
The Caine Mutiny Court-Martial – Giustizia sulla nave dei folli | Venezia 80
All’indomani della morte di William Friedkin, avvenuta il 7 agosto di quest’anno, Francis Ford Coppola aveva scritto che, con The People vs. Paul Crump, Friedkin era stato l’unico regista di tutti loro a salvare la vita di un uomo con un suo film. Più di sei decenni dopo quel documentario, Friedkin ha concluso la sua carriera con un dramma da camera che nuovamente si interroga sugli ambigui rituali della giustizia: The Caine Mutiny Court-Martial, adattamento dell’omonima pièce di Herman Wouk già oggetto di una trasposizione cinematografica nel 1954. The Caine Mutiny è un’opera triplamente postuma, per Friedkin, per Wouk, co-sceneggiatore morto centenario nel 2019, e per Lance Reddick, uno dei protagonisti, a cui il film è dedicato – eppure, pur essendo stato girato a inizio anno da un regista già ottantasettenne, in un’unità di tempo, luogo e azione spezzata solo dall’ultima scena, The Caine Mutiny è un film solido e dal ritmo incalzante. Questo military legal drama sfrutta al meglio le potenzialità attoriali dei suoi protagonisti – oltre a Reddick, anche Jason Clarke e Kiefer Shuterland – raccontando un enigma giuridico e morale degno di un romanzo di Joseph Conrad: nel bel mezzo di una tempesta, il primo ufficiale di una nave militare statunitense aveva il diritto di destituire il comandante se persuaso del fatto che questo fosse impazzito per il pericolo?
Non si tratta chiaramente di una pellicola che cambia le regole del suo genere come furono Il braccio violento della legge o L’esorcista a suo tempo, e probabilmente nemmeno di un film destinato a influenzare sottotraccia l’immaginario collettivo come Killer Joe, ma The Caine Mutiny Court-Martial è un film che mantiene il respiro di quel cinema americano classico che adesso sempre più è raro ritrovare. Il rimando a Sidney Lumet e ai suoi 12 Angry Men è inevitabile, ma sia pure all’interno della cornice di fatto teatrale in cui quest’ultimo Friedkin si è circoscritto la sua grammatica registica sa trovare spazi per virtuosismi e inquadrature fluide che ricordano i maestosi piani sequenza del Friedkin degli anni d’oro; e nonostante il carattere drammatico della vicenda la scrittura delle battute sa anche ironizzare sulle assurdità che entrambe le parti in causa hanno accumulato nei rispettivi racconti dei giorni a bordo del Caine. The Caine Mutiny Court-Martial peraltro scombina le carta non tanto del legal drama come genere quanto del carattere standard del processo stesso mettendo in scena una seduta di corte marziale in cui la difesa deve fare da attacco: ad essere imputato è infatti Maryk, il primo ufficiale accusato di ammutinamento per aver deposto il capitano da lui giudicato senza basi convincenti pazzo; l’unica strategia che si presenta valida per la difesa è allora quella di dimostrare l’inabilità del capitano Queeg al comando, nonostante i due decenni di onorato servizio.
E in quest’ultimo film di Friedkin labili non sono solo i confini tra difesa e attacco, ma anche quelli tra imputato, avvocato e giudice: l’avvocato, un militare ritenuto momentaneamente inabile al servizio, pur non stimando affatto le azioni di Maryk sembra immedesimarsi fin troppo nel suo ruolo, e finisce a più riprese per essere ripreso dal giudice; al tempo stesso, nel colpo di scena finale, mentre ancora si attende l’esito forse scontato del processo, è lo stesso avvocato di difesa a uscire dal suo ruolo e a dire la sua su questo “strano processo”, e sul ruolo ricoperto da Maryk nei fatti ambigui avvenuti a bordo del Caine. Come in tutti i processi dell’immaginario contemporaneo almeno da Kafka in poi, Friedkin ci porta per un’altra, un’ultima volta al di là di quei confini netti tra il bene e il male: è così che The Caine Mutiny Court-Martial si riconnette ai titoli maggiori della filmografia di uno dei più grandi registi americani.


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