
I due papi – Kammerspiel in Vaticano
Un anziano capo reparto si presenta nella residenza del suo direttore: è stanco, troppo vecchio e non ha più tanta motivazione, quella necessaria a continuare ad essere un buon venditore per un prodotto di una certa importanza. Si dedicherà al massimo a una piccola impresa. Il direttore però è inamovibile, non accetterà le sue dimissioni, soprattutto perché lo ha convocato ben prima della notizia delle sue dimissioni e con altri piani. Questa è la sinossi del film che tratta dello storico passaggio dal pontificato di papa Benedetto XVI a papa Francesco. Per quanto possa sembrare esageratamente semplificata, a raccontare questa analogia è proprio uno dei due protagonisti, mettendo in chiaro come voglia muoversi I due papi.
Chi si aspetta che l’ipotizzato incontro tra queste due figure storiche si concentri sulla discussione degli argomenti più spinosi e controversi della Chiesa – lo scandalo degli abusi sessuali su tutti – rimarrà deluso. A I due papi non interessa narrare quella parte del mondo cattolico e, abbastanza furbescamente, sposta l’attenzione su strade meno battute. Le controversie recenti vengono affrontate in modo puramente laterale, come una lista di caselle da spuntare nel descrivere l’impopolarità del papato di Joseph Ratzinger, quando sono nominate nei duetti tra i protagonisti sono questioni non da dibattere, ma su cui il giudizio morale è già stato espresso. Addirittura in una sequenza in particolare, il film se ne vergogna tanto da non farci letteralmente sentire quello che viene detto.
Tolta questa maggiore delusione, ci si può concentrare su quello che il film vuole e riesce così bene a narrare: l’incontro tra due figure che sono anzitutto degli esseri umani, coi loro difetti, paure e rimpianti, incidentalmente protagonisti della religione più popolare del pianeta. I due papi ha infatti una instancabile voglia di ribaltare preconcetti su un terreno scontato e paludoso come la drammatizzazione di fatti e figure storiche. Corre pericolosamente sull’orlo dell’agiografia, in particolare per la figura di Jorge Mario Bergoglio, vero protagonista di una pellicola che cerca di coprire un arco temporale molto ampio attraverso numerose ellissi: dalla morte di papa Giovanni Paolo II e il conseguente conclave, fino all’elezione del suo successore, oltre alla vita di Bergoglio narrata con l’ausilio di numerosi flashback.
Ed è un peccato che la volontà di raccontare così tanta storia e materiale porti a un deragliamento del ritmo nella parte centrale, soprattutto quando il passato di papa Francesco e il suo controverso rapporto con la dittatura Argentina fanno perdere l’attenzione su quella che è davvero la perla di questa storia, gli incontri tra i due protagonisti. Ma anche nel peggiore dei pedanti flashback con l’ausilio di voice-over, I due papi si prende il tempo di affrontare con occhio affascinato una materia di così difficile appannaggio come la fede. Bastasse la splendida sequenza girata in bianco e nero della definitiva chiamata al clero di Bergoglio, dove il vuoto e silenzio di un’immensa cattedrale si alternano al suo viso, schiacciato contro la grata in uno stipato confessionale.
Il piatto forte rimangono le effettive interazioni tra Bergoglio e Ratzinger. Dei duetti di perfezione sublime, strutturati nel ritmo e nei dispositivi scenici che ne governano il movimento (bellissimo il dettaglio dell’orologio contapassi di Ratzinger che gli intima di “continuare a muoversi”), quanto nelle singole battute e nell’adorabile comicità e ironia. La sceneggiatura è scritta da Anthony McCarten (La teoria del tutto, L’ora più buia) su adattamento di un suo precedente lavoro teatrale, imprimendo al tutto un sapore da classico Kammerspiel: drammi in miniatura con pochissimi attori in scena, limitato numero di ambienti e forte ricerca di intimismo psicologico. Ma c’è anche il tocco di Fernando Meirelles: chiamato a dirigere le passeggiate e conversazioni di due ottantenni, il regista di City of God ci mette poco a ricordarci quanto ami il montaggio.
Dalla splendida scena del primo conclave, una sinfonia di montaggio basata su sguardi furtivi, camera a mano, zoom veloci e biro scattanti; come nei duetti all’interno della Cappella Sistina, con l’uso di brevi inserti degli affreschi di Michelangelo. Meirelles prende inoltre in prestito gli stilemi di un altro autore che ha affrontato il Vaticano, Paolo Sorrentino e il suo gusto per l’inserimento in colonna sonora di un repertorio in pieno contrasto con la solennità del contesto. La missione di rendere dinamiche e convulse le classiche premesse da racconto senile si può dire pienamente riuscita, assieme a un attento lavoro nella caratterizzazione del brulicante mondo del Vaticano, piccolo ecosistema di aiutanti e servitù il cui sguardo lontano e nascosto è onnipresente.
Ovviamente I due papi è un film che per gran parte si regge sulle spalle dei suoi stessi protagonisti, due ruoli da cui Anthony Hopkins e Jonathan Pryce – soprattutto quest’ultimo, dalla sua comparsa nella seria televisiva Game of Thrones – sono stati rincorsi per anni nei fantacasting ironici che impazzavano sui social. Quando arriva il momento di osservare questi giganti in scena ci ricordiamo improvvisamente di avere davanti due dei più grandi attori inglesi viventi, alle prese con una lezione magistrale di recitazione.
Hopkins opta per un lavoro in sottrazione, fatto di movimenti brevi e scattanti, ammiccamenti e gesti leggeri, quasi a voler trasfigurare il peso della responsabilità insostenibile che il ruolo di papa comporta. A Pryce il difficile compito di evocare la caratteristica più sfuggente di Bergoglio, quel dolce carisma reso attraverso le mille variazioni di un sorriso e la pacatezza della voce. Più di tutto, questi due fuoriclasse sono chiamati ad evocare le anime e personalità che incarnano gli opposti valori della comune fede, eterno scontro tra progresso e conservazione. C’è però un terreno comune su cui riscoprirsi ed è quello che al film preme raggiungere, fatto di piaceri semplici come una Fanta in lattina e una buona pizza condivisa, o i rimpianti degli errori di una vita, quelli di due semplici uomini che per estensione rappresentano differenze e difficoltà dell’eterno incontro tra esseri umani.
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