L’episodio pilota – Come inizia una serie TV
Una definizione
Negli ultimi anni il panorama seriale ha subito molti cambiamenti, a livello di contenuti, di stile – dal respiro più cinematografico all’approccio al videogioco – e nel modo in cui i prodotti vengono rilasciati, in particolare dalle piattaforme di streaming. Per questo è opportuno riflettere su una componente necessaria, permanente e al contempo passibile di evoluzione quale è l’episodio pilota di una serie televisiva: esso si configura come il singolo episodio trasmesso prima che una serie cominci e si presenta come una sintesi di ciò che questa proporrà, introducendo l’universo narrativo, con le sue regole e le sue strategie, i personaggi – in modo che si possa già identificarne il ruolo, senza renderli meri stereotipi – e il genere a cui essa appartiene. L’episodio pilota deve dunque fornire le coordinate necessarie perché gli spettatori e le spettatrici siano informati sulla trama e le caratteristiche principali della serie e motivati a proseguire la visione: il secondo aspetto richiama una delle funzioni primarie di questo espediente, ovvero la valutazione della realizzabilità della serie da parte dei suoi produttori; il pilota è quindi uno strumento per capire se il prodotto può essere sviluppato e se esiste un pubblico disposto a guardarlo.
Il contenuto e l’effetto dell’episodio pilota sono fortemente collegati al modo in cui una serie viene distribuita – settimanalmente o rilasciata integralmente – in quanto, nel primo caso, esso ha un impatto maggiore nel determinare la continuazione della visione, stimolando la curiosità del pubblico e la motivazione a guardare, a giorni di distanza, l’episodio successivo; nel secondo caso, le informazioni possono essere elargite in modo diverso e, soprattutto, esistono altri parametri con cui i produttori determinano la validità di una serie. È dunque importante riflettere sull’evoluzione di questo espediente, alla luce, poi, dell’attuale esistenza di forme ibride, per cui anche le piattaforme streaming cominciano ad adottare l’uscita settimanale o la divisione della stagione in due parti, accanto, ancora, alle stagioni integrali.
Storia e sviluppo dell’episodio pilota
Le note del tema musicale di Angelo Badalamenti accompagnano un uccello su un ramo, per la precisione uno scricciolo di Bewick: così si apre l’episodio pilota che ha per sempre cambiato la storia della televisione, quello di Twin Peaks, originariamente chiamato Passaggio a Nord-ovest, trasmesso dalla ABC l’8 aprile 1990. L’idea nasce dall’incontro tra la creatività autoriale di David Lynch e la scrittura seriale di Mark Frost, la cui penna era stata già prestata a una serie, Hill Street Blues, prodotto che unisce la forma serie, intesa come un insieme di episodi autoconclusivi, e la forma del serial, in cui gli episodi sono concatenati e dunque vi è uno sviluppo orizzontale delle vicende. Con Twin Peaks, Lynch e Frost creano un genere ibrido, tra la soap opera e il poliziesco, inserendo alcuni elementi propri del melodramma e della situation comedy, in un’atmosfera onirica e intrisa di esoterismo: l’episodio pilota presenta già tutte queste caratteristiche.
I titoli di testa, dalla durata di quasi tre minuti, preannunciano un ritmo cadenzato, usando la dissolvenza incrociata, marca stilistica di Lynch, che alterna la segheria Packard, il cartello della cittadina e le note cascate. Vi sono poi le leggendarie parole pronunciate da Jack Nance, «She’s dead. Wrapped in plastic», riferite al corpo di Laura Palmer ritrovato sulla riva del fiume: il tono sofferente e al contempo grottesco denuncia una forte ambiguità che disorienta gli spettatori e le spettatrici, alternando registri drammatici e ironici.
In questo primo episodio viene dunque introdotto l’universo narrativo di Twin Peaks, dai personaggi coinvolti nella vicenda – in particolare il protagonista Dale Cooper, l’agente dell’FBI che dovrà risolvere il mistero della morte di Laura Palmer – all’ambientazione, caratterizzata dai corridoi del liceo, il Great Northern Hotel e il Double R Diner. L’accordo iniziale era di girare un finale che potesse far vendere il prodotto in Europa se la serie non avesse avuto seguito; la caparbietà di Bob Iger, imprenditore della ABC e futuro CEO Disney, ne determinò la messa in onda e il successo tra il pubblico, che si sarebbe chiesto per settimane «Chi ha ucciso Laura Palmer?».
Un altro caso noto, prodotto anch’esso dalla ABC, è Lost, il cui episodio pilota, diviso in prima e seconda parte trasmesse il 22 e il 29 settembre 2004, è il più costoso della storia della televisione (tra i 10 e i 14 milioni di dollari). Anche in questo caso l’episodio pilota anticipa la struttura della serie che si apre con l’opening theme minaccioso e il titolo inizialmente sfocato, in movimento: la sigla iniziale preannuncia l’atmosfera misteriosa della serie che si apre con il risveglio di Jack Shephard, uno dei sopravvissuti del disastro aereo che ha portato un gruppo di sconosciuti su un’isola deserta.
