
Sex Education 2 – Ri-educazione sentimentale
All’interno del vasto panorama mediale reso particolarmente prolifico dalle piattaforme OTT – di cui Netflix resta la più rappresentativa – l’orizzonte della distribuzione digitale ha presto fatto intuire la necessità di ridisegnare il concetto stesso di “formato”, ormai libero dalle gabbie di palinsesti, stagionalità ed esigenze extra-testuali. Prima però che questa potenziale anarchia strutturale esplodesse tra autori e produttori, proprio Netflix si è posto come modello di formalizzazione del seriale, proponendo scansioni temporali e narrative ormai consolidate all’interno dei suoi prodotti originali, con risultati spesso vincenti. Sex Education ne è un chiaro e riuscito esempio: con la sua seconda stagione porta avanti un modello di serialità che, nel suo incorporare elementi tradizionali, diventa parte dell’identità specifica di ciò che nasce per e all’interno di piattaforme come Netflix.
Come altri prodotti Netflix prima di lui, Sex Education propone, con la sua seconda stagione, non solamente la prosecuzione degli eventi raccontati nella prima, bensì un’ulteriore stratificazione delle chiavi di lettura, portando la narrazione a un nuovo e superiore livello di complessità. Come già accaduto con Stranger Things o con Chilling Adventures of Sabrina, la costellazione di personaggi si consolida, limitando i nuovi ingressi e proponendo una lettura “in profondità” delle diverse situazioni; tutto ciò aumentando l’intreccio delle singole linee narrative in modo da dare origine a interessanti effetti di risonanza.
Sono in risonanza, infatti, tutte quelle storyline che, da parallele, arrivano a rafforzarsi l’una con l’altra, andando a definire una tenuta tematica riconoscibile all’interno dell’intera stagione; questo secondo capitolo di Sex Education mette in scena situazioni all’apparenza distanti, che portano lo spettatore a sospendere e rinegoziare il proprio giudizio su ciò che sta guardando a seconda della sua risoluzione: per fare un esempio, tra i tanti triangoli amorosi raccontati, quelli che vedono protagonisti rispettivamente Otis (Asa Butterfield) ed Eric (Ncuti Gatwa) inducono a chiedersi se sia legittimo avere un unico metro di giudizio sulle relazioni raccontate.
La dimensione sessuale e quella sentimentale arrivano, in questa seconda stagione, a rincorrersi costantemente, disegnando un prodotto che, per quanto facilmente accattivante, non scade nel semplicistico o nel superficiale, mantenendo salda la capacità di suscitare il bingewatching, con un efficace gioco di attese e di sospensioni; è nuovamente la dimensione dell’opposizione conflittuale a permeare l’azione, allargandosi però, questa volta, di proporzioni e dimensioni, riuscendo a mettere in crisi persino il nucleo di fondo che dà il titolo alla serie.
Chi ha apprezzato la prima stagione, troverà nel secondo capitolo di Sex Education gli stessi elementi di qualità, a partire da un’ottima recitazione tanto di giovani semi-esordienti (Emma Mackey), quanto di attori affermati e versatili (Gillian Anderson), il tutto unito a una consapevole disinvoltura nel trattare un tema che, anche attraverso il racconto, cerca di uscire via via dalla sfera del tabù. Per quanto riguarda l’apparato tecnico, fotografia e musica rimano nuovamente tra loro, restituendo un’atmosfera elettrica e accesa, dai colori caldi e luminosi, restituendo suggestioni di intensa vitalità.
Come ormai da tempo accade con le serie originali Netflix, la seconda stagione di Sex Education è un’efficace riprova di come, anche nel paradigma digitale, la segmentazione attenta e consapevole della narrazione possa portare alla costruzione di prodotti di qualità, appassionanti e dalla forte tenuta, che permettono un’affezione tale da lasciare aperta l’attesa fino alla stagione successiva. La conferma dell’arrivo di un terzo capitolo mostrerà se la “ricetta Netflix” può mantenere viva la sua efficacia, stimolando la curiosità su quanto Sex Education sappia spingersi ancora più in là senza rischiare di tradirsi.
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