
1899 – Il rompicapo come valore assoluto
È in tutto e per tutto un ritorno alle origini quello di Baran bo Odar e Jantje Friese. Una riproposizione di quel mix fatto di orrore, mistero e fantascienza che aveva decretato il successo di Dark e che vede il duo di autori cimentarsi nuovamente col genere alzando, se possibile, ancora più l’asticella. Gli otto episodi che compongono la prima stagione di 1899, disponibili su Netflix, sono infatti un progetto ambizioso. Non solo per lo sforzo produttivo che sottendono ma anche per la complessità del soggetto e per il respiro internazionale della vicenda. Una babele di voci e volti che si ritrova a convivere forzatamente a bordo del transatlantico Kerberos, perdendo lentamente la ragione tra i segreti che questo nasconde.
Accantonati (forse) i viaggi nel tempo, questa volta sembra infatti essere di altra natura il mistero alla base di 1899. Un mistero legato a doppio filo all’esperienza interiore dei suoi protagonisti, ai loro desideri, sogni e ricordi. Un meccanismo elaborato, capace di svelarsi poco a poco, aprendo ogni volta nuove, oscure voragini di senso e alzando sempre più il grado di complessità dell’intreccio.

Nei labirinti della mente
«La mente è più estesa del cielo, più profonda del mare». Riecheggiano subito come una potenziale chiave di lettura le prime parole di 1899. Un indizio per approcciarsi alle “strane cose” che, di lì a poco, accadranno a bordo della “Kerberos”. Non sono certo gli indizi, d’altronde, a mancare in una storia che, forse non a caso, ha come titolo e ambientazione principale proprio quel 1899 in cui Freud dava alle stampe L’interpretazione dei sogni, sancendo, di fatto, la nascita della psicanalisi. Un viaggio non solo attraverso l’Oceano, dunque, ma anche attraverso i meandri di una psiche insidiata dalla follia, incapace di dire cosa sia reale e cosa invece allucinazione, sogno, simulazione.
Perché nel mondo della neurologa Maura Franklin (Emily Beecham) e dei suoi compagni di viaggio è la realtà stessa a sfuggire, episodio dopo episodio, da sotto i piedi. Un miraggio impossibile da afferrare una volta per tutte, confuso com’è tra visioni, (falsi?) ricordi e meccanismi di autodifesa. Sta tutta qui, in fondo, la forza del nuovo rompicapo messo in scena dalla coppia di autori tedeschi. Un meccanismo intricatissimo che si fa forte del mistero alla sua base, tra tentativi di depistaggio e colpi di scena.

Un dramma corale
Una storia, quella di 1899, che, per quanto apparentemente originale, guarda ai mistery del passato. Ecco allora, nella coralità che mette in scena e nella capacità di fondere il dramma con un mistero inafferrabile, tornare alla mente una serie fondamentale come Lost. È proprio nell’intreccio di storie, lingue e personaggi differenti, nel loro essere sempre in fuga da qualcuno o qualcosa, con un loro background da sviscerare attraverso flashback disseminati in ogni episodio, che si nota il grande debito di 1899 con la creatura di J.J. Abrams. Un modo di intendere la serialità che chiede allo spettatore una partecipazione attiva, seminando indizi e dosando rivelazioni, allo scopo di rimandare il più possibile la risoluzione di un mistero bigger than life.
A questo la serie affianca suggestioni tipiche della fantascienza, chiedendosi – tra una citazione del mito della caverna di Platone e derive cyberpunk – cosa davvero sia reale, e che valore abbiano nella nostra vita la perdita e il rimosso.

Benvenuti nella realtà
Ma cosa rimane quando i veli che ricoprono la realtà cominciano a strapparsi e a cadere? Alla resa dei conti, 1899 ha sicuramente l’intelligenza di non rivelare mai tutte le sue carte. Facendo subentrare al suo mistero parzialmente risolto immediatamente uno più grande, rimandando la soluzione dell’enigma a data da destinarsi. Ma se la struttura del racconto, così come il comparto tecnico, tra fotografia evocativa ed effetti virtuosistici, è ineccepibile, non è invece altrettanto chiaro se all’ambizione del progetto corrisponda anche un valore che vada al di là del semplice rompicapo fine a sé stesso.
Alcune forzature narrative e una certa superficialità nel delineare i personaggi e le loro interazioni lascerebbero infatti supporre che tutto esista in funzione dell’intreccio. Come se la serie, tutta presa nel suo gioco al rilancio per stupire e stimolare il pubblico, trascurasse volontariamente tutto il resto, persino quel discorso di fondo su dolore, perdita e percezione della realtà che, affrontato in maniera più compiuta, sarebbe risultato tutt’altro che banale.
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