
Marvel 616 – Tra consumatori e produttori
Bisogna conoscere la Marvel per apprezzare 616. Conoscerla ed esserne almeno un poco appassionati. Rilasciata su Disney Plus lo scorso 20 novembre, la nuova miniserie Marvel 616 vuole essere (riuscendoci) una celebrazione del rapporto tra i consumatori e i produttori dell’Universo Marvel. Gli otto episodi che la compongono, ognuno con temi, registi e protagonisti differenti, sono uniti da due fili tematici: il primo, più evidente, è la celebrazione della diversità culturale, etnica e di genere all’insegna di un non meglio specificato progressismo, mentre l’altro, più sottinteso, – e per questo ancora più evidente – una celebrazione di Stan Lee, qui equiparato in tutto e per tutto alla figura di Walt Disney. Se cercate una serie che esplori il passato della Marvel, ne illustri la storia e ne spieghi le dinamiche interne all’azienda, allora state alla larga da 616. Se invece cercate un prodotto Disney Plus realizzato dai fan e per i fan, magari anche molto artefatto e talvolta eccessivamente auto-celebrativo, ma comunque realizzato col cuore, allora vi innamorerete di Marvel 616.

Già dal titolo intuiamo a chi la serie si rivolga: 616 è infatti il nome dell’universo narrativo della principale continuità fumettistica marveliana. Un riferimento questo che nella serie non è esplicitato, rendendo la scelta del titolo già di per sé un ammiccamento ai lettori più fedeli, i “true believers” di stanleeana memoria. Ogni episodio merita un discorso a parte ma in generale possiamo affermare che la serie nel suo complesso risulta riuscita e ben curata. Certo non mancano i difetti tipici di queste produzioni, tutti riconducibili a una comprensibile parzialità delle persone coinvolte, da sfociare non raramente nell’agiografia. Ma al netto di queste sbavature, la serie riesce a spiccare nel panorama antologico di Disney Plus puntando molto sui trivia, ovvero le curiosità che fanno gola ai nerd del settore e impostando una scrittura equilibrata nel succitato rapporto tra produttori e consumatori.

I trivia sono certamente al centro di episodi come Spider-Man Giapponese e Oggetti smarriti, dove persino il più famelico appassionato troverà delle chicche imperdibili che non mancheranno di stuzzicare la sua curiosità. In Oggetti smarriti poi la presenza di guest star (e guest director) come Paul Scheer, comico e autore Marvel, impreziosisce ulteriormente la visione, rendendola non solo un’esperienza informativa (alzi la mano chi conosceva la “Brute Force” prima di questa serie) ma anche divertente e godibile da chiunque (alzi la mano chi non adora la “Brute Force” dopo questa serie). In Artigiani incredibili e Metodo Marvel vengono messi sotto i riflettori gli autori e i disegnatori dei fumetti. Nel primo è la vita dei disegnatori, spagnoli e ispanici, in questo caso, che viene raccontata mettendo in risalto la loro educazione e percorso professionale, ma anche i loro trascorsi personali. Si comprende bene la scelta di trattare l’etnia ispanica per il pubblico americano, anche se non possiamo fare a meno di sperare, nel caso di una seconda stagione, di trovare un episodio dedicato alla ancora più prolifica scuola italiana. Dan Slott invece in Metodo Marvel ruba prepotentemente la scena a tutti e ci fa quasi desiderare una serie tutta sua.

Gli episodi due e cinque, rispettivamente dedicati alle figure femminili della Marvel e al mondo del cosplay, vantano forse la regia migliore. Fin dai primi minuti, ci sono pochi dubbi sulla capacità di Gillian Jacobs di entrare in sintonia con una storia di empowerment come quella di Capitan Marvel e Ms. Marvel. Certo non si possono non notare ingombranti mancanze, come la voluta omissione, quando si affronta la storia editoriale del personaggio, del ciclo di storie più controverso di Carol Danvers, quella della sua “non maternità”. Ma come abbiamo già detto, si tratta di una serie auto-celebrativa ed è abbastanza prevedibile che si evitino i passaggi più imbarazzanti o controversi della propria storia. Andrew Rossi invece ci porta nel mondo del cosplay, affrontando con delicatezza temi anche molto importanti come la rappresentazione di sé, le questioni di genere e, sia pure in maniera superficiale e appena accennata, la malattia mentale e la neurodiversità.

Prima di concludere con le note dolenti, merita una menzione speciale l’episodio Fuori dalla scatola, una vera e propria chicca per tutti gli appassionati di collezionismo. È incredibile come Sarah Ramos riesca a rendere appassionante e quasi epica la storia dei giocattoli Marvel. I problemi di Marvel 616 emergono quasi tutti insieme nell’ultimo episodio, Sotto i riflettori, diretto da Alison Brie, dove la Marvel è toccata solo trasversalmente. L’episodio propone le vicende di due classi di liceo alle prese con una recita scolastica che ha per protagonisti dei personaggi Marvel. Noioso, eccessivamente lungo, banale, forzato e poco interessante. Ecco cosa succede quando si fa parlare della Marvel a chi non la conosce. Non stupisce, infatti, che la conoscenza della Marvel per la Brie, sia, per sua stessa ammissione, minima, dato che ha confezionato un episodio di un’ora e sei minuti dove la presenza dell’universo marveliano è assolutamente ininfluente ai fini del racconto.

Se si esclude l’ultimo inspiegabilmente disastroso episodio, la serie Marvel 616 può dirsi un prodotto Disney Plus di valore, forse il migliore in termini di “narrativa fandom”. Lo ripetiamo, non è una serie storica o documentaristica ma neanche un semplice dietro le quinte. Si tratta di una lettera d’amore, a tratti magari anche un po’ sdolcinata, di chi la Marvel la vive e la respira ogni giorno, appunto i produttori e i consumatori. E in un certo senso, il mettere in dubbio che ci sia una differenza tra queste due parti è un po’ il tema e il motivo della riuscita di 616.
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