
Il futuro ha un cuore antico – Gnosi, fantascienza e platonismo
“Io sono vivo, voi siete morti”. Fu simbolicamente con questa frase, la più celebre del romanzo-capolavoro di Philip K. Dick Ubik, che l’antichissima tradizione della gnosi rientrò con forza all’interno della cultura occidentale mainstream.
Ubik è da più parti considerato come uno dei più importanti romanzi del secolo scorso, indipendentemente dal suo genere: ma se la trama sembra raccontare una storia paradossale e beffarda ambientata tra gli Stati Uniti e la Luna colonizzata del futuro, i suoi sottotesti radunano suggestioni di gran lunga più antiche. Letteralmente, millenarie. “Il futuro ha un cuore antico” è una di quelle frasi fatte – nata con le migliori intenzioni, essendo stata coniata da Carlo Levi – che raramente hanno torto; e, almeno nel caso di Ubik e dell’immaginario dickiano, non sorprenderà scoprire che questo cuore è intrinsecamente gnostico.
Cos’è la gnosi?
La gnosi è uno di quei fil rouge nascosti che tiene insieme circa due millenni di storia del pensiero occidentale. Se ne potrebbe fare un discorso ancora più generale dilatando un po’ i confini cronologici e semantici del termine, e andando a risalire fino a Platone. Storicamente parlando, la gnosi è stato un movimento che, opponendosi alla Chiesa ufficiale e richiamandosi a degli insegnamenti originari e segreti fatti risalire a Gesù Cristo se non del tutto ad Adamo, sin dai primi secoli del cristianesimo è andata propagandando una visione dualistica dell’esistenza e una reinterpretazione elitaria della salvezza. Gnosi vuol dire “conoscenza”: secondo gli gnostici, la gnosi è quell’improvvisa illuminazione su Dio e sul mondo, che da sola garantisce la salvezza al “vero” credente.

Il radicalismo della gnosi non si esaurisce qui. Accanto alla sua severa dottrina della salvezza, è proprio la concezione del divino a mutare, rispetto al Cristianesimo ufficiale. Il monoteismo stesso viene messo in crisi: a un effettivo Dio perfetto ed eterno la gnosi ha da sempre accostato la figura di un Demiurgo, malvagio o comunque manchevole, a cui si dovrebbe l’effettiva creazione del nostro mondo. Come scintille cadute dall’eterno, gli uomini, o quantomeno i “veri” gnostici, sono le particole del Dio superiore, disseminate sulla terra.
Ritornare a Dio sarebbe allora un ritornare a casa, ed è relativamente secondario se lo gnostico si sottoponga a questo scopo a un rigoroso cammino di ascesi, oppure se, proprio in nome di questo disprezzo per il proprio corpo e per il mondo tutto, compia atti di trasgressione a ogni norma politica e sociale condivisa. Alcuni filoni dello gnosticismo hanno scelto la prima via, altri la seconda; nondimeno, a causa dell’intrinseca pericolosità di questa visione del mondo, gli gnostici sono stati presto perseguitati, soprattutto una volta che la Chiesa divenne la religione di stato di un morente Impero Romano. Apparentemente, già allo scoccare del Medioevo il fenomeno era stato drasticamente ridimensionato, e di lì a poco tempo sarebbe quasi del tutto scomparso. Apparentemente.

