
A proposito di niente – Woody Allen Memories
«Ed è così che sono entrato nel cinema. Duro lavoro, un po’ di talento, tanta fortuna, contributi fondamentali da parte di altre persone.». Così Woody Allen parla di sé, del suo ingresso nel mondo del cinema. Ed immediatamente sembra di vederlo: cammina ciondolante con le mani in tasca, si ferma quando l’inquadratura è un mezzo primo piano, guarda in macchina e poi inizia a parlare.
Questa è la sensazione che si ha leggendo A proposito di niente, l’autobiografia di Woody Allen edita in anteprima mondiale in Italia da La Nave di Teseo: di star assistendo ad un flusso di pensiero che ripercorre una vita, in cui ogni momento è riconducibile a un frame preciso. Dall’infanzia e l’adolescenza turbolenta all’insegna del divertimento e delle pagelle deludenti, alla scoperta dei cinema che diventano rifugio e paradiso in cui stimolare l’immaginazione e la creatività, fino alla gavetta da comico, al mestiere di sceneggiatore e poi alla regia. Ci sono tutte le fasi, le epoche, i temi, gli amori, le delusioni e gli scandali, Allen non tralascia nulla e non si censura.
È un viaggio mozzafiato sulle montagne russe, per quanto l’autore lo ritenga – giocandoci e strizzando l’occhio al lettore – il racconto della vita ordinaria di un uomo che ha sempre scritto e fatto film senza mai riuscire a realizzare – Allen ci tiene a precisarlo – un vero e proprio capolavoro. Per chi conosce il lavoro del regista newyorkese è facile ritrovarsi, e venire sorpresi dalla magia comica e grottesca di racconti che ricalcano quello che per decenni abbiamo visto sul grande schermo. Il lettore prende subito confidenza con il ragazzino lentigginoso che legge fumetti e si diverte e vedere all’infinito brillanti champagne comedies che cerca di emulare nella vita reale invitando belle ragazze radical chic, che tengono i libri di Kafka nella borsa, a bere un cocktail. Quando il racconto vira sul cinema, dai primi passi come sceneggiatore di Ciao Pussycat, fino ai suoi più grandi successi, ci si ritrova al centro di un parco divertimenti dove si ha solo l’imbarazzo della scelta: con salti nel tempo, più o meno ampi, digressioni e parentesi, il buon Woody accontenta tutti ricordando tutti i suoi film, uno per uno, senza mai risultare retorico, banale o noioso. Sono centinaia i nomi che vengono snocciolati e ricordati, ad ognuno viene assegnato un particolare merito o demerito, una parola che lo connoti e lo renda essenziale per aggiungere un segno sulla tela multicolore che è la vita del regista.

Gli anni Settanta sono quelli dei grandi successi, degli Oscar di cui ad Allen non importa nulla, di Diane Keaton – come sarebbe stato Huckleberry Finn al femminile –, gli anni del racconto di New York e degli strani tipi che la popolano, quelli delle scommesse come Zelig. La velocità sembra aumentare, si è ormai completamente abbandonati allo humor intriso di cinismo e frecciatine, quando ecco che tutto si arresta. Prima di passare al racconto degli anni Ottanta e del loro intimismo, Allen apre una parentesi e diventa improvvisamente serio. Il cambio di registro è netto e funzionale all’argomento: la pagina Mia Farrow si apre con tenerezza per quell’inizio di relazione dolce e pieno d’amore, poi si asciuga e si affila. Non c’è rancore, neppure un tangibile astio, piuttosto la necessità di raccontare la propria versione dei fatti, avvalorandola con testimonianze e parole di chi conosce ed è stato parte in causa delle vicende e delle accuse.
Usando una struttura alternata tra carriera e privato, gioie e dolori, soddisfazioni e rimpianti, Woody Allen dosa le parole e il loro peso. Non dimentica di esprimere la sua gratitudine e il suo affetto per chi è al sua fianco, per la moglie Soon Yi di cui delinea le sembianze con dolcezza ed estrema fermezza. È commuovente leggere della loro quotidianità, dell’equilibrio che hanno creato e che conservano nonostante la burrasca li abbia perseguitati sin dal principio della loro relazione inattesa e da molti considerata inopportuna.

Allen immagina di trovarsi faccia a faccia con il lettore, perciò lo precede: si pone autonomamente le domande che a chiunque sorgerebbero spontanee, a volte le anticipa persino poiché non vuole lasciare nessuna questione in sospeso, così da poter dire, se messo sul banco degli imputati, di non aver altro da dichiarare. Ringrazia pubblicamente, facendo nomi e cognomi, chi lo ha sostenuto, quegli attori e collaboratori che gli sono stati fedeli, sottilmente ne biasima altri, e perdona i più giovani che si sono trovati intrappolati in meccanismi più grandi di loro che li hanno portati a rinnegare fortunate collaborazioni.

Rinnegato dal Paese che gli ha dato i natali, Allen mostra gratitudine a quell’Europa che nel suo ultimo cinema ha elogiato e raccontato. Un sentimento che è stato ricambiato con trasporto attraverso l’opportunità di far vedere la luce al suo ultimo film Un giorno di pioggia a New York, un progetto che con la seconda ondata di accuse sembrava essere destinato all’oblio.
Le quattrocento pagine di A proposito di niente – o a proposito di tutto – sono un regalo prezioso, un’ulteriore testimonianza di una genialità, di una cultura e di un’intelligenza che è preferibile sminuire e minimizzare o sostituire con vocaboli meno impegnativi, vocaboli che ironicamente permettano di mantenere un profilo basso.
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