
Doctor Who Flux – Un caleidoscopio spaziotemporale
Sembra ormai diventata tradizione: tre stagioni sono la misura “giusta” per far amare ogni nuova incarnazione del Dottore più famoso della televisione britannica, giusto in tempo perché cambi volto e si possa ricominciare tutto da capo. Tre stagioni che spesso prima non convincono, poi iniziano a intrigare e, infine, si fanno amare pressoché da tutti i fan, mai così vari come per Doctor Who, la serie più longeva della Storia del piccolo schermo che con questa stagione numero 13 (o 33, se contiamo tutto) prende la fortunata forma di miniserie, con un titolo instant-hashtag: Flux.

Mai come nel caso del Dottore di Jodie Whittaker, sceneggiato per tutte e tre le sue stagioni da Chris Chibnall, il favore dei fan è stato complicato da conquistare: dai boicottaggi alla prima stagione (confermati dalla bassa qualità della scrittura) fino ai pareri più che divisivi sulla seconda (per chi scrive, comunque di alto livello), questa terza stagione si è presentata come una sfida, affrontata dallo showrunner britannico con le armi a lui più congeniali: quelle della narrazione orizzontale.

Doctor Who Flux, infatti, è una miniserie in tutto e per tutto: sei episodi che mantengono un’identità verticale più debole dell’orizzontale, fortissima, strettamente intrecciati con trame più complesse del solito – e, va detto, non per forza solidissime, ma Doctor Who è anche questo – e con un respiro generale che promette di restituire ai fan quello stupore e quell’entusiasmo tipici di una serie che dopo aver dettato i canoni della fantascienza moderna, ha saputo accompagnarne con eleganza le evoluzioni stilistiche e linguistiche.

Il risultato è più che convincente per diversi motivi. Sicuramente Chibnall, che nello sceneggiare episodi singoli ha dimostrato più volte di essere carente, è forte nell’orchestrare trame ampie (non dimentichiamo che Broadchurch è il suo capolavoro) e ha dimostrato un’imprevedibile sensibilità nei confronti dei fan: tutto ciò che non aveva convinto della pur sorprendente stagione precedente, in questa tredicesima viene integrato, riletto, approfondito e, dove insostenibile, elegantemente messo da parte, attraverso escamotage narrativi che nel contesto di Doctor Who diventano vere e proprie ricorrenze semantiche, scansando l’ostacolo del cliché.

Ad affiancare il lavoro di scrittura dello showrunner troviamo in questa stagione numero 13 di Doctor Who un lavoro sull’immagine inedito e significativamente ancorato allo svolgersi del racconto: il tema del Flux infatti viene affrontato dai due giovanissimi registi della stagione – Jamie Magnus Stone e Azhur Saleem – attraverso una ricerca sul colore che diventa la marca identitaria della miniserie stessa; il Flusso che minaccia l’Universo del Dottore diventa qui una questione visiva, uno scontro ottico tra tavolozze di colore che raggiungono una densità crescente via via che il ritmo del racconto si alimenta, restituendo allo sguardo dello spettatore un piano profilmico che si fa avventura esso stesso. Comunque la si pensi sul risultato narrativo di Doctor Who Flux è innegabile che questa stagione sia una gioia per gli occhi.

Al centro di queste immagini spicca poi in tutta la sua entusiasmante bravura un’esplosiva Jodie Whittaker, fin dall’inizio a suo agio nei colorati panni del Dottore e qui alle prese con il difficile compito di incarnarne la versione più in lotta con la propria identità. Assistiamo a una performance genuinamente sincera, fatta di monologhi dal ritmo imprendibile e di momenti di espressività luminosa, il tutto attraverso una miniserie che sa tingersi di una violenza e un’inquietudine inediti persino per l’incarnazione più moderna della serie. Si resta piacevolmente sorpresi dalla tavolozza di tinte emotive che Jodie Whittaker esprime nei picchi di drammaticità del racconto, trasformandosi nella bussola necessaria per navigare attraverso il variegato e frenetico flusso narrativo.

Non mancano poi in questa stagione i riferimenti espliciti e consapevoli al passato della serie: se Chibnall era partito, nella stagione 11, con la volontà di escludere il pregresso del Dottore dalle sue trame, prima attraverso la 12 – in cui il passato viene accolto per essere riletto e riscritto – e adesso con Doctor Who Flux lo showrunner riporta il racconto sui binari di una tradizione ricca, stratificata e amata, presentando alcuni dei nemici classici del Dottore (su tutti i Sontaran, mai così spaventosi) attraverso una lente schiettamente contemporanea, senza tralasciare interessanti e ricche contaminazioni. In tutto ciò, i nuovi arrivi (specie tra i mostri) risuonano di un’eco tradizionale tale da farsi immediatamente ben accogliere, portando con sé un’intertestualità latente in grado implicitamente di raccontare quello che non c’è spazio di mostrare.

Doctor Who Flux è una miniserie riuscita, una stagione 13 convincente, solida e narrativamente abbastanza elastica da stimolare i discorsi di un fandom tra i più attivi e prolifici del panorama nerd. Allo stesso tempo è l’adeguato canto del cigno per Jodie Whittaker, finalmente inserita in un racconto più che degno della sua bravura, e per Chris Chibnall che restituirà lo scettro di showrunner dalla stagione 14 a Russell T Davies, ovvero colui che nel 2005 restituì al Dottore la vita audiovisiva. Tutto questo non prima di tre episodi speciali a partire da Capodanno, che culmineranno presumibilmente con la quattordicesima rigenerazione del Signore del Tempo più longevo e importante dell’Universo.
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