Gnosi pop
Il mese scorso è uscito per Lindau un saggio estremamente illuminante, intitolato Il serpente e la croce, che porta la firma dello studioso Paolo Riberi. Il saggio è un testo piuttosto divulgativo che, per gran parte della sua lunghezza, si “limita” ad esplorare la storia della gnosi, le modalità della sua diffusione e della sua dispersione in diversi correnti, i suoi antecedenti culturali e i suoi occasionali revanscismi in movimenti eretici medioevali come quelli dei càtari. È solo nelle ultime decine di pagine che Il serpente e la croce fa un salto di qualità che lo colloca a un gradino superiore rispetto ai molti altri precedenti saggi sulla gnosi, dal momento che Riberi nell’ultima parte dell’opera cerca di indagare come la gnosi ha influenzato l’intrattenimento pop, in primis l’universo dei supereroi, oltre che molti brani della musica rock, folk e metal.
Quando parla di “gnosi pop”, Riberi ha le idee chiare: è stato grazie a Philip Dick che la gnosi è entrata a far parte, sottotraccia e a volte del tutto inconsapevolmente, dell’immaginario fantascientifico contemporaneo; ma Dick a sua volta era stato influenzato dal ritrovamento di Nag Hammadi, in Egitto, dove nel 1945 era venuto alla luce un insieme di testi gnostici o variamente apocrifi che fino a quel momento gli studiosi ritenevano perduti. Adesso non è rimasta molta memoria del dibattito internazionale che questo ritrovamento suscitò, ma astuti demiurghi di thriller alla Dan Brown hanno saputo riallacciarsi a quello shock culturale che l’improvvisa messa in questione della Bibbia canonica creò. Il discorso relativo alla fantascienza è in realtà un discorso diverso. È, in realtà, un discorso che conduce rapidamente alle fondamenta del genere, che appaiono così pericolosamente decostruibili nel loro assunto platonico di base.
Gnosi e cinema d’autore
In realtà, passando dal cinema d’intrattenimento pop al cinema d’autore, c’è un regista che Riberi non fa in tempo a trattare nel suo saggio, ma che su echi gnostici ha costruito interi suoi film. Si tratta, un po’ sorprendentemente, di Terrence Malick, regista texano di culto che ha sempre rifiutato di dare interviste o farsi fotografare. Se i suoi film a un primo sguardo sembrano essere legati a una cristallina e del tutto ortodossa spiritualità cristiano-cattolica, uno sguardo attento di tanto in tanto rileva come sia nei voice-over che in alcuni oggetti di scena a volte si facciano strada elementi che rimandano a concetti del neoplatonismo, o alla religiosità egizia, o a un certo culto dei tarocchi. Più nello specifico, c’è un suo film del 2015, Knight of Cups, con protagonista Christian Bale nei panni di un disincantato sceneggiatore hollywoodiano alla ricerca di un senso per la sua vita, che con lo gnosticismo e la letteratura apocrifa mantiene un legame esplicito. Knight of Cups è, fondamentalmente, la resa filmica di uno dei passi più noti del Vangelo gnostico di Tommaso, l’Inno alla Perla: una sorta di monologo interiore con cui lo gnostico ricorda a sé stesso di essere “figlio di re”, si accorge di essere sprofondato “in un sonno profondo” e si esorta da solo a ricordare “la Perla” per trovare la quale “i miei genitori mi avevano mandato” nel mondo, simboleggiato da un minaccioso Egitto.

Il film di Terrence Malick è estremamente suggestivo ma, per l’inestricabile aurea di autorialità che lo permea, non può che essere un “rapporto di minoranza”, rivolto a un pubblico che bene o male può riconoscere, o quantomeno cogliere, le radici culturali alla base di una simile concezione del cinema.
Gnosi e fantascienza
Il discorso che si deve fare sulla fantascienza è diverso, tanto più che Riberi, nel suo fare decostruttivo e archetipico, “smaschera” come intrinsecamente gnostici gran parte dei titoli della fantascienza contemporanea: innanzitutto la trilogia di Matrix delle Wachowski. Matrix è anche e innanzitutto una rielaborazione distopica del mito platonico della caverna, ma nel personaggio dell’Oracolo Riberi non sbaglia a cogliere echi della figura gnostica di Sophia, così come il Neo di Keanu Reeves, l’”Eletto”, ha tratti messianici di cui il proto-filosofo protagonista del mito di Platone era evidentemente privo.
E se Riberi riesce a leggere in chiave gnostica anche la serie tv Westworld, certo non è senza significato se un (ex-)fumettista di culto come Alan Moore, autore di alcune delle strisce più note su Batman e il Joker oltre che di Watchmen e di V per Vendetta, dal 1994 si definisca un “moderno gnostico”, e abbia dedicato la sua saga Promethea a un’esposizione fumettistica della sua visione del reale e del divino.
Non è però solo grazie a Philip Dick, ad Alan Moore e alla lunga serie di film che dei loro immaginari letterari o fumettistici si nutrono che il riconoscimento delle sue radici gnostiche permette di comprendere meglio la fantascienza come fenomeno moderno. Se la gnosi permette di raggiungere rapidamente le fondamenta grammaticali del genere fantascientifico è perché mette in luce la scelta di fondo che un’opera di fantascienza deve fare – in cui si rinnova la stessa differenza che sta tra una fede e una gnosi. Le opere di “fantascienza maggiore”, come Dune libro e film per fare un esempio concreto, sono opere con un messaggio positivo, spesso individuatorio: un eroe “trova sé stesso” e, già che c’è, il più delle volte si scopre il Messia. Le opere invece di fantascienza minore – ma si intenda questo aggettivo nel senso deleuziano -, molto più diffuse nella letteratura che al cinema, corrispondono ad una presa di coscienza rispetto al sociale e al reale molto più raggelante: non è raro, soprattutto in un autore come Dick, che storie di questo secondo tipo culminino nella scioccante scoperta che il mondo che ci circonda è quasi interamente fittizio, peggio, illusorio, ingannevole – virtuale.

