impostazione è sicuramente (insieme alle pressioni causate dalla serie televisiva) uno dei motivi delle difficoltà dell’autore nel concludere la sua storia, ma è anche la ragione per cui momenti come la morte di Ned o il Red Wedding risultano sì scioccanti, ma anche estremamente logici una volta analizzati. Nella serie abbiamo quindi un totale ribaltamento della scrittura, con gli sceneggiatori che si sono ritrovati a dover invece puntare su una serie di conclusioni predeterminate, unendo i puntini con del materiale originale ma coerente con i romanzi. È ovviamente un compito estremamente complesso, solo parzialmente riuscito, che rende una serie di momenti chiave della storia meno soddisfacenti di alcune delle migliori scene delle prime stagioni; non potendo sapere quali siano tutti i punti provenienti da Martin, è inoltre molto difficile fare confronti con i libri, in cui molti personaggi e situazioni sono, nei volumi già pubblicati, differenti dall’adattamento.
Per un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi e la risoluzione di una lunga serie di profezie e misteri non citati o sviluppati nella serie televisiva bisognerà sperare nella conclusione dei romanzi, nel frattempo, una volta interiorizzato il finale e dimenticati o perdonati i peggiori passi falsi, Game of Thrones rimane un’opera unica nella storia dell’intrattenimento televisivo, con cui ogni altra serie, fantasy e non, dovrà confrontarsi.
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