50 grandi film italiani da vedere su RaiPlay
Per gli amanti del cinema italiano, il catalogo di RaiPlay potrebbe essere la scelta ideale per recuperare o rivedere qualche film a portata di clic. Se siete in dubbio su cosa guardare, non temete: dopo aver scandagliato il repertorio offerto in streaming dalla piattaforma, abbiamo selezionato 50 grandi film italiani da vedere su RaiPlay (gratis, dal momento che il canone lo si paga già in bolletta). Questo elenco eclettico abbraccia diverse epoche e generi, offrendo un viaggio appassionante attraverso il patrimonio cinematografico italiano da metà anni Quaranta ad oggi. Dai classici intramontabili ai titoli contemporanei che si sono fatti notare, preparatevi a immergervi in storie avvincenti e grandi performance, da una miriade di diverse prospettive registiche (cliccando sui titoli andate direttamente alla pagina dedicata allo streaming del film su RaiPlay).
La lista dei grandi film italiani da vedere in streaming su RaiPlay
Il bandito (Alberto Lattuada, 1946)
Presentato in concorso alla prima edizione del Festival di Cannes, Il Bandito è un dramma postbellico che si colloca tra un film neorealista e un noir, con Anna Magnani nel ruolo della femme fatale. Al ritorno dalla guerra, Ernesto (Amedeo Nazzari) trova un’Italia lacerata dal conflitto. In un ambiente in cui l’egoismo e l’indifferenza hanno la meglio, la strada del crimine sembra l’unica alternativa da poter percorrere. | Leggi qui la recensione.
L’onorevole Angelina (Luigi Zampa, 1947)
Angelina (Anna Magnani) è una popolana, madre di cinque figli, della borgata romana di Pietralata. Con il suo spirito combattivo e le sue “baccajate”, conduce i moti di protesta nella periferia romana, avvicinandosi così al mondo della politica come rappresentante del popolo. L’onorevole Angelina fornisce uno sguardo penetrante sulla vita politica e sociale del dopoguerra, e lo fa alternando al dramma il linguaggio della commedia, che beneficia dell’istrionismo di Magnani.
Fuga in Francia (Mario Soldati, 1948)
Dopo la Liberazione, il gerarca fascista Riccardo Torre (Folco Lulli), condannato a morte per crimini di guerra, progetta di espatriare in Francia varcando clandestinamente il confine attraverso un valico nell’alta Val di Susa. Con lui, il figlioletto Fabrizio. Più che al coevo neorealismo, Fuga in Francia aderisce ad atmosfere noir d’ispirazione hollywoodiana. Nel cast compare anche Pietro Germi, che due anni dopo riprenderà il tema dell’espatrio, da tutt’altra prospettiva, con Il cammino della speranza.
Riso amaro (Giuseppe De Santis, 1948)
Un classico del neorealismo italiano con Silvana Mangano, Doris Dowling e Vittorio Gassman, Riso Amaro offre una rappresentazione realistica della vita faticosa, ingiusta e precaria delle mondine nelle risaie del vercellese, sulla quale si innestano le vicende di amore e crimine dei personaggi principali, in uno scontro tra integrità e corruzione.
Bellissima (Luchino Visconti, 1951)
Maddalena Cecconi (Anna Magnani), convinta che sua figlia Maria possieda un talento straordinario per il cinema, decide di portarla a un provino per il nuovo film di Alessandro Blasetti. Le aspirazioni di successo e di benessere nell’Italia del dopoguerra si scontrano però con la dura realtà della vita. Nell’affrontare il rapporto tra cinema e realtà, tra finzione e realismo, Bellissima analizza in modo critico il movimento neorealista, evidenziandone le contraddizioni intrinseche. | Leggi qui la recensione.
Europa ’51 (Roberto Rossellini, 1952)
In reazione a un tragico dramma familiare, Irene Girard (Ingrid Bergman), divorata dal senso di colpa, attraversa una profonda crisi esistenziale che la porta ad abbandonare la vita salottiera per adoperarsi nell’aiutare gli emarginati, quelle classi proletarie e sottoproletarie ignorate dal mondo borghese. Europa ’51, nell’affrontare il conflitto di classe e l’ipocrisia borghese, si rivela un’analisi profonda e intimista della condizione umana e del rapporto con il prossimo.
Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953)
Primo episodio della tetralogia Pane, amore e…, questa commedia romantica inizia con il trasferimento del maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) in un piccolo paese del centro Italia. Comencini offre uno sguardo umoristico e affettuoso sulla società italiana del dopoguerra, rappresentando brillantemente la vita di paese, con le sue dinamiche, con il suo folclore e i personaggi coloriti, tra cui spicca Gina Lollobrigida nel ruolo della “Bersagliera”.
Miseria e nobiltà (Mario Mattoli, 1954)
Basato sull’omonima pièce teatrale di Eduardo Scarpetta, Miseria e nobiltà mette in scena le differenze di classe nella Napoli di fine Ottocento attraverso le (dis)avventure dello squattrinato Felice Sciosciammocca (Totò). Trovandosi a dover impersonare un aristocratico, assieme all’amico Pasquale e alle rispettive famiglie, viene coinvolto in situazioni esilaranti e paradossali.
Senso (Luchino Visconti, 1954)
Svolta decisiva nei confronti del neorealismo, Senso prende le mosse dalla memorabile scena di apertura nel Teatro La Fenice di Venezia, alla vigilia della terza guerra d’indipendenza italiana. La situazione politica turbolenta è narrata attraverso la storia d’amore tra la contessa Livia Serpieri (Alida Valli), favorevole alla causa italiana nonostante sia sposata con un nobile veneto filoaustriaco, e il tenente dell’esercito austriaco Franz Mahler (Farley Granger), una storia travagliata in cui collidono l’amore personale e l’impegno per la causa nazionale.
Siamo uomini o caporali (Camillo Mastrocinque, 1955)
L’umanità, ci dice Totò, è divisa in due categorie di persone: gli uomini – la maggioranza –, costretti a lavorare duramente per tutta la vita senza alcuna soddisfazione, “sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama”, e i caporali – per fortuna, la minoranza – , coloro che sfruttano, che umiliano, che vessano con prepotenza l’uomo qualunque dal loro posto di comando “spesso senza avere l’autorità, l’abilità o l’intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste”.
I soliti ignoti (Mario Monicelli, 1958)
Un classico della commedia all’italiana, nonché uno dei primi film ascrivibili al genere, considerato inoltre tra i capostipiti del caper movie (di cui ne è al contempo parodia), I soliti ignoti vanta un cast eccezionale nei panni di un gruppo di maldestri ladruncoli che tenta di commettere una rapina al banco dei pegni.
La ciociara (Vittorio De Sica, 1960)
Nell’estate del 1943, Cesira (Sophia Loren) decide di lasciare Roma insieme alla figlia dodicenne Rosetta (Eleonora Brown) per sfuggire ai bombardamenti. La loro meta è il paese natale di Cesira, nella rurale Ciociaria, dove incontrano l’antifascista Michele (Jean-Paul Belmondo), che si distingue per la sua reazione di fronte all’inerzia collettiva. Ma è impossibile sfuggire alle violenze e agli orrori della guerra, che tutto distrugge, rimettendo in discussione persino il centrale rapporto madre-figlia.
Divorzio all’italiana (Pietro Germi, 1961)
Il barone siciliano Ferdinando Cefalù (Marcello Mastroianni), invaghitosi della giovane cugina Angela (Stefania Sandrelli), escogita un piano per liberarsi della moglie Rosalia (Daniela Rocca) e ottenere il riconoscimento del delitto d’onore. Sfruttando il cortocircuito di un’Italia in cui non esiste ancora la legge sul divorzio, ma esiste invece la barbarie del delitto d’onore, Pietro Germi dirige una brillante commedia immersa in un contesto di umorismo nero. | Leggi qui la recensione.
Fantasmi a Roma (Antonio Pietrangeli, 1961)
Nell’antico palazzo dei principi Roviano nel centro di Roma vivono cinque fantasmi, antenati del principe che vi dimora. Quando l’ultimo erede decide di vendere il palazzo, che verrà demolito per far posto a un moderno supermercato, per evitare lo sfratto i fantasmi si impegnano a contrastare la speculazione edilizia. Commedia surreale scritta da Pietrangeli con Scola, Flaiano, Maccari e Amidei, Fantasmi a Roma mescola il fantastico con elementi satirici.
La notte (Michelangelo Antonioni, 1961)
La notte si dispiega nel corso di una mezza giornata, esplorando la crisi esistenziale di una coppia borghese (Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau), in cui la notte riveste appunto la parte centrale. Antonioni, con una narrazione lenta e contemplativa, si concentra sull’alienazione emotiva e sulla difficoltà di comunicare, presentando uno sguardo critico sulla società moderna e sulla sua influenza distruttiva sulle relazioni umane. Non per niente, il film è il capitolo centrale della cosiddetta “Trilogia dell’incomunicabilità” del regista, tra L’avventura (1960) e L’eclisse (1962).