È chiaro che questa è una bipartizione meramente espositiva: la trilogia di Matrix coniuga gnosi e messianesimo con una raffinatezza da far paura. È altrettanto chiaro che la fantascienza prende le mosse da un malessere nei confronti del reale, o quantomeno del presente: è il sottofondo platonico di tutta la fantascienza, “maggiore” o “minore” che sia, quel bisogno di trasferire ed alienare verso una sorta di iperuranio dell’immaginario le speranze e le paure del momento storico in cui si vive, o dell’individuo che scrive.
A voler affinare lo sguardo: la fantascienza maggiore, quale può essere rappresentata Dune, Star Wars o Star Trek, è sempre bene o male “ereditaria”, e ci tiene a sancire una certa positività dell’esistenza, l’inevitabile vittoria del bene sul male. La fantascienza minore, che sia Philip K. Dick, il Kazuo Ishiguro di Non lasciarmi o anche il duo Nicolas Roeg-David Bowie de L’uomo che cadde sulla terra, prende le mosse da qualcosa di molto più doloroso, da un vissuto profondamente relatable: una certa sensazione di estraneità radicale, di differenza profonda e insanabile rispetto a tutti gli altri uomini, che di volta in volta si è incarnata in replicanti, in alieni androgini, o in semplici uomini che, come il protagonista di Ubik, dal filare degli eventi venivano portati a compiere una scoperta scioccante e del tutto incomunicabile. Quest’estraneità ha molti echi culturali, ma non ci sembra il caso stavolta di scomodare Camus: può bastare ricordare, sulla falsariga di Riberi e di Luigi Moraldi che fu il pioniere degli studi sulla gnosi in Italia, che uno degli appellativi con cui uno gnostico dei primi secoli più spesso definiva sé stesso era αλλογηνης, “estraneo”, “straniero”. Lo sguardo implorante e feroce con cui moriva il replicante di Rutger Hauer al termine di Blade Runner – tratto non a caso da Dick, e diretto da Ridley Scott – sottoscrive pienamente l’espressione.

“Sono certo che non mi credete davvero, e forse non credete nemmeno che ci creda io stesso. Eppure è la verità. Siete liberi di credermi o meno, ma vi giuro che non sto scherzando: è una cosa molto seria, una questione importante”. Era da queste parole di Dick, pronunciate all’ormai leggendaria conferenza di Metz del ’77, che prendeva le mosse Io sono vivo, voi siete morti, il libro biografico che il pluripremiato scrittore francese Emmanuel Carrère dedicò negli anni novanta al collega americano autore di Ubik. “Molti sostengono di ricordare una vita passata, ma io sostengo di ricordare un’altra, diversissima, vita presente. Che io sappia, nessuno ha mai affermato una cosa del genere, ma ho il sospetto di non essere l’unico ad aver fatto questa esperienza. Ciò che è unico è la mia disponibilità a parlarne”. Se la fantascienza ha una forza, oppure un merito, oppure una qualche pregnanza, è proprio qui. Nel suo essere allegoria dell’umano, e della sua estraneità, e della sua necessità di analizzare il reale fino a farlo deflagrare.
Bibliografia
Emmanuel Carrère, Io sono vivo, voi siete morti, Adelphi, Milano 2016
Luigi Moraldi (a cura di), I Vangeli gnostici. Vangeli di Tommaso, Maria, Verità, Filippo, Adelphi, Milano 1984
Paolo Riberi, Il serpente e la croce. Duemila anni di gnosi: dai vangeli apocrifi ai catari, da Faust ai supereroi, Lindau, Torino 2021, con una prefazione di Domenico Devoti
Piero Vitellaro Zuccarello (a cura di), Gnosi. Nostalgia della luce, Mimesis, Milano-Udine 2012
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