
The Idol – Troppa estetica e poca sostanza?
Per poter valutare la serie HBO The Idol ci vuole un tempo di elaborazione che può variare dai 60 secondi alle due settimane. Una volta arrivati alla fine dell’ultimo episodio, il quinto – disponibile dal 3 luglio su Sky Atlantic e NOW Tv, si sente il bisogno di prendersi un po’ di tempo per metabolizzare. Finito di metabolizzare, ci si rende conto che la prima impressione era stata non solo esatta, ma anche predittiva: The Idol è il tentativo di esasperare una tendenza che finisce per creare un prodotto audiovisivo privo di grandi significati, con l’illusione che sia però attuale e intrinsecamente complesso. In fondo, 60 secondi potevano bastare per una valutazione più o meno altrettanto completa.
La serie tv, andata in onda per la prima volta lo scorso giugno, nasce da Sam Levinson – già regista di Euphoria – e Abel Tesfaye (The Weeknd), che insieme a Lily Rose Depp è anche protagonista della storia. La trama si concentra su Jocelyn (Lily Ross Depp), giovane cantante che capiamo essere all’interno dello star system da quando era una bambina; Joss sta uscendo da un momento delicato della sua carriera in cui è preda di tendenze depressive e crolli psicologici dovuti alla morte della madre, e sappiamo che con i suoi collaboratori sta pianificando il grande ritorno alle luci della ribalta, seppur nell’incertezza della propria salute mentale. Vittima di pressioni pubbliche e di un blocco creativo, Jocelyn incontra Tedros (The Weeknd), proprietario di un locale dal profilo misterioso, o più precisamente confuso, che guida un gruppo di artisti alla ricerca del successo. Inizia qui la loro storia d’amore, anzi di dipendenza, di cui però riusciamo a capire poco e niente.

L’eccessiva cura dell’immagine e la perdita di contenuto
La storia si sviluppa in 5 episodi. Già qui emerge la prima difficoltà: fare in modo che un racconto si esaurisca in maniera coerente in poche parti. Di per sé non si tratta di un grande problema, esistono tantissime miniserie valide e che vale la pena guardare, ma in questo caso si ha l’impressione che lo sviluppo regolare di una trama – per intenderci, quello che prevede un incipit, un problema e una risoluzione – non esista. Ogni scena di The Idol pare voler nascondere un dettaglio importante, in gergo un set-up, che però non porta a nessun pay-off, ovvero che si rivela non essere un elemento rilevante per una lettura dei fatti successivi. Ciascun episodio ci bombarda quindi di immagini esteticamente belle, studiate, esagerate, e ci aspettiamo che queste vogliano dirci qualcosa. Alla fine, guardando l’ultimo episodio, è lecito chiedersi se la nostra aspettativa sia stata o meno soddisfatta.
L’elemento principale dell’intera serie è sicuramente il sesso. Tutto sembra essere il tentativo disperato di naturalizzare la sessualità, la nudità, la disinibizione. Ma agli occhi dello spettatore questo eccesso può diventare l’opposto, uno snaturamento, nel senso che gli espliciti riferimenti al sesso finiscono per essere percepiti come un vezzo creativo del regista. Nonostante inizialmente questo tipo di scene sembrino raccontare tanto dei personaggi, il fatto che la serie acceleri in crescendo il succedersi degli eventi fa morire quel racconto e lo rende fine a se stesso.

Per cui, quando arriviamo alla fine ci chiediamo: quanto di quello che abbiamo visto era funzionale alla trama? Dov’è che finisce la storia e inizia la strumentalizzazione degli elementi estetici di tendenza (la nudità, il make up, il sesso, i colori, la fotografia… )? Tanti dettagli ci ricordano Euphoria come se l’obiettivo di Sam Levinson fosse quello di creare uno stile coerente, o anche un nuovo genere, ma la riuscita delle due serie è talmente diversa che in The Idol non apprezziamo quelle cose che in Euphoria avevamo amato. Eppure anche guardando Euphoria abbiamo avuto la percezione di essere davanti a rappresentazioni esagerate della realtà, la differenza sta nel fatto che in quel caso l’esagerazione è stata un mezzo per la riuscita della storia, ed è proprio quello che farebbe dello stile di Levinson un genere.
In The Idol, invece, si fatica a capire quale sia il messaggio e in che modo venga comunicato. Se l’obiettivo era quello di raccontare le difficoltà e la perversione dello star system, possiamo dire che abbia fallito. Posto che ancor prima di parlare di un fallimento, bisognerebbe chiedersi quanto l’argomento trattato fosse interessante. Se da una parte è appurato che al pubblico piacciano le storie complicate di Britney Spears, Justin Bieber, Demi Lovato e altri, possiamo pensare che un prodotto di finzione che ricalchi le loro vite avrebbe successo? È possibile che Sam Levinson abbia provato a inserire nel suo genere una storia poco attraente, e che quindi abbia sbagliato trama e non stile?

È difficile rispondere, ma è comunque evidente che la serie avesse poco da dire. La storia è infatti povera di argomenti e stiracchia il suo filo di trama in tutti e 5 gli episodi, per poi arrivare alla fine con un plot twist di poco senso, che lascia allo spettatore una chiave di lettura poco coerente con tutto quello che è successo in precedenza.
L’unico grande punto a favore di The Idol lo segna Lily Rose Depp. Per quanto la trama fosse poco sviluppata, il suo personaggio è complesso e di difficile interpretazione. Tutto fa pensare che abbia lavorato con cura a Jocelyn, che abbia plasmato minuziosamente le sue caratteristiche principali e la sua immagine. Anche solo guardando le prime scene emergono i punti fondamentali di Joss, si intuiscono le sue instabilità, il fatto che abbia un passato tormentato, il suo bisogno di cambiamento. È un ruolo tanto estremo da sembrare caricaturale, per il quale non si può non riconoscere che Lily Rose abbia fatto un ottimo lavoro.
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