L’episodio pilota introduce tutti i personaggi, facendone emergere da subito i segni distintivi, e presenta anche il “Mostro” che si manifesta tramite il fumo nero e un suono singolare; soprattutto stabilisce già la sua strategia narrativa, basata sull’uso del flashback che, nel corso della serie, servirà ad approfondire la psicologia e la backstory dei personaggi. Si intuisce dunque che per conoscere meglio la storia e gli eventi sarà necessario allontanarsi dall’isola e mostrare le vite dei singoli protagonisti prima dell’incidente aereo: come osserva Jason Mittell, negli episodi pilota può essere adottata la pratica di cominciare da un momento clou per poi tornare indietro.
Gli episodi pilota di Twin Peaks e di Lost costituiscono dei casi particolari per la storia della televisione, configurandosi come prodotti spartiacque per la serialità di qualità nel primo caso, caratterizzata dalla fidelizzazione del pubblico, l’autorialità, l’intertestualità, l’ibridazione dei generi, e per la televisione complessa nel secondo, con nuove strategie di marketing, la transmedialità della serie, la creazione di forti comunità di fan.
Episodi pilota mai trasmessi
Ad ogni modo, esistono serie televisive il cui episodio pilota originale non è stato mai trasmesso, cancellato dallo stesso network che lo ha commissionato, perché poco rappresentativo dello spirito del prodotto e con scarsa attrattiva nei confronti del pubblico. È il caso di The Big Bang Theory, la sitcom ideata da Chuck Lorre e trasmessa da CBS tra il 2007 e il 2019: il pilota originale della serie, che non è stato mai diffuso ufficialmente, prevedeva la presenza di Sheldon, Leonard, Katie, sulla cui scia probabilmente si è costruito il ruolo di Penny, e Gilda, la vicina di casa dei protagonisti; sebbene il concept di mostrare la relazione tra il mondo nerd e la società circostante sia stato mantenuto dalla sitcom, l’episodio iniziale scadeva in una stereotipizzazione dei personaggi, per cui il network lo bocciò, concedendo a Lorre una seconda possibilità.
Ancora, il primo episodio pilota di Sherlock, serie creata da Steven Moffat e Mark Gatiss e mandata in onda tra il 2010 e il 2017 su BBC, fu cancellato dall’emittente televisiva che chiamò un nuovo regista, Paul McGuigan, per dirigere l’episodio che sarebbe stato trasmesso: il proposito di modernizzare i noti casi del detective londinese tramite l’ambientazione contemporanea e un ritmo più incalzante fu raggiunto infatti solo con il secondo tentativo, in particolare con l’inserimento dei messaggi di testo sullo schermo, che creavano più interazione con il pubblico e che sarebbero diventati un elemento distintivo della serie.
L’episodio pilota e le piattaforme OTT
Con l’arrivo dei servizi di streaming per abbonati, le cosiddette piattaforme OTT (Over The Top), quali Netflix, Prime Video, Hulu e simili, la funzione degli episodi pilota cambia, così come le pratiche di scrittura, di produzione e di distribuzione, oltreché le modalità di fruizione degli spettatori e delle spettatrici. Un buon esempio per comprendere l’evoluzione di questo espediente è l’episodio pilota della serie distribuita da Netflix House of Cards, political drama creato e prodotto da Beau Willimon, in cui si racconta la scalata di Frank Underwood (Kevin Spacey) alla Casa Bianca. Netflix commissionò ben ventisei episodi, distribuiti poi in due stagioni, la prima delle quali rilasciata l’1 febbraio 2013: fu un chiaro cambiamento di rotta, che comportò l’idea di una maggiore continuità narrativa e, soprattutto, un ruolo più superfluo dell’episodio pilota, che dunque ha perso una delle sue funzioni tradizionali.
Infatti la “leggenda” vuole che per testare la realizzabilità della serie Ted Sarandos, CCO di Netflix, abbia analizzato le abitudini di fruizione del pubblico di Netflix, che avrebbe accolto House of Cards in quanto fan dei film di David Fincher (uno dei principali registi della serie) e di Kevin Spacey, e dunque senza la necessità di guardare il primo episodio per approvarla. Pertanto, l’episodio pilota di House of Cards è strutturato diversamente rispetto ai casi precedenti, presentando un universo narrativo vario e intenso, ricco di informazioni che possano catturare maggiormente il pubblico in quanto non può più puntare sulla fidelizzazione che è invece una cifra degli episodi a cadenza settimanale; da ciò deriva anche l’assenza del cliffhanger all’interno del singolo episodio, adottato solamente nel finale di stagione.
