
Dune – Sulla soglia della prossima epopea
Voglio essere sincero fin dall’inizio: dispongo di pochi mezzi per poter affrontare un discorso globale su Dune, ultimo mastodontico progetto di Denis Villeneuve, e quindi per trasformare questa recensione in un accurato resoconto sul destino del romanzo di Frank Herbert su grande e piccolo schermo. Non vi parlerò quindi dell’impossibile sogno di Jodorowsky, della faticosa e controversa visione di Lynch o delle miniserie televisive di inizio anni 2000; allo stesso modo non mi avventurerò in intricati confronti con le pagine del romanzo, per molti un cult dell’immaginario “fantascientifico” (torneremo su questo termine) come Il Signore degli Anelli lo è per ciò che oggi chiamiamo “Fantasy”. Mi limiterò, con i miei strumenti, a rendere conto di ciò che Villeneuve ha tracciato sullo schermo, guardando all’immenso potenziale delle sue immagini nell’impresa di porre le basi per quella che può facilmente essere la nuova epopea contemporanea.

A quattro anni da Blade Runner 2049, Villeneuve decide nuovamente di restituire al pubblico del grande schermo la sua personale visione di un mondo radicato nella cultura popolare che ha contribuito fortemente a dettare le leggi di un immaginario, quello fantascientifico moderno, ormai strettamente legato all’audiovisivo contemporaneo. E lo fa spingendo nuovamente al limite le possibilità del mezzo filmico, in un primo capitolo – il progetto di Villeneuve per Dune è in due parti – che da solo è una densissima presentazione dell’universo narrativo e delle sue regole, una veduta immersiva nella cosmogonia che circonda una vicenda sepolta sotto i nitidi granelli di sabbia di immagini più ampie della visione stessa, capace di accadere – o meglio di cominciare – mentre lo sguardo dello spettatore è travolto da visioni che superano ogni immediata percezione.

Perché a fronte di un cast eccezionale ed eccellente – che la produzione Warner misura tenendosi ben distante dal reiterato sfoggio di volontà di potenza proposto da Disney – Dune di Villeneuve si discosta con decisa eleganza dal cinema narrativo, scegliendo di distogliere lo sguardo dal racconto che certamente è presente, ma ricavato da ritagli d’informazione, da frammenti di dialogo che punteggiano due ore e mezza di flusso visivo, in cui anche la recitazione si trasforma in ampia veduta sulla figura e sul volto, rendendo il corpo attoriale sostanza espressiva cucita sulla carne dello schermo, mai stato così profondo, così ampio e incommensurabile. Le vicende che circondano il mondo di Arrakis, repentine e roboanti nel loro succedersi e dirsi, si pongono ai margini della scoperta del funzionamento del mondo stesso, fatto di elementi sensibili ed esperienziali, privato da nozionismo tenuto sempre dietro le quinte di una scena infinita.

Non è il destino del giovane Paul Atreides (interpretato da un Timothée Chalamet grandioso, ottimamente diretto e inserito nel ruolo) e della sua casata a muovere il flusso della pellicola, nemmeno gli intrighi politici orchestrati da un invisibile Imperatore tra gli Atreides e gli Harkonnen (per quanto Skarsgård e Isaac contribuiscano alla riuscita esplosiva del conflitto); persino le capillari questioni ambientali e sociali che sono connotate al substrato narrativo del mondo stesso non tracciano una direzione che possa anche solo avvicinarsi a una qualche quest da dividere nei canonici tre atti. Questo probabilmente incontrerà la resistenza di un pubblico – e, ahimè, di una critica – profondamente ancorata alla messa a fuoco di un racconto estrapolabile a prescindere dalla sua messa in scena: ogni trama di Dune che si può trovare in quasi ogni recensione, infatti, non copre che una minima parte del film di Denis Villeneuve, per altro la meno centrale.

L’operazione del regista è radicalmente diversa: Dune è un’esperienza sensoriale, è cinema spinto ai confini dei suoi possibili, attraverso inquadrature sempre perfette, un montaggio misurato all’istante e un tessuto sonoro – a cura di Theo Green e Hans Zimmer – mai didascalico e chirurgicamente improntato all’efficacia dell’impatto con l’immagine. I silenzi in Dune sono assordanti come le luci si fanno accecanti, travolgendo lo spettatore che resta ancorato solo all’orizzonte dello schermo, sempre stabile e bilanciato. Villeneuve, ambiziosamente, tenta con il suo Dune di porre una soglia irreversibile all’immaginario Sci-Fi come Peter Jackson ha fatto col Fantasy attraverso il suo Signore degli Anelli: se da Gandalf in poi ogni figura di mago ne ha necessariamente subito l’influenza (anche retroattiva), non sarà più possibile pensare quel tipo di Fantascienza – quella moderna, che ha una delle sue conseguenze massime, guarda caso, in Blade Runner – senza passare attraverso le portentose immagini di quest’epopea in divenire.

