
Zola – Lo storytelling nell’era digitale
Per A24, casa di produzione e distribuzione newyorkese tra le più influenti dei circuiti del cinema indipendente, raccontare storie che riflettono il contemporaneo con sguardo innovativo e con spessore narrativo non è una novità: Euphoria è la serie tv che forse meglio rappresenta la complessa Generazione Z, e film come Moonlight (2016) e Lady Bird (2017), intimi racconti di formazione, sono riusciti ad emergere fino ad ottenere i riconoscimenti massimi nel settore. Con il film Zola (2021) di Janicza Bravo, A24 torna alle atmosfere del film grazie a cui trovò il modo di farsi notare per la prima volta nel 2013: Spring Breakers di Harmony Korine, in concorso alla 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Rispetto agli altri esperimenti della casa di produzione, Zola si distingue per una differenza sostanziale: il film è tratto da una storia apparsa nel 2015 sul profilo Twitter (dall’username @zolarmoon) di Aziah King, che attraverso 148 tweet ha scelto di raccontare ai suoi seguaci – in tempo reale – un’inquietante vicenda che l’ha vista coinvolta in un pericoloso viaggio con protagonisti sex trafficking, armi rapimenti e droghe. Adeguandosi all’unica narrazione possibile su social come Twitter – che ha ancora il limite di 280 caratteri per ogni tweet – Aziah è riuscita a costruire un racconto colmo di tensione e colpi di scena, tanto da scatenare la curiosità di milioni di utenti e posizionarsi in poco tempo fra i trend mondiali grazie all’hashtag #TheStory.
D’altronde a chi non è mai capitato di pensare che certi racconti riportati da utenti del web – attraverso post di Facebook o thread di Tumblr e Twitter – fossero così assurdi da somigliare alla trama di un film? Eppure, ad osservarla bene, l’operazione condotta in Zola non sembra legarsi tanto agli eventi raccontati quanto alla modalità, caotica ed instantanea della narrazione, basata sull’utilizzo dei pochi caratteri permessi da Twitter: «il medium è il messaggio». Così facendo, il film di Janicza Bravo riesce a mettere in campo una serie di riflessioni metanarrative – tutt’altro che superflue – sulle culture digitali, sui nuovi criteri di uno spazio virtuale ormai autonomo, sulle dinamiche dei social networks e sulla modalità istantanea ed interattiva di raccontare storie sul web.

In questo senso, quindi, Zola non si distacca mai dalla sua matrice iniziale – il social network – permettendo allo spettatore di svelare diversi tipi di cortocircuiti intermediali, uno su tutti quello relativo al binomio reale/virtuale e verità/finzione. In uno spazio dove per emergere c’è bisogno di auto-rappresentarsi partendo da zero – costruendo un’immagine di sé da gestire come si vuole – non è difficile capire il perché le bugie siano all’ordine del giorno: lo provano la diffusione di concetti come il clickbaiting o le frequenti conversazioni sulle fake news. Nonostante il fatto che le dinamiche di internet influenzino oggi in maniera significativa quelle al di fuori, essere scettici è sempre più difficile: ciò che emerge dal film è una riflessione sull’incapacità di distinguere le notizie vere da quelle false, in un mare di informazioni e di infinite versioni che ostacolano l’atto di stabilire le motivazioni originarie di un gesto, e in cui la post-verità è più rilevante del fact-checking.

Restando fedele alle regole della comunicazione online, la trasposizione cinematografica dei tweet di Aziah si risolve in una narrazione interrotta, caotica, dal ritmo forsennato: proprio come quella di una serie di post scritti uno dopo l’altro senza prestare attenzione agli errori di distrazione (i cosiddetti typos) o alle abbreviazioni sbadate. Come per una storia raccontata su un social network in tempo reale, il film conserva una parvenza di interattività: pur trattandosi del racconto di una vicenda passata rivelataci attraverso una serie di