I compagni (Mario Monicelli, 1963)
Nella Torino di fine Ottocento, in seguito all’ennesimo incidente, gli operai di una fabbrica tessile decidono di scioperare per chiedere condizioni di lavoro migliori, avvalendosi dell’esperienza del professor Sinigaglia (Marcello Mastroianni). I compagni è un film impegnato, un racconto corale sullo sviluppo della coscienza di classe e sul nascente movimento operaio. Servendosi di un registro che coniuga dramma e commedia, Monicelli analizza le dinamiche sociali, politiche ed economiche dell’epoca, esplorando le tensioni e le lotte all’interno della classe lavoratrice e la risposta delle élite industriali.
Il Gattopardo (Luchino Visconti, 1963)
Quasi dieci anni dopo Senso, Visconti ritorna sull’Italia del Risorgimento con Il Gattopardo, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il film offre una riflessione profonda sulla natura del cambiamento sociale durante l’unificazione e sulle implicazioni che ne derivano per la classe aristocratica (“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”). Visconti ha reso il film visivamente sontuoso, catturando la bellezza e la decadenza di un’era attraverso l’uso di ampie inquadrature e la cura per i dettagli nella ricostruzione storica. | Leggi qui la recensione.
Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965)
Adriana (Stefania Sandrelli) è un’aspirante attrice che cerca di farsi strada nel mondo del cinema. Attraverso una serie di episodi che ne esplorano la tentata ascesa e il declino, Pietrangeli mette in luce la superficialità e l’ipocrisia dell’industria dello spettacolo e della società dei consumi.
L’armata Brancaleone (Mario Monicelli, 1966)
La commedia all’italiana incontra la farsa medioevale nel seguire le avventure del sedicente cavaliere Brancaleone da Norcia (Vittorio Gassman), che si ritrova a guidare un gruppo eterogeneo di personaggi, ognuno con le proprie peculiarità, in una serie di peripezie sgangherate alla conquista di un feudo.
A ciascuno il suo (Elio Petri, 1967)
Non convinto della direzione che stanno prendendo le indagini ufficiali, l’insegnante liceale Paolo Laurana (Gian Maria Volonté) inizia a cercare la verità dietro a un duplice omicidio in un paese siciliano. Tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo è un coraggioso film di impegno sociale che segna l’inizio del sodalizio artistico Petri-Pirro-Volonté.
Dillinger è morto (Marco Ferreri, 1969)
Tornato a casa da lavoro, il designer industriale Glauco (Michel Piccoli) trova una pistola nella sua casa, impacchettata in un quotidiano d’epoca che riporta la notizia della morte del gangster John Dillinger. Con un approccio sperimentale alla forma cinematografica, in cui l’assenza di narrazione diventa la narrazione stessa, Ferreri gioca con la percezione del tempo e dello spazio e con l’uso simbolico degli oggetti, creando una sorta di surrealtà che dipinge l’alienazione e l’insoddisfazione dell’uomo.
Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (Ettore Scola, 1969)
Oreste Nardi (Marcello Mastroianni), un muratore sposato, incontra la fioraia Adelaide Ciafrocchi (Monica Vitti) alla Festa dell’Unità e si innamora di lei, ricambiato. Tuttavia, Adelaide non sa scegliere tra lui e il piazzaiolo Nello Serafini (Giancarlo Giannini), che le ha presentato lo stesso Oreste, e intraprende una relazione con entrambi, il che scatena la gelosia dell’uomo. Quel “tutti i particolari in cronaca” tra parentesi nel titolo suggerisce l’approccio “documentaristico” di ricostruzione degli eventi. Scola utilizza la gelosia come veicolo per esplorare temi più ampi legati al desiderio, all’insicurezza e alla natura effimera dell’amore romantico.
Il conformista (Bernardo Bertolucci, 1970)
Marcello (Jean-Louis Trintignant) è un giovane borghese ossessionato dalla paura della diversità e desideroso di conformarsi alle norme sociali dell’epoca; da qui deriva l’adesione al partito fascista, al punto da diventare una spia dell’OVRA. La sua missione, approfittando del viaggio di nozze con Giulia (Stefania Sandrelli), è quella di assassinare il suo ex professore, un intellettuale antifascista rifugiatosi a Parigi. Il conformista, con la fotografia di Vittorio Storaro, mette in scena la lotta tra la volontà individuale e le forze sociali coercitive.
