
“Match Point”, la tragedia secondo Woody Allen
«Chi disse “preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte, in una partita, la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro; con un po’ di fortuna, va oltre e allora si vince. Oppure no… e allora si perde». Così pronuncia la voce che si sostituisce a quella, splendida, di Enrico Caruso: le sue parole, come le immagini che accompagnano, rappresentano la chiave di lettura della pellicola a cui fungono da prologo, ovvero “Match Point” (2005), tra le più belle opere partorite dall’ingegno del regista e sceneggiatore Woody Allen.
Verso la metà di “Crimini e misfatti” (1989), che di Match Point è certamente illustre antenato, Ben (Sam Waterston) – personaggio secondario, ma fondamentale – afferma che «a volte un pizzico di fortuna è il più brillante dei piani»; ma la sorte, in quel caso, agiva nell’ombra, comprimaria delle «angosciose scelte morali», che, sommate, compongono la persona. In Match Point, al contrario, la fortuna è resa indiscussa protagonista e – specie se si presta la dovuta attenzione al breve monologo introduttivo – ciò contribuisce a creare una sorta di tensione fin dalle prime scene, quelle che introducono i personaggi, gli stessi che nella tensione finiranno in seguito per sprofondare, scena dopo scena.
Protagonista dell’intreccio è Chris (Jonathan Rhys-Meyers) che, scampato alla povertà grazie al tennis e trasferitosi a Londra come istruttore, incontra Chloe (Emily Mortimer), donna ordinaria, che, ricambiata, se ne innamora, finendo per trascinarlo nel suo mondo fatto di lusso e agi; il caso attira Chris in un triangolo amoroso che si spingerà così oltre da convincere l’uomo ad uccidere l’amante – Nola (una sensualissima, ma mai così umana, Scarlett Johansson) – per non dover rinunciare alla sua nuova vita.
Il regista statunitense sceglie di portare in scena una trama alquanto semplice e di puntare tutto sui profondi significati che vi si celano dietro e sulle atmosfere dense di drammaticità. L’opera è drammatica a partire dai temi, che vanno dalla classica ipocrisia alla ben più impegnativa impotenza dell’uomo in balia del fato, ma drammatica è pure la vicenda, che, nel suo svolgimento, molto si avvicina a una classica tragedia greca: non è certamente casuale, sul finale, la citazione di Sofocle.
Il dramma è accentuato poi dalla meravigliosa colonna sonora composta interamente da arie d’opera – e in cui il Caruso iniziale è presentissimo –, complice ideale dell’atmosfera cupa creata da Allen, che riesce, tramite le musiche, ad esprimere «tutta la tragicità della vita» (proprio come il CD regalato a Chloe da Chris), in particolare nelle situazioni del film che ancora non sanno di essere tragiche.
Regia e sceneggiatura sono curate nei minimi dettagli e Allen sembra divertirsi offrendoci richiami a opere precedenti – durante una cena si afferma che il padre di Chris è un fanatico religioso, proprio come il padre della sua controparte nel già citato “Crimini e misfatti” – o fornendoci, fin dall’inizio, indizi sugli sviluppi successivi della trama (si pensi a come Nola, nelle sue conversazioni con Chris, lanci, involontariamente, continui spunti di quelli che saranno poi ragioni ed esecuzione del proprio omicidio). Altra chicca non trascurabile è il luogo scelto da Chris per liberarsi delle prove del delitto; il protagonista passa, infatti, davanti al più celebre murale di Banksy, “Girl with balloon” (o “Balloon Girl”), rappresentante la – volontaria – perdita dell’innocenza e della fragilità tipiche della fanciullezza.
Proprio in quel frangente, come la palla che colpisce il nastro, un anello colpisce la ringhiera senza superarla, e, a giudicare da come si evolve la vicenda, pare che la partita sia vinta; non bisogna tuttavia farsi ingannare, ma tenere bene a mente la lezione imparata nella scena iniziale: si vince quando la palla va oltre! Le ultime inquadrature ci permettono infatti di riflettere su come Chris, affidandosi totalmente alla sorte, aveva sempre sperato, nel profondo, di essere scoperto, da sua moglie prima, quando ancora poteva risparmiare due (o tre) vite innocenti, e dalla polizia poi, quando insieme a Nola aveva irrimediabilmente ucciso una parte di sé. La palla è tornata indietro.
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