Resistenza dell’episodio pilota
Tuttavia, oggi i modelli di distribuzione delle piattaforme tendono a essere ibridi, tra l’episodio settimanale e il rilascio in blocco, e l’era del binge watching sembra essere giunta al capolinea: pensiamo a Stranger Things, la cui ultima stagione è stata rilasciata in due parti, o The Marvelous Mrs. Maisel, che per l’ultima stagione, dal quarto episodio, ha deciso di adottare la cadenza settimanale; ancora, le serie del MCU e Star Wars distribuite da Disney+ che mirano alla fidelizzazione del pubblico e alla nascita di teorie e discorsi sui social attorno al prodotto. Il ritorno dell’uscita settimanale di alcune serie TV, le cui stagioni sono però commissionate integralmente, riguarda la necessità di prolungare le sottoscrizioni degli spettatori e delle spettatrici e di mantenere alta l’attenzione, che altrimenti verrebbe esaurita in poco tempo. Inoltre, sono cambiate le abitudini di visione del pubblico, orientato verso un consumo più sostenibile e lento dei prodotti, influenzato anche dalla minore quantità di tempo.
A tal proposito, si può pensare ad Atlanta, la serie creata e interpretata da Donald Glover e distribuita da FX che nel 2015 ordina dieci episodi per la prima stagione: ciononostante, la serie viene rilasciata settimanalmente e comincia con un pilota che, in accordo con le funzioni principali di questo espediente, ha un ruolo motivante per la prosecuzione della visione, presentando un universo narrativo in cui si accede quasi in medias res, con un cold open che verrà approfondito alla fine dell’episodio, il quale si chiude, infatti, con un evento che invita a guardare l’episodio successivo.
Il pilota, dunque, mantiene la funzione informativa, chiarendo le sue strategie e proponendo una sintesi di ciò che la serie proporrà: la black comedy, la violenza, una trama verticale in cui il conflitto è minimo e contano maggiormente i dialoghi. Atlanta è un buon esempio per comprendere l’esigenza di una distribuzione cadenzata e per osservare come l’episodio pilota abbia ormai una certa rilevanza più da un punto di vista narrativo che produttivo dal momento che i producer investono maggiormente sulle stagioni integrali e non sul singolo episodio.
Stagioni-pilota: nuovi orizzonti
Dopo aver tracciato una storia e una genesi dell’episodio pilota, si potrebbe concludere che oggi è più opportuno parlare di stagioni-pilota, intendendo cioè la pratica di rilasciare la prima stagione di una serie per intero – per arricchire il catalogo delle piattaforme e dei network – e di testare la sua validità tramite la risposta di pubblico, aggiustando il tiro o, eventualmente, cancellando il prodotto. Nel primo caso, si può pensare a The Witcher, distribuita da Netflix, creata da Lauren Schmidt Hissrich e basata sui romanzi Saga di Geralt di Rivia di Andrzej Sapkowski. La prima stagione introduce le avventure di Geralt, Yennefer e Ciri, delineando un universo narrativo vario e denso, in modo da chiarire il sistema dei personaggi e le cause delle loro vicende: tra le criticità di questi primi episodi vi sono la ridondanza di informazioni, elargite attraverso i salti temporali che rendono la narrazione meno lineare, e le strizzate d’occhio rivolte prettamente ai fan dei romanzi e dei videogiochi, dando dunque poche coordinate a un possibile nuovo pubblico perché alcuni aspetti sono dati per scontati. Nella seconda stagione, dunque, diminuiscono i passaggi temporali, a favore di una racconto più comprensibile, approfondito e avvincente; inoltre, la cura maggiore negli effetti speciali e nella scenografia rende la serie più credibile e con una forte identità.
Esistono poi serie TV sopravvissute una sola stagione, cancellate per i costi di produzione ingenti (si pensi a 1899) insufficienti a coprire i guadagni dati dalle visualizzazioni, nonostante il successo del prodotto e le conseguenti petizioni dei fan; altre, invece, destinate alla stagione unica a causa degli ascolti bassi e delle numerose critiche, come il remake live-action Cowboy Bepop che Netflix ha cancellato a un mese dal suo debutto.
Si potrebbe dunque concludere che l’episodio pilota, inteso come strumento imprescindibile dei network e delle piattaforme, abbia esaurito le sue funzioni; infatti, anche se per alcune serie televisive viene adottato il rilascio settimanale, i produttori si assumono maggiormente il rischio e la sfida di ordinare stagioni intere, le stagioni-pilota appunto, in grado di ricoprire il ruolo classico e originale dell’episodio pilota, sebbene esistano anche altri dati per testare la fattibilità di una serie, come si è visto con House of Cards. L’episodio pilota, allora, non costituisce più una scommessa lanciata nel palinsesto, ma senz’altro rimane un ottimo biglietto da visita, una prima vetrina, per le serie televisive, via cavo o streaming.
Bibliografia:
J. Mittell, Complex TV. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv, trad. it., Minimum Fax, Roma 2017.
M.D. Smith, R. Telang, Streaming, sharing, stealing. I big data e il futuro dell’intrattenimento, trad. it., Minimum Fax, Roma 2019.
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