
Atlanta – Robbin’ Season: l’America di Donald Glover
C’è una nuova ondata comedy americana originatasi dalle emittenti cable che sta lentamente spazzando via tutto quello che pensavamo di sapere su uno dei generi più longevi della serialità televisiva. Serie come Louie e Girls sono stati i primi vagiti di una scena che ora conta esponenti come Master of None, Kidding, Transparent, Barry e molti altri. Prodotti diversissimi stilisticamente, che hanno portato molti critici a porsi domande sulla ristrettezza della definizione comedy nel raggruppare tale scena. Termini come dramedy e post comedy sono infatti tentativi di circoscrivere la tendenza di molte commedie a rompere con la tradizione: perdita graduale del lato puramente comico per spostarsi verso venature drama, forte cura nel tono della narrazione, innovazione e sperimentazione stilistica, strutturale e produttiva. Emittenti cable e OTT come FX, Showtime, HBO, Netflix e Amazon sono diventate i perfetti terreni di sperimentazione contro i rigidi paletti imposti alle tradizionali sitcom da broadcast channel.
La seconda stagione di Atlanta conferma la serie come punta di diamante di questa moderna ondata. Il colpevole è Donald Glover, il Re Mida e nome tutelare dell’intrattenimento afroamericano contemporaneo, un personaggio eclettico formatosi nella writer’s room di 30 Rock e fattosi conoscere al grande pubblico come attore fisso in Community. Atlanta, quella scommessa da lui definita “Twin Peaks con i rapper”, debutta nel 2016 sul canale basic cable FX tra i plausi di una critica a dir poco in delirio. Il protagonista, Earn, interpretato da Glover, è un trentenne semi-disoccupato che in passato ha lasciato gli studi alla prestigiosa Princeton University. Con una figlia da mantenere e una relazione complicata con la compagna si ritrova suo malgrado a tirare avanti ad Atlanta, sua città natale. La popolarità crescente del cugino spacciatore, Alfred, come artista rap, spinge Earn a convincerlo a diventare suo manager. La prima stagione raccontava le peripezie affrontate dai due cugini per sfondare nella scena musicale di Atlanta. La seconda stagione, sottotitolata Robbin’ Season in riferimento al periodo precedente le feste natalizie dove i furti si intensificano, racconta gli strascichi che tale ambizione comporta. Il plauso della critica verso la prima scoppiettante stagione fu pressoché unanime e con la seconda Glover ha compiuto di nuovo il miracolo. Un prodotto che travalica il contesto del genere comedy per accostarsi alle migliori serie drama della quality tv moderna. Come c’è riuscito?
Anzitutto quello che Atlanta non ha sicuramente paura di fare è sperimentare, rischiare, cercare qualcosa di nuovo in ogni singolo episodio. La sua struttura narrativa a sviluppo fortemente verticale, percorsa da un blando arco di stagione, permette di creare aspettativa e attesa per ogni singola nuova avventura di Earn e soci. Come per la prima stagione anche la Robbin’ Season si può considerare un insieme di undici cortometraggi dove oltre ai basilari elementi comedy e drama emergono venature di thriller, surrealismo, crime drama, meta-riflessioni linguistiche, parodie, satira e horror. La differenza più marcata è una graduale retrocessione della figura di Earn per fare spazio ai comprimari. In particolare il cugino rapper Alfred “Paper Boi”, in preda a una profonda depressione all’indomani dei primi scampoli di gloria. Ma anche la compagna Vanessa e il riflessivo Darius, protagonista del sesto episodio, Teddy Perkins, un piccolo capolavoro da 30 minuti dove la serie si avventura in territori horror con riflessioni profonde sull’identità afroamericana, tanto da non sfigurare accanto a un successo cinematografico recente come Scappa – Get Out. E come nella prima stagione, l’elemento stilistico di Atlanta riesce a farsi notare ed emergere anche in confronto alle grandi produzioni drama, presentando un’attenzione maniacale e approfondita al lato tecnico. Hiro Murai, regista della maggior parte degli episodi, è un veterano del mondo dei videoclip che riversa tale stile nell’attento montaggio e composizione delle inquadrature, aggiungendo numerosi riferimenti visivi presi dalla storia del cinema e del quality drama televisivo. Aggiungiamoci una forte auto consapevolezza della serie nel gestire e rielaborare in chiave narrativa riferimenti alla cultura contemporanea, fenomeni social e in generale della rete, fra tutti un certo Childish Gambino, nome d’arte di Donald Glover nella sua parallela carriera musicale da rapper. Continuano infatti ad abbondare riferimenti narrativi all’industria rap, la fama e il moderno divismo passando inevitabilmente per l’esperienza musicale e la produzione di contenuti a nome dell’alter ego musicale di Glover. Il videoclip dell’ultimo singolo di Gambino, This is America, fresco vincitore di 4 Grammy Awards, è stato rilasciato a stretto giro dalla conclusione della seconda stagione. Glover mette in scena su una coreografia grottesca una riflessione sulla violenza che popola la quotidianità del mondo afroamericano. Atlanta, ancora di più in questa Robbin’ Season, tratta della stessa questione. Tra le risate sempre più assenti emerge la violenza di un mondo surreale chiamato America. Non la violenza da indignazione civile di un film di Spike Lee, ma quella quotidiana, oppressiva e costante che caratterizza le vite di questi personaggi, dove, in un finale nerissimo, Glover mette in chiaro cosa voglia dire non avere seconde occasioni quando la tua pelle è nera. In attesa di una terza stagione che si farà attendere e che probabilmente non vedremo prima del 2020, recuperate uno dei prodotti più acuti e originali dell’intero panorama televisivo contemporaneo.
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