
“Chilling Adventures of Sabrina” Pt. 4 – Campionario dell’Impossibile
Si conclude, con il rilascio su Netflix della sua quarta e ultima stagione (o meglio, della sua quarta parte, a voler essere precisi) Chilling Adventures of Sabrina, serie iniziata nel 2018 e che ha raccontato, in veste decisamente più young adults delle sue versioni precedenti, le vicende di Sabrina Spellman e di tutto il suo mondo narrativo creato negli anni ’60 per i fumetti Archie Comics. Va precisato subito: la cancellazione della serie non è stata un fulmine a ciel sereno, dato che difficilmente i prodotti originali Netflix superano le quattro stagioni, e sicuramente non ha visto l’incorrere di problematiche produttive come capitato per GLOW; per questo, gli otto episodi dell’ultima stagione portano inevitabilmente alla chiusura delle linee narrative della serie, presentando però una struttura e un formato decisamente diversi da come sembrava evolversi il prodotto nel suo farsi.

Capita spesso che i prodotti seriali contemporanei varino col tempo il loro formato narrativo a seconda del loro successo, passando da run più antologiche – volte a sperimentare e proporre al pubblico tanti possibili narrativi da reincontrare successivamente – a impianti più orizzontali, con trame dal respiro esteso, ramificato e stratificato, già pensate per protrarsi nel tempo attraverso più stagioni. Con Sabrina sembrava accadere proprio questo: la prima stagione, decisamente più antologica – ogni episodio presentava il classico “problema della settimana”, al netto di piccole sottotrame orizzontali – aveva lasciato il passo a due stagioni dal formato continuo, che sapevano sfruttare il modo antologico per punteggiare di filler mai fini a loro stessi la trama della serie – si pensi ai regalia della terza stagione -, mentre con la quarta, la narrazione torna programmaticamente episodica, tanto che da spettatore si è più preparati dei personaggi stessi riguardo cosa aspettarsi di episodio in episodio.

Questa scelta, apparentemente involutiva rispetto all’intero prodotto, si spiega con la necessità di chiudere ed di esaurire il materiale a disposizione, creando un esplicito campionario narrativo fatto di generi, toni, riferimenti e contaminazioni che rendono la quarta stagione di Sabrina il coronamento del “modello Netflix” per un certo tipo di serialità. Ognuno degli otto episodi porta con sé un Eldritch Terror, una minaccia magica ricostruita a partire dal substrato para-mitologico su cui si fonda l’intera serie, e partendo da esso la quarta stagione diventa un catalogo di narrativa horror, neanche troppo soft, su modello di quanto già proposto da Lovecraft Country: nell’anno audiovisivamente più dedicato al padre del terrore per antonomasia, ben due episodi fanno esplicitamente riferimento all’immaginario lovecraftiano (con tanto di Montagne della Follia), accanto a racconti che spaziano dalla ghost story fino alla distopia alientante, con esplicite e puntuali citazioni dal mondo del terrore.

Limitandoci a due episodi, il sesto e il settimo – per altro i migliori della quarta stagione – troviamo già notevolissimi esempi di come il formato antologico renda questo fine-serie il coronamento di un prodotto pensato con consapevolezza tanto del proprio linguaggio, quanto delle proprie fonti – ricordando che il creatore della serie, Roberto Aguirre-Sacasa, ne firma anche la serie a fumetti. Nel sesto episodio, i soli primi venti minuti sanno unire insieme, in un condensato di sinergia iconografica audiovisiva, Arancia Meccanica, Tenacious D e il Destino del Rock, Les revenants e Nightmare, facendone deflagrare le conseguenze in un crescendo che non può che far la gioia di chi, delle serie Netflix, ama soprattutto le studiatissime playlist; il settimo episodio, invece, con il suo impianto sfacciatamente e cinicamente metatestuale, diventa il manifesto di come Netflix debba buona parte del proprio successo alla capacità di riappropriarsi di immaginari passati, condendoli di feroce nostalgia: in una sorta di parodia di quanto fatto con Gilmore Girls, nella quarta stagione di Sabrina ci viene chiaramente mostrato come questo prodotto vada letto in rapporto al suo predecessore, Sabrina, the Teenage Witch, con tanto di apparizioni più che celebri.

Un campionario dell’impossibile, quindi, che mostra come lo spunto per ogni episodio avrebbe potenzialmente portato, in altre condizioni, ad intere stagioni, sacrificando un notevole potenziale narrativo che ci si augura trovi maggior spazio nei fumetti. Certo è che, al contrario di tanti prodotti simili, Chilling Adventures of Sabrina ha saputo farsi forza di quell’atteggiamento alle volte sfacciatamente mumbo-jumbo che la narrativa USA ha nei confronti del paranormale, mischiando insieme religione, tradizioni, superstizioni, mitologia e credenze in una sorta di bancarella del mistico – ben rappresentata, in questa stagione, nel campionario di oggetti occulti venduti da un personaggio ricorrente – con cui giocare liberamente per creare un mondo di magia disordinata e disorientante, coerentemente con il modo in cui è vissuta da parte di chi questo mondo lo vive e con l’impianto iconografico barocco con cui è rappresentata.

Non mancano chiaramente i difetti, che – vuoi la fretta narrativa, vuoi la necessità di targettizzare l’audience – si possono riassumere nell’eccesso di teen drama in un prodotto che sembrava volgere altrove la propria direzione, tanto da far risultare stonati i momenti di eccessiva romance tra i personaggi. In questo, la sapiente scelta di non risparmiarsi picchi di squisita crudeltà, riporta presto ogni episodio sui binari dell’epica sottile con cui è intrisa l’intera serie, al netto dell’insistenza sul tema del compleanno (e con esso del tempo che inesorabilmente non passa) e della conquista della propria sessualità, quest’ultimo un po’ in frizione con quanto mostrato nelle stagioni precedenti.

Si conferma la generale bravura dell’intero cast, a partire dalla protagonista, Kiernan Shipka, che tiene perfettamente il passo dei grandi nomi coinvolti nella produzione – Miranda Otto, Michelle Gomez e Richard Coyle su tutti. Una menzione particolare va però tributata a Chance Perdomo, già nelle precedenti stagioni incredibilmente a suo agio nei panni di Ambrose Spellman (avendo il delicato compito di far affezionare a un personaggio sconosciuto ai più), che in quest’ultima parte della serie regala una performance attoriale totale, al servizio di ogni esigenza del racconto, perfettamente equilibrata tra fisicità e emotività.

La fine di Sabrina con la sua quarta stagione lascia comunque un vuoto nel catalogo Netflix, che si somma alla repentina perdita di prodotti identitari che, pur restando sempre a disposizione nel catalogo, vanno via via a spegnere la fiamma del discorso sociale intorno a loro, tanto da farci interrogare su quali altri nuovi titoli sapranno consolidare la successiva generazione della più pervasiva delle OTT.
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