
Lost in streaming su Star: why you have to go back
È arrivato su Disney+ Star, il nuovo canale di streaming pensato per un pubblico più adulto, proponendo una selezione di film e serie provenienti soprattutto dal catalogo Fox/ABC, tra cui spicca sicuramente Lost, la serie culto di J.J. Abrams (che da inventivo showrunner è diventato esperto di reboot ad ambientazione spaziale, tra Star Trek e Star Wars) e Damon Lindelof (la cui penna ha creato altre serie di successo come The Leftovers e il recente Watchmen). La serie segue i superstiti del volo 815 della Oceanic Airlines, precipitato su un’isola apparentemente disabitata; con il passare del tempo, e il mancato arrivo dei soccorsi, l’isola e le circostanze dell’incidente diventano, in un crescendo di fatti inspiegabili, ben più misteriose, mentre aumentano le tensioni tra i sopravvissuti. Vale ancora la pena esplorare l’Isola con loro?

Il Pilot in due parti, del 2004, è stato all’epoca l’episodio più costoso della storia della televisione, aprendo la strada alle serie televisive ad altissimo budget a cui siamo ormai abituati, a causa soprattutto della scelta di girare in una location proibitiva come le Hawaii, e alla costruzione del set dello schianto, creato con un vero aeroplano, smontato e portato in loco. Nonostante il grande dispiego di mezzi, i primi due episodi non sono forse la migliore presentazione per la serie, concentrandosi principalmente sulla spettacolarità dell’incidente e sul protagonista principale, il neurochirurgo Jack Shepard (Matthew Fox), vero e proprio Pastore della mandria di sopravvissuti. È negli episodi successivi che la narrazione prende ritmo, allargandosi su tutto il cast corale, grazie soprattutto ai celebri flashback che si alternano agli accadimenti sull’isola. Da questi nasce una lunga e varia serie di frammenti che approfondisce sempre più a fondo i personaggi, rivelandoci il loro passato e la loro personalità.

I misteri dell’Isola sono la forza trainante di Lost, creano un continuo ciclo di cliffhanger, rivelazioni e nuove domande, le cui risposte non sono sempre all’altezza dell’aspettativa creata, ma il vero cuore della serie sta nei numerosissimi personaggi indimenticabili, come il predestinato John Locke, per molti il tassello più riuscito di Lost, che andrà a creare un’interessante dualità uomo di fede/uomo di scienza con Jack; Kate, la maggiore protagonista femminile e altro interessante contrasto con la figura di Shepard; Sawyer e il suo percorso di redenzione; Charlie la rockstar e il suo rapporto con Claire; Hurley e il suo classico “Dude!” (“Coso” in italiano), il misterioso Desmond, il subdolo Ben, Juliet e tutti gli “Altri“, che resteranno impressi a lungo anche dopo la fine della storia.

Un altro punto di forza della serie sta nel saper adattare la sua struttura narrativa: quando lo stratagemma dei flashback incomincia a mostrare i suoi limiti nella terza stagione, culminando in un ridicolo episodio su un tatuaggio di Jack, viene sostituito da dei flashforward, e poi nuovamente con metodi ancora più elaborati (se non un po’ contorti), riuscendo a mantenere, seppur con alti e bassi, il livello di sorpresa dell’inizio della serie.

Lost è stato inoltre forse il primo fenomeno televisivo mondiale dell’era di internet, alimentando una continua discussione online sulla “mitologia” della serie, l’accattivante pastiche di scienza, pseudoscienza, filosofia ed elementi religiosi che tra organizzazioni segrete, numeri misteriosi, mostri e viaggi nel tempo continua ad espandere l’universo della serie. Innovativo per l’epoca fu anche il costante utilizzo di viral marketing, la Lost Experience che grazie a siti in codice, materiali aggiuntivi reperibili online, finti spot televisivi e numeri di telefono realmente funzionanti contribuì a creare una sorta di caccia al tesoro parallela alla visione della serie, includendo lo stesso pubblico nell’esplorazione dell’isola. Si trattava di un tipo di fruizione televisiva opposta alla pratica odierna del binge-watching, in cui l’attesa e la discussione tra un episodio e l’altro, o tra le stagioni, era un elemento fondamentale per la trasformazione di Lost in una serie cult.

Abituati al mondo dello streaming, delle serie che escono per stagioni invece che singoli episodi, è difficile ormai pensare a un evento televisivo come a un fenomeno così sociale, dove la discussione più importante non è quella a posteriori, elogiando o distruggendo un prodotto già completo, ma quella durante la sua evoluzione. I momenti di maggiore fascino di Lost stanno nel mistero e nei segreti della giungla dell’Isola, nelle continue domande che emergono ad ogni nuova scoperta, furbamente poste dagli sceneggiatori in maniera abbastanza aperta da stimolare non solo i protagonisti, ma soprattutto il pubblico, che per anni ha concepito le teorie più disparate: alcune corrette, altre stravolte dal proseguire della trama, ma comunque parte fondamentale del successo di Lost.
Non si può comunque parlare dei misteri della serie, e del suo enorme seguito, senza citare il finale (no spoiler), criticato anni prima delle più recenti debacle di serie come Game of Thrones, e uno dei primi esempi di come sia complesso soddisfare un hype di livello mondiale, tra chi ha seguito la serie per scoprire le risposte ad ogni enigma dell’isola, e rimarrà forse deluso dalle soluzioni semplici e incomplete, e chi invece era stato attratto dal mistero per poi innamorarsi dei superstiti del volo 815, venendo premiato da un finale ben più soddisfacente e sentimentale.

Dieci anni dopo la sua conclusione, Lost rimane una pagina essenziale della storia della televisione, una serie che merita di essere recuperata, ancora meglio se in compagnia, provando a ricatturare quel senso di continua scoperta che aveva conquistato il mondo durante la sua trasmissione. Abituati al livello attuale della produzione televisiva, Lost potrebbe sembrare troppo lunga e diluita da episodi filler, troppo assurda nell’evoluzione della sua trama e con un finale che non è forse quello che volevate, ma se saprete lasciarvi conquistare dall’Isola, i suoi abitanti, i suoi misteri, le musiche di Micheal Giacchino (collaboratore storico di J.J.Abrams) e l’inquietante titolo che apre ogni episodio vi resteranno impressi per sempre, e a distanza di anni avrete problemi a ricordare il vostro codice fiscale, ma non l’importanza (o presunta tale) dei numeri 4 8 15 16 23 42.

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