
Coup de Chance – La variabile aleatoria delle immagini | Venezia 80
Il fuori concorso veneziano è stato quest’anno ampiamente dedicato alle figure di cineasti leggendari per longevità e incisività lungo la storia del cinema. Wiseman, con il (solito) lunghissimo documentario Menus Plaisirs – Les Troisgros, Friedkin (da poco scomparso) con The Caine Mutiny Court-Martial, Polanski con (il più che infelice, purtroppo) The Palace e, all’alba quasi dei 90 anni, Woody Allen con Coup de Chance, suo cinquantesimo lungometraggio. Potremmo e dovremmo anche citare Liliana Cavani e Shinya Tsukamoto (l’una in concorso, l’altro in Orizzonti con un film bellissimo). Wiseman a parte, è proprio Allen con Coup de Chance a dimostrare grande fedeltà alla propria idea di cinema, rimarcandone i tratti già ampiamente noti e spostando quanto basta il baricentro per non scadere nella fissità, nella ripetizione, ma per lavorare sulle variazioni di un tema. Come Schrader da anni a questa parte (fuori concorso proprio a Venezia lo scorso anno con Master Gardener), e anche un po’ come Hong Sang-soo.

In questo senso, la novità più evidente in Coup de Chance sta nell’abbandono per la prima volta della lingua inglese, in favore del francese. Siamo a Parigi, dove l’impiegata per una casa d’aste, la dolce e assai bella Fanny (Lou de Laâge), incontra per caso Alain (Niels Schneider), flâneur alle prese con la stesura di un romanzo e amico di vecchia data che non vedeva dai tempi del liceo. L’innamoramento è quasi istantaneo, ma Fanny è sposata con Jean (un sempre gigante Melvil Poupaud, che da amante nell’ultimo titolo di Hansen-Love, Un bel mattino, diventa ora il compagno cornuto), il quale si arricchisce «rendendo i ricchi ancora più ricchi». Ne vien fuori un triangolo che ha vita breve, perché mentre Fanny va a letto con Alain nel suo attico cigolante, iper-letterario e iper-romantico, Jean assolda un investigatore privato e degli assassini per risolvere la questione a modo suo. Niente di nuovo, naturalmente, anche nel passaggio tra i generi, dalla commedia romantica al giallo, con la madre di Fanny che vestirà i panni improvvisati del detective (anche qui, ruolo topico alleniano) per venire a capo della verità sulle macchinazioni di Jean.

Ed è fondamentale che questa pasta abbia un sapore già noto perché conduce lo spettatore verso una geografia di ricordi e impressioni, appunto, già tracciata, conosciuta, il cui elemento principale riemerge lampante, con facilità. E cioè a dire il fato, la casualità con cui le azioni prendono l’una o l’altra piega. Ricollochiamo allora, per naturale disposizione, Coup de Chance entro un orizzonte in cui lo sguardo è indotto a posizionarlo accanto a titoli quali Crimini e misfatti, Match Point, Irrational Man. Ma a cosa serve conoscere e usufruire delle coordinate di quest’orizzonte? Potremmo ecco dire che sblocchi un doppio livello: uno di libero godimento, l’altro di estensione di lettura delle immagini. Laddove, per il primo, possiamo semplicemente pensare al film come al piacere sempreverde associato alla visione di un titolo di Woody Allen, naturalmente quando in stato di grazia (e qui è così, specie per la scrittura brillante); dall’altra parte, l’immersione entro questo orizzonte di rimandi e ritorni apre ancor più lo sguardo sulla centralità ed effettività dell’agire del caso. Quella che a un certo punto del film viene definita come «variabile aleatoria» si posa sulla storia e sulle decisioni di Fanny, Jean e Alain.
Ammantato di un mistero che da facile associazione fa pensare a Jay Gatsby (nessuno conosce il lavoro che conduce e tra i compagni girano cattivi pettegolezzi sulla sua machiavellica scalata al potere), Jean ripete più volte di essere l’unico possibile artefice del suo destino, che il fato è in sua mercé perché è in grado di imporre con decisività il proprio volere sulle cose. Come dimostra l’atteggiamento machista e possessivo con cui si coccola, vizia e vanta di Fanny, sua “moglie trofeo”, o come quando si dedica all’osservazione minuziosa della sua ferrovia elettrica in miniatura, il micro-mondo di cui è l’unico abitante e padrone possibile. In Match Point, Jonathan Rhys Meyers diventava omicida per liberarsi di un’amante ormai ingombrante e ne usciva alla fine impunito per un purissimo colpo di fortuna. In Irrational Man, il caso giocava invece a sfavore del personaggio interpretato da Joaquin Phoenix, che finiva col pagare con la propria vita. Ancora, tornando più indietro, restavano fortunosamente impuniti gli omicidi di Crimini e Misfatti. Ecco in quale orizzonte si schiude l’ultimo coup de chance alleniano.

Quale destino attende Jean? Sarà in grado di mantenere il controllo sugli eventi tragicomici cui ha dato avvio per smanie egolatriche e volontà di potenza? Il film è in questo senso una risposta emblematica, funzionando benissimo come opera che sa dialogare col passato, collocandosi entro uno spettro più ampio di cui è insieme sintesi e variazione. Potrebbe e sembrerebbe essere scritto col pilota automatico, come The Killer, l’ultimo film di Fincher in concorso sempre a Venezia, del resto, e tuttavia questa impressione di automaticità dà conto qui di un cinema che ha già da tempo raggiunto il suo punto apicale e da lì si è ripensato attraverso una approssimazione e alleggerimento del peso specifico delle sue immagini, giungendo a produrre storie e luoghi e personaggi le cui interazioni – frutto quasi integralmente di tropi e tasselli recuperati da un ampio archivio alleniano – si srotolano autonomamente e senza decisività fino alla manifestazione, appunto, del caso. Il cinema di Allen è diventato un gioco, a ben vedere, almeno in questa sua coda. La variabile aleatoria moltiplica o annulla invariabilmente gli scenari mediante azioni o inazioni sui colpevoli e sulle loro vittime. Dentro queste immagini il senso di transitorietà e leggerezza è tanto spiccato da raggiungere una prossimità verso le cose superficiali come solo il cinema di Wes Anderson sta riuscendo a fare compiutamente negli ultimi tempi (Asteroid City ne è in tal senso la sintesi). Dove superficie è il presente, reindirizzato (guarda un po’) tutt’al più dal caso. Che autore fondamentale sa ancora essere Woody Allen. Anche con film apparentemente così piccoli.
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