
Invelle – Oltre i luoghi | Venezia 80
L’animazione che cancella lo spazio e i suoi limiti permette di esplorare confini espressivi invalicabili, di scoprire la vera natura delle forme. Su questa linea pare muoversi il primo lungometraggio di Simone Massi. Invelle, che dal dialetto marchigiano si può tradurre come “non luogo”, è prima di tutto un tentativo di recuperare gli echi di storie passate, strappati e cancellati dalla Storia con la S maiuscola. Suggestiva, ipnotica, a tratti sconcertante, quest’opera anomala, presentata nella sezione Orizzonti, è una delle visioni più fantasmatiche di Venezia 80 del cinema italiano contemporaneo.
La premessa di Invelle è quella di raccontare un affresco del mondo contadino marchigiano che spazi lungo l’intero Novecento italiano. Diversi personaggi si alternano, o meglio si compenetrano, in un susseguirsi di storie di povertà, solitudine, rabbia e privazioni. Le Marche contadine sono un luogo che opprime e imprigiona i propri abitanti, ne delimita l’esistenza in confini esistenziali, politici ed economici. La prima grande conquista del film è quella di liberare questa umanità con la sua tecnica d’animazione.

Ogni secondo è occupato da tre frame, ognuno dei quali accuratamente disegnato a mano con matita e carboncino. Di conseguenza, è impossibile ottenere continuità tra un disegno e l’altro. Le forme assumono una vita propria, i contorni vibrano, e l’immagine pare sussultare nevroticamente imitando la pressione esistenziale dei personaggi. Poche altre volte si è visto sullo schermo una così vivida rappresentazione dell’abisso in cui vengono gettati gli esclusi dalla Storia. Pochi, semplici colori, si insinuano ogni tanto in questo tetro monocromatismo. Sono dettagli di ricordi: panni appesi, un fazzoletto rosso, un’auto rossa. Massi sembra combattere l’oblio con momenti di fragile poesia.
Ancora più spiazzante, è l’uso delle transizioni tra una scena e l’altra. Sono pochissimi quelli che possono essere considerati come veri e propri stacchi di montaggio. Al contrario, ogni scena viene per lo più generata dall’altra: la camera si allarga su un paesaggio che si trasforma in un volto, oppure si restringe su un dettaglio che diviene parte di un altro ambiente. Questa invenzione di costanti sineddochi, che stabilisce un rapporto onirico e quasi mistico con ogni oggetto e personaggio, è ciò che definisce l’anima liberatoria di tutto il film.

I personaggi di Invelle, infatti, sono ridotti irrimediabilmente a fantasmi, e riacquistano una propria dignità proprio grazie al loro essere senza forma. Massi sfrutta la sua personale tecnica di animazione per esplorare le più fantasiose soluzioni espressive, e l’impossibilità di avere un Epos definito a cui fare riferimento gli permette di dare alla sua opera un carattere libero e spontaneo. Questa commistione di pauperismo ed eleganza, di straordinaria inventiva e gracile quotidianità, permette al film di stabilirsi perfettamente a metà tra il grande affresco epico e il racconto di un nonno.

Infine, Invelle riesce nell’intento di tracciare un nuovo modo di rappresentare la Storia, nel quale il ricordo personale acquista la stessa dignità della memoria collettiva. Le immagini della Prima e della Seconda Guerra Mondiale generano quelle di un contadino che non ha mai visto il mare, un dialogo che si trasforma in voce fuori campo: Massi traccia l’andamento della Storia come un inesplicabile intreccio
di connessioni. Impossibile da comprendere nel suo complesso, esso può essere solo contemplato.
Grande anomalia del cinema italiano, Simone Massi ha realizzato un’opera misteriosa e al contempo umanista. Forse la summa del proprio autore, da sempre legato al cortometraggio, e certamente una delle visioni più uniche di cui si più essere testimoni nel panorama attuale.
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