
Alice Rohrwacher e il segreto della bellezza
Alice Rohrwacher si è approcciata al mondo della regia da pochi anni, eppure è già tra i nomi più noti e promettenti del cinema italiano contemporaneo. I suoi (ad oggi) tre film si possono racchiudere in un unico ciclo che ha il suo inizio con un primo lungometraggio Corpo Celeste (2011), prosegue con Le Meraviglie (2014) e si conclude con un terzo film che si presenta come punto di arrivo dei due precedenti e come il raggiungimento di una consapevolezza insieme tecnica e tematica che contiene, amplifica e giustifica i due film precedenti: Lazzaro Felice (2018).
I protagonisti della Rohrwacher sono tutti ragazzi in crescita, nel pieno della loro scoperta di come funziona il mondo: se la tredicenne Marta, di Corpo Celeste cammina a un ritmo sincopato per le strade degradate della periferia di Reggio Calabria dove si è appena trasferita, scontrandosi con una chiesa inumana e schematica, allo stesso modo, Gelsomina, protagonista di Le Meraviglie si confonde e si scontra a un tempo con il territorio rurale in cui sembra agire fluida, unica della famiglia interessata a conoscere un mondo altro fuori da quello che vive, sia attraverso un assurdo concorso televisivo, sia attraverso la curiosità per il misterioso ragazzino dall’istituto correttivo che arriva a vivere con la famiglia. Lazzaro poi, completamente aderente alla terra che lavora, al casale e ai campi in cui si è trovato dalla nascita, senza nemmeno chiedersi un perché, senza sognare o desiderare altro, fosse anche solo perché non conosce quell’altro che esiste al di fuori della sua quotidianità, è indubbiamente la sintesi dell’invisibilità delle protagoniste dei film precedenti.

In ognuno dei tre film, lo scontro con l’altro da sé è aperto e amaro, partecipante attivo di un equilibrio che continua a rompersi e a ristabilirsi uguale a sé stesso, indipendentemente dal dove.
Ciò che distingue questi tre protagonisti è il silenzio: in un contesto in cui tutti gli altri personaggi continuano a zittirli, il loro mutismo è di protezione e osservazione; accompagna una presa di coscienza sullo stato delle cose, che passa attraverso il solo senso della vista, unico a loro concesso. In questo si riflette forse la sapienza della costruzione di atmosfere evocative da parte della regista: gli occhi di Lazzaro, di Marta e di Gelsomina sono tutti volti alla stessa visione, a cui la Rohrwacher riesce a conferire sempre la stessa intensità.
Si può dire che tutti e tre questi protagonisti sono “corpi celesti”, che emergono dalla pellicola in primi piani insistenti e campi lunghi, tra colori opachi e granulosi. Attraversano gli spazi, le stanze, attraversano epoche (nel caso di Lazzaro) uscendo illesi e immuni al mondo. Eppure nel loro attraversare i luoghi, rimangono sempre gli stessi, non mutano, rendendo intorno a loro gli spazi circoscritti e finiti. Non è casuale inoltre che tutte e tre le pellicole si aprano con riprese notturne, come se il film fosse un parto, un’uscita dal buio per venire alla luce. Ma non è solo questo aspetto ad accomunare i tre film, a farne un ciclo che accompagna di pellicola in pellicola lo spettatore all’interno della visione della Rohrwacher.

Lazzaro Felice si presenta prima di tutto come sintesi degli ambienti dei film precedenti: se la prima parte della pellicola si sviluppa in una campagna vasta e desolata, che assomiglia nei colori e nella struttura del casale alla campagna di Le Meraviglie, la seconda parte trova il suo luogo nella periferia urbana, che per colori, suoni e degrado rimanda immediatamente al paesaggio di Corpo Celeste, pellicola in cui il paesaggio però si ricopre di sacro e spirituale nel momento dello svelamento della spiaggia al crepuscolo, ammobiliata apparentemente senza ragione dagli accattoni che accompagnano tutto il film. Per Lazzaro Felice invece la sacralità del luogo si manifesta nel contesto del vecchio silo accanto ai binari, in cui i personaggi costruiscono la loro abitazione definitiva, vivendo appunto anch’essi di materiali recuperati.

Il tema dell’oggetto recuperato dunque attraversa tutti e tre i film: gli accattoni di Corpo Celeste che fanno solo da sfondo alla vicenda di Marta, ma anche gli svaligiatori che irrompono nel casale di Lazzaro Felice in cerca di mobili da riutilizzare o oggetti di valore da rivendere, e nel mezzo i vecchi secchi della vernice usati per raccogliere il miele in Le Meraviglie. Ogni oggetto è usato, riciclato dai personaggi e utilizzato per costruire qualcosa di nuovo, per darsi una nuova dignità. Su questo tema dialogano infatti tutti e tre i film: ognuno dei personaggi cerca un equilibrio oltre lo scontro con le cose, restando indicibilmente legato a quello che era prima, in una ricerca che ha del sacro ma non strettamente del religioso. La piccola Marta infatti, nella ricerca della sua dignità personale decide al contrario di distaccarsi da una chiesa in cui non si riconosce; Gelsomina cerca di dare una dignità e riconoscibilità a sé stessa e all’azienda del padre iscrivendosi a un concorso televisivo per imprese agricole locali; Lazzaro invece cerca oltre le epoche il suo “amico” Tancredi che gli ha fatto una enorme promessa di dignità e finisce invece, una volta deluso, per ritrovare certezza nella sua condizione originale, anche se in un contesto non più agricolo ma urbano. Si parla di tre protagonisti alla ricerca del segreto della bellezza all’interno del mondo, della felicità, ma tutti e tre la scoprono soltanto dentro di sé, scontrandosi con un mondo che di bello pare non avere niente, dove ogni condizione resta identica a sé stessa e il senso di comprensione e di comunità non può esistere al di fuori di ciò che già ci siamo creati.
Ma allora qual è il segreto della bellezza, della felicità? Alice Rohrwacher non ce lo propone, non ha la soluzione. Ha le storie però, ha la visione e si rende sempre più in grado di trasmettercela.
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