Il caso Mattei (Francesco Rosi, 1972)
Il caso Mattei è un film-inchiesta sulla misteriosa morte del controverso presidente dell’Eni Enrico Mattei, che perse la vita in un incidente aereo nel 1962. Con particolare attenzione ai rapporti tra Mattei e certi interessi nazionali e internazionali, la struttura narrativa si muove tra ricostruzione biografica e indagini con l’uso di flashback e flashforward: da una parte l’uomo Enrico Mattei, interpretato da un intenso Gian Maria Volonté, impegnato nella lotta per l’indipendenza energetica dell’Italia, dall’altra le ricerche dello stesso Rosi (comprese le indagini del giornalista Mauro De Mauro, scomparso in circostanze sospette). | Leggi qui la recensione.
Un Amleto di meno (Carmelo Bene, 1972)
Ultima delle cinque opere cinematografiche di Carmelo Bene, Un Amleto di meno è una versione iconoclasta, destrutturata e rielaborata della classica tragedia shakespeariana, mescolata con il racconto Amleto o le conseguenze della pietà filiale del poeta francese Jules Laforgue.
Roma (Federico Fellini, 1972)
Fellini dipinge un ritratto surreale e visionario di Roma costruendo una commistione tra documentario e fantastico, che mescola realtà e finzione, salta da un’epoca all’altra, da un genere all’altro, da un ambiente all’altro, per restituirci il suo sguardo personale sulla Città Eterna. | Leggi qui la recensione.
Piedone lo sbirro (Steno, 1973)
Primo film della fortunata tetralogia di Steno con Bud Spencer, mix tra commedia e poliziottesco, in Piedone lo sbirro il vicecommissario della polizia Rizzo, detto Piedone, cerca di sgominare il clan dei Marsigliesi nonostante venga sospeso dal servizio dal nuovo commissario capo, che non approva i suoi metodi “anticonvenzionali”.
Profumo di donna (Dino Risi, 1974)
Il capitano in pensione Fausto Consolo (Vittorio Gassman), cieco a causa di un incidente avvenuto durante la sua carriera militare, decide di compiere un viaggio verso Napoli, accompagnato da un soldato di leva assegnatogli come attendente, Giovanni (Alessandro Momo). L’atteggiamento disilluso e machista di Consolo nasconde in realtà un vissuto di dolore e solitudine.
Allegro non troppo (Bruno Bozzetto, 1977)
Ispirandosi dichiaratamente al Fantasia disneyano, ma con un approccio umoristico e spesso cinico alla vita e alla creatività, Bruno Bozzetto realizza un film a tecnica mista in cui sei episodi animati – stilisticamente e tematicamente diversi, ciascuno accompagnato da un celebre brano di musica classica – intervallano l’esibizione di un’orchestra composta da vecchiette che indossano abiti in stile Belle Époque.
Morto Troisi, viva Troisi! (Massimo Troisi, 1982)
Nel 1982 Rai Tre introduce la serie Che fai…ridi?, un ciclo di corti e mediometraggi dedicati ad attori comici della scena italiana. Con grande originalità, Massimo Troisi inscena la sua morte e la relativa commemorazione nella forma di un finto reportage.
Speriamo che sia femmina (Mario Monicelli, 1986)
Nelle parole dello stesso Monicelli, Speriamo che sia femmina è “un ritratto di una famiglia borghese allargata, come ce ne sono tante al giorno d’oggi, in cui i toni della commedia convivono con quelli drammatici di ogni esistenza umana”. Nella famiglia in questione spicca il ruolo predominante delle donne, in netto contrasto con l’immaturità dei personaggi maschili.
Nuovo Cinema Paradiso (Giuseppe Tornatore, 1988)
Nuovo Cinema Paradiso è un doppio omaggio, alla Sicilia e alla Settima Arte, narrato attraverso il ricordo da parte del protagonista della sua infanzia e adolescenza, in cui rivestono un ruolo fondamentale e formativo il legame speciale con il proiezionista Alfredo e la passione per il cinema.
Il bagno turco – Hamam (Ferzan Özpetek, 1997)
Nell’esordio cinematografico di Ferzan Özpetek emergono già alcune delle caratteristiche e dei temi che diventeranno distintivi e ricorrenti nei suoi successivi lavori. Il bagno turco è un viaggio, fisico ed emotivo, attraverso l’identità e la scoperta di sé di Francesco (Alessandro Gassman) nell’atmosfera avvolgente di Istanbul.