C’è tutta l’arte pop compresa tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta negli occhi filmici di Villeneuve, dalle opere di Moebius alla rivista Heavy Metal, dai sogni di Jim Hanson alle visioni di Lucas; in queste inquadrature più ampie di ogni possibile sguardo c’è tutta l’inafferrabile atmosfera di luoghi distanti nel cosmo, risalenti a quell’epoca della cultura di massa in cui la Fantascienza e il Fantasy erano raccolti sotto il termine comune del Fantastico, e in cui le distinzioni erano una sfumatura occasionale. Vedere le immense navi che riempiono il cosmo di Villeneuve è come entrare negli occhi del replicante Roy Batty o vivere per la prima volta, con lo sguardo di quarant’anni fa, l’ingresso nello schermo nero punteggiato di stelle dell’Incrociatore mperiale all’inizio di Una nuova speranza.

Giungendo alla fine di questa recensione che non può e non vuole restituire l’impatto di quelle due ore e mezza totalizzanti, è giusto sottolineare come con Dune Villeneuve affermi con forza l’ancora attuale primato del cinema come mezzo delle grandi epiche moderne. Se la serialità resta tanto la forma quanto il contesto, mai così contemporaneo, dell’orizzonte narrativo – e produttivo – attuale, il mezzo televisivo non si è ancora dimostrato un ambiente abbastanza maturo per porre basi solide e organiche a una nuova epopea che possa dettare i termini di un intero immaginario (con buona pace di Game of Thrones). Warner in questo, nonostante il progetto HBOMax, ha scelto di aspettare la sala – prima su tutte quella della Mostra del Cinema di Venezia – per Dune rendendo pienamente giustizia al respiro totalizzante di questo universo di immagini troppo vasto per farsi contenere.
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[…] proprio dalla cinematografia di Kurosawa (oltre che dal recentemente trasposto al cinema Dune di Frank Herbert) per il suo Star Wars. Tutta la mitologia stellare lucasiana a ben guardare è una […]
[…] stessa differenza che sta tra una fede e una gnosi. Le opere di “fantascienza maggiore”, come Dune libro e film per fare un esempio concreto, sono opere con un messaggio positivo, spesso […]
[…] Tra i testi della cultura popolare che vantano il titolo di “inadattabile” Dune di Frank Herbert sembra avere il destino più curioso: attraverso trasposizioni divisive, dimenticabili o sognate, il tradimento è sempre apparso il destino di Arrakis, tanto da far bollare come una follia il progetto di Villeneuve. Il regista parte dall’impossibilità intrinseca della fonte per costruire un tessuto audiovisivo elegantemente non narrativo, che lascia il racconto ai margini di un’esperienza cinematografica totale, fatta di immagini più vaste di qualunque schermo e di suoni che riempiono gli spazi di un’azione inafferrabile. Il risultato è il manifestarsi di un immaginario che trova una solidità definitiva e finora impossibile. Dune restituisce alla fantascienza l’epica del fantastico, aprendo la strada per una nuova epopea che non passa attraverso un racconto, ma si articola nell’estrema spinta delle possibilità rappresentative, alla ricerca di quel limite da valicare per far percepire un mondo. Nicolò Villani / Leggi la recensione […]
[…] La lore è poi spesso riferita a proprietà intellettuali multimediali: la lore del Signore degli Anelli è contenuta nei libri di Tolkien e nelle loro ponderose appendici, nella trilogia omonima (2001, 2002, 2003), nella trilogia dello Hobbit (2012, 2013, 2014); quella dell’universo Marvel è nei fumetti, nelle serie animate e nell’universo cinematografico; quella del mondo di Dune di Frank Herbert nei sei libri originali, nei sequel pubblicati dai suoi epigoni, nelle miniserie Frank Herbert’s Dune e Frank Herbert’s Children of Dune (2000, 2003) e nei film eponimici del 1984 e 2021. […]
[…] ricordarsi un’annata simile. A sfidarsi in quest’edizione c’erano CODA – I segni del cuore, Dune, Belfast, Don’t Look Up, Drive My Car, King Richard – Una famiglia vincente, Il Potere del […]
[…] serie originale in arrivo su Apple TV+ a partire dal 5 maggio. Rebecca Ferguson (Dune, Mission: Impossible – Fallout) è la protagonista di questo adattamento della Trilogia […]
[…] L’incontro tanto atteso tra Sabine ed Ezra versione Aladdin si traduce in un dialogo impacciato e troppo imbarazzato se consideriamo che Sabine ha smosso mari e monti per arrivare fino a lì e, dall’ultima volta che si sono visti, sono passati circa 11 anni. Certo c’è lo sbigottimento del ritrovarsi cambiati, dopo tutto quello che è successo forse si può però dedicare più tempo alle emozioni, che sono poi il nocciolo di Star Wars, per certi versi, dal «Ti amo» – «Lo so» di Leila e Han Solo in poi. Ahsoka invece dà il titolo alla serie e si mostra in questa nuova veste di saggia guida dai movimenti lentissimi, il passo compassato e le poche parole, una china che non rende molto onore a un personaggio ricchissimo, fortunatamente esaltato nei suoi incontri con Anakin Skywalker nel Mondo tra i mondi e in qualche combattimento, dove si deve constatare che a livello coreografico, fotografico ed epico si sia ancora lontanissimi dalle versioni cinematografiche in generale, per non parlare della prima trilogia e di quella prequel, che ognuna a suo modo hanno fatto dei duelli con spade laser dei topoi di Star Wars (una saga che si potrebbe intendere come genere a sé, tra la fantascienza e il fantasy, con tante altre sfumature, in maniera affine per molti versi a Dune). […]