
GLOW – Fenomenologia di una cancellazione
Ha lasciato sorpresi e delusi i fan la notizia della cancellazione in itinere della quarta stagione di GLOW, serie originale Netflix iniziata nel 2017 incentrata su uno show di wresling femminile a metà anni ’80. La causa ufficiale, dichiarata da Netflix e condivisa dai protagonisti della serie sui loro canali social, è l’eccessiva latenza tra l’uscita della terza stagione (2019) e l’ipotetica uscita della nuova (2022), interrotta a causa delle misure di prevenzione sanitaria. Questo episodio, se osservato con attenzione, può dirci molto di come Netflix considera i propri prodotti, andando a indagare ipotetici motivi “secondari” dietro questa improvvisa cancellazione.

Va detto subito: il motivo non è strettamente – o meglio, direttamente – economico. La pre-produzione era conclusa, tanto che si era in piena produzione, con il primo episodio della stagione già filmato. Questo ci fa pensare a budget già stanziati, maestranze pagate, location prenotate e, soprattutto, contratti firmati tra attori e produzione. La decisione di Netflix quindi appare ancor più radicale: sono disposti a rinunciare a impegni presi, budget spesi e la completezza di un prodotto in buona parte identitario per ragioni sostanzialmente di tempismo.

Perché, va detto, GLOW è, per Netflix, un prodotto identitario da più punti di vista, cioè una di quelle serie che accoglie e ripropone elementi tipici e riconoscibili della piattaforma: cast importante, ambientazione nostalgica, colonna sonora “Spotify-friendly”, tematiche LGBT esplicite e integrate nel racconto, un fandom vivo e, soprattutto, punti di contatti con altri prodotti del player streming. Certo, non possiamo ritenere GLOW al pari di Stranger Things o La casa di carta, ma sicuramente parliamo di un prodotto accomunabile a Sex education o Sabrina (la cui produzione è data fortunatamente per conclusa). Non un titolo da Serie A, ma sicuramente una serie attesa, specie se in chiusura.

Ma quindi quali sono le logiche che stanno dietro a una cancellazione Netflix? Già in precedenza abbiamo visto cancellare dalla piattaforma serie di successo, come quelle a marchio Marvel, quindi possiamo tranquillamente affermare che non è solo l’audience – o comunque la fortuna di pubblico – a decretare il rinnovo o meno di un titolo. Ma se dietro la cancellazione da parte di Netflix delle serie Marvel vi era evidentemente l’arrivo della piattaforma Disney+, cosa sta dietro la repentina interruzione di GLOW?

Molto probabilmente la questione è, come già accennato, il tempismo. Netflix, come molte altre piattaforme web contemporanee, ha il suo primo obiettivo nel mantenimento dell’utente – o meglio, dell’user – al proprio interno, facilitando e incoraggiando al massimo il passaggio da un contenuto all’altro senza mai uscire dagli spazi variabilmente arredati dal player. Il suo vero prodotto – inteso come oggetto di consumo – non è uno spazio inserzionistico più o meno vasto – Netflix non fa esplicitamente pubblicità -, ma l’attenzione dello spettatore.

In questo senso, il rilascio misurato delle diverse stagioni di un prodotto incoraggia l’utente a mantenere vivo l’abbonamento, a parlare del titolo in arrivo, magari stuzzicato da contenuti speciali, brevi docu-serie, prodotti in qualche modo correlati a quel particolare contenuto. Va letto così, ad esempio, il continuo rilascio di contenuti a tema The Witcher che riempiono il vasto iato dovuto alla lenta produzione della seconda stagione. Lo spazio tra il 2019 e il 2022 appare, in questa logica, eccessivo e un motivo quasi ragionevole: quanto pubblico di GLOW sarebbe davvero disposto a rinnovare altri due anni di abbonamento in attesa di una stagione conclusiva che in parte già sembrava “eccedere” rispetto al finale della terza?

Ma il tempismo è cruciale anche in un altro senso: GLOW, come Community e Horse Girl, fa parte della costellazione di prodotti correlati all’attrice – e, grazie a Netflix, autrice – Alison Brie, già protagonista di BoJack Horseman e tra i personaggi principali di Mad Men, per lungo tempo su Netflix e ora su Prime Video. Quindi GLOW si inseriva in una logica di economia di scopo su cui le piattaforme streaming puntano moltissimo, utilizzando al massimo ogni singolo elemento delle loro produzioni, tra cui le star, incoraggiate a restare con i player attraverso la garanzia di uno spazio libero dove sperimentare lavori autoriali che non avrebbero spazio altrove.

Ma Alison Brie è ancora un elemento esclusivo Netflix? Probabilmente no: come si è detto, Mad Men è approdato su Prime Video – dove si trova anche Community -, inoltre l’attrice californiana è stata ingaggiata da Disney per dirigere un episodio di Marvel’s 616, docu-serie in arrivo a novembre su Disney+. Possiamo quindi ipotizzare che il rapporto tra Netflix e la Brie fosse quest’anno ragionevolmente in scadenza, tanto da rendere il 2022 una data troppo lontana a livello contrattuale per una serena produzione, post-produzione e distribuzione (con promozione) di GLOW, tanto da far optare per una cancellazione, seppur in corso d’opera.

Queste logiche sono ancora nuove per il mondo audiovisivo, dove non è solo il successo di un prodotto a decretarne o meno il rinnovo. Da fan, analisti e osservatori dobbiamo quindi tenere gli occhi aperti, perché, a quanto pare, nessun titolo – specie se conclusivo – è al sicuro in questo periodo di incertezza produttiva: ben lungi dal voler fare profezie catastrofiche, ma titoli come Peaky Blinders sono oggi i primi a rischiare la stessa sorte di GLOW, a prescindere dalla forza del fandom.
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