I cento passi (Marco Tullio Giordana, 2000)
A Cinisi, cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella del boss di Cosa nostra Gaetano Badalamenti. Marco Tullio Giordana dirige un credibilissimo Luigi Lo Cascio nel ruolo di Impastato, seguendo l’impegno politico e la lotta dell’attivista contro la mafia in un film di impegno civile.
Smetto quando voglio (Sidney Sibilia, 2013)
L’esordio al lungometraggio di Sidney Sibilia affronta la precarietà lavorativa e la crisi occupazionale con lo strumento della commedia. Smetto quando voglio, col suo color grading super saturo, segue un gruppo di ex ricercatori universitari che decidono di produrre e vendere una nuova droga per risolvere i loro problemi finanziari.
Non essere cattivo (Claudio Caligari, 2014)
Non essere cattivo è un viaggio crudo e toccante nel disagio del litorale romano degli anni Novanta. Al suo terzo e ultimo film, Claudio Caligari – erede morale di Pasolini – cattura con sguardo autentico la vita di due amici, Vittorio (Alessandro Borghi) e Cesare (Luca Marinelli), intrappolati in un vortice di droga e violenza, immersi in una lotta alla sopravvivenza da cui tentano di emergere in un complicato percorso di riscatto.
Bella e perduta (Pietro Marcello, 2015)
Nel cuore della Terra dei fuochi, il pastore Tommaso Cestrone si dedica anima e corpo a preservare la reggia borbonica di Carditello, che versa nell’assoluto abbandono, diventandone il custode a titolo volontario. La morte improvvisa di Cestrone trasforma Bella e perduta – nato con il progetto di essere un “viaggio in Italia” in diverse tappe – in una toccante commistione di documentario e finzione, di realtà e fiaba. A un Pulcinella (Sergio Vitolo), mediatore tra i vivi e i morti, viene affidato il compito di adempiere l’ultimo desiderio di Tommaso: portare in salvo da morte certa il giovane bufalo Sarchiapone, che ha il dono della parola (e la voce di Elio Germano).
Il racconto dei racconti (Matteo Garrone, 2015)
Il racconto dei racconti è un intreccio di tre diversi episodi, liberamente ispirati ad altrettanti racconti tratti dalla raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Garrone – con un cast internazionale al suo seguito – crea una concatenazione di storie suggestive e grottesche, intrecciando le vite di re, regine e creature fantastiche, dove gli scenari maestosi e i costumi elaborati catturano l’essenza di un Seicento fiabesco e surreale.
Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2015)
Gettatosi nel Tevere per sfuggire alla polizia, il ladruncolo Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) entra in contatto con dei rifiuti radioattivi, acquisendo così abilità straordinarie che lo rendono un possibile, seppur improbabile, supereroe. Lo chiamavano Jeeg Robot, esordio al lungometraggio di Gabriele Mainetti, è una ventata d’aria fresca nel cinema di genere – potremmo anzi dire “di generi”, al plurale – italiano.
La pazza gioia (Paolo Virzì, 2016)
Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella (Micaela Ramazzotti), pazienti in una comunità per donne affette da disturbi mentali, colgono un’occasione per darsi alla fuga, intraprendendo un viaggio avventuroso che segnerà una svolta significativa nelle loro esistenze. Virzì mescola abilmente momenti umoristici e toccanti, offrendo una visione empatica della malattia mentale nella storia di due donne molto diverse ma legate da una grande alchimia.
Gatta Cenerentola (Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, 2017)
Ispirato all’omonima fiaba di Giambattista Basile, Gatta Cenerentola è un immersivo film d’animazione che non rinuncia alla potenza archetipica del topos di Cenerentola, ma vi aggiunge magistralmente elementi innovativi. Protagonista indiscussa è la città di Napoli, con le sue luci e le sue ombre, ritratta come una cupa metropoli futuristica. | Leggi qui la recensione.
Dogman (Matteo Garrone, 2018)
Marcello (Marcello Fonte) è un toelettatore di cani, in balia dei soprusi dell’ex pugile Simone (Edoardo Pesce). Nell’ispirarsi a quel fatto di cronaca nera divenuto noto come “il delitto del canaro della Magliana”, Matteo Garrone cattura con brutalità emotiva l’atmosfera claustrofobica di una periferia in cui non c’è scampo alla sopraffazione del più forte sul più debole. | Leggi qui la recensione.
