
The Dark Crystal – L’artigianato del fantastico
I nove anni di incessante successo di Game of Thrones hanno abituato il pubblico del fantasy a un semplicissimo paradigma: per avere un buon prodotto all’interno di questo genere è necessario un altissimo budget, da spendere principalmente per gli effetti speciali, che siano sempre più maestosi e mostrino l’indispensabile preminenza dei mezzi digitali. L’evoluzione di queste tecniche, si sa, sta facendo perdere all’audiovisivo del fantastico quella profonda dimensione artigianale che nella sua epoca classica ha connotato il processo della “costruzione di mondi”.
Ma Game of Thrones è finito, portandosi con sé un’accesa polemica su quanto gli alti budget non possano giustificare la bassa qualità narrativa, e lasciando orfana un’ingente fetta di pubblico amante del genere fantasy che non ha più prodotti su cui riversare la propria passione. Ovviamente i principali competitor del mercato audiovisivo hanno iniziato a proporre soluzioni adeguate alle richieste degli spettatori, ideando e annunciando prodotti che scavassero in nuove e scoperte nicchie del fantasy, tra cui le imminenti The Witcher (Netflix), His Dark Materials (HBO, BBC) e l’annunciata Lord of the Rings (Amazon Prime).
Proprio in quest’ottica nasce The Dark Crystal: la resistenza, serie televisiva in dieci episodi prodotta da Netflix che promette di dare nuova vita all’universo creato dalla folle e geniale mente di Jim Henson – The Muppet’s Show, Labyrinth – nel 1982 con l’omonimo film, rimasto famoso per aver introdotto un immaginario fantasy totalmente pervasivo (dalle musiche alle ambientazioni) e per essere girato interamente senza la presenza di nessun essere umano, ma soltanto con pupazzi e burattini.
Prima dell’uscita dell’odierna serie, la cui trama promette di chiarire i fatti che hanno portato alla situazione con cui inizia il film cult da cui prende il nome, si potrebbe immaginare che la scelta dei pupazzi fosse l’unica alternativa alla mancanza degli oggi tanto agognati effetti digitali, imponendo a una tale produzione un impegno di lavoro artigiano eccezionale per poter risultare credibile; la verità è che quella scelta, allora forse necessaria, oggi appare inevitabile, poiché l’effetto sinestesico che l’immaginario del film ha saputo generare, con una solidità materiale del rappresentato che rende praticamente inevitabile la sua credibilità, non può semplicemente essere raggiunto in alcun modo dal digitale.
The Dark Crystal: la resistenza recupera, quindi, l’antica tecnica delle marionette e dei pupazzi per restituire vita all’universo di Jim Henson, dando il via a una produzione in cui l’alto budget – necessario – è finalizzato a restituire quella genuina dimensione artigianale dietro alla pratica della (ri)costruzione di un mondo che unisce la materialità effettiva all’atmosfera fiabesca, rendendo il prodotto appetibile a tutte le fasce di pubblico.
A questo si affianca una prosa narrativa pulita, tradizionale e, soprattutto, rispettosa dell’eredità cult lasciata dal film d’origine, profondamente radicato nella cultura popolare americana al fianco di tutto il filone fantasy dell’epoca cui si accompagna (La Storia Infinita, per citare un titolo vicino): se l’originale The Dark Crystal è la più tipica storia che ripercorre il “viaggio dell’eroe”, questa serie prequel muove attraverso i sentieri che possono aver portato all’inizio di quel viaggio, senza abbandonare nemmeno una strada, riproponendo un sistema di approfondimento narrativo che abbiamo imparato a conoscere con Star Wars e Il Signore degli Anelli, attraverso, però, una cura ancora più attenta all’economia narrativa: nessuna sequenza è sprecata, nessun personaggio è secondario; ogni luogo è raccontato e ogni azione approfondita, attraverso una scrittura consapevole dello sforzo artigianale e artistico che sta davanti alla macchina da presa.
Perché, come già era il film, The Dark Crystal: la resistenza è una testimonianza della più raffinata arte delle marionette che si possa immaginare, una tecnica teatrale e narrativa apparentemente lontana e desueta, ma che oggi più che mai si adatta a storie ambientate in luoghi lontani e senza tempo – fatto messo in scena all’interno della serie stessa, in una sequenza memorabile – come è questa serie televisiva, piccola perla nel panorama della rinascente offerta fantasy, che forse resterà un prodotto di nicchia, ma che sicuramente dimostra come l’artigianato possa legittimamente convivere con l’universo digitale che sembra pervadere l’audiovisivo contemporaneo.
Per chi volesse approfondire l’universo creato da Jim Henson, oltre al documentario sulla realizzazione della serie, presente anch’esso su Netflix, si rimanda al sito ufficiale, da cui si può verificare l’estrema cura narrativa che connota la costruzione del prequel.
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[…] Resta difficile fare un elenco anche sommario di Tie-In ascrivibili unicamente a questo paradigma produttivo, anche perché spesso questi si nascondono in altre forme seriali o diventano chiavi di lettura di specifici prodotti all’interno del contesto narrativo esteso: per citare un caso, Captain America: The Winter Soldier può essere letto come un Tie-In di Agents of S.H.I.E.L.D. (a sua volta Spin-Off di Avengers) poiché gli eventi del film si collocano molto precisamente tra due episodi della serie targata ABC, che altrimenti ha in sé stessa un forte iato narrativo. Allo stesso modo, il carattere di Tie-In può essere applicato retroattivamente a prodotti che, all’apparenza aperti e paralleli, si rivelano – per ragioni narrative o produttive – chiusi e incastonati: dopo la sua settima stagione, possiamo considerare Star Wars: The Clone Wars un Tie-In della saga principale, come lo diventano i vari film che punteggiano la storia di Star Trek o la prematuramente chiusa The Dark Crystal: la resistenza. […]