Lazzaro felice (Alice Rohrwacher, 2018)
Un gruppo di contadini, praticamente ignari del mondo esterno e del mutamento sociale della modernità, vive e lavora in condizioni di mezzadria in un’isolata piantagione di tabacco, agli ordini della dispotica marchesa Alfonsina De Luna. Tra di loro c’è Lazzaro (Adriano Tardiolo), un giovane dal cuore puro e dall’animo candido, che stringe una forte amicizia con Tancredi, il figlio della marchesa. Alice Rohrwacher, con elementi di realismo magico, esplora la possibilità della bontà in un mondo snaturato.
Santiago, Italia (Nanni Moretti, 2018)
Santiago, Italia affronta le conseguenze del colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973, focalizzandosi sul ruolo dell’ambasciata italiana come rifugio per i perseguitati politici. Il microcosmo dell’ambasciata si fa specchio delle tensioni politiche e delle implicazioni umane della diaspora cilena. Moretti combina interviste testimoniali (che arrivano da entrambe le parti, ma mai con sguardo imparziale), immagini d’archivio e momenti di grande empatia. | Leggi qui la recensione.
La famosa invasione degli Orsi in Sicilia (Lorenzo Mattotti, 2019)
Un gruppo di orsi, guidato dal re Leonzio, parte alla ricerca del figlio di quest’ultimo, Tonio, rapito dagli umani. Basato sull’omonimo romanzo illustrato di Dino Buzzati, La famosa invasione degli Orsi in Sicilia ne omaggia lo stile trasportando gli spettatori in una suggestiva Sicilia in cui si troveranno a convivere orsi e umani, nella cornice narrativa di uno scambio di racconti e punti di vista. | Leggi qui la recensione.
Le sorelle Macaluso (Emma Dante, 2020)
Emma Dante porta sul grande schermo il suo dramma teatrale Le sorelle Macaluso. Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella sono cinque sorelle, nate e cresciute in un appartamento di una palazzina nella periferia di Palermo. Questo luogo, privo della presenza genitoriale, diventa testimone del trascorrere del tempo, custodendo i loro ricordi e il lascito di un trauma infantile, in bilico tra i sogni e i rimpianti, tra la vita e la morte. | Leggi qui la recensione.
Volevo nascondermi (Giorgio Diritti, 2020)
Volevo nascondermi cattura l’essenza tumultuosa e tormentata della vita del pittore Antonio Ligabue, interpretato da Elio Germano, distinguendosi per la sua sensibilità nell’esplorare la psicologia del protagonista, senza indulgere nella semplice retorica biografica. Anche grazie al montaggio, non lineare e frammentato come la mente di Ligabue, Diritti offre uno sguardo penetrante sulla lotta dell’artista con la propria identità e la società. | Leggi qui la recensione.
Atlantide (Yuri Ancarani, 2021)
Yuri Ancarani mette a frutto la sua esperienza come video artista nell’estetica di Atlantide, film nato senza sceneggiatura, innestando una storia di finzione su materiale documentario. Al centro del film ci sono gli adolescenti veneziani – Daniele in primis – con i loro barchini, che si sfidano in gare ad alta velocità sulle acque della laguna. | Leggi qui la recensione.
Il buco (Michelangelo Frammartino, 2021)
Nel 1961 un gruppo di speleologi compie una pionieristica discesa nell’Abisso del Bifurto, nel massiccio del Pollino, in controtendenza con “l’ascesa” data dalla costruzione dei grattaceli nel Nord Italia. Con Il Buco, Michelangelo Frammartino rivive questo straordinario evento. Mentre gli esploratori scendono nella grotta, la vita di un vecchio pastore immerso nelle montagne calabresi sembra l’unica connessione residua con la natura, con un mondo ormai perduto, in un Paese che attraversa cambiamenti epocali. | Leggi qui la recensione.
Qui rido io (Mario Martone, 2021)
Mario Martone rende omaggio alla persona e al personaggio del celebre commediografo e attore teatrale Eduardo Scarpetta (interpretato da Toni Servillo), immergendosi nella Napoli del primo Novecento con Qui rido io. Il regista porta sullo schermo non solo la brillantezza delle performance di Scarpetta e le sue sfide artistiche, ma anche il contesto familiare e culturale che ha puntellato la sua carriera, espandendo la dimensione teatrale oltre i confini del palcoscenico. | Leggi qui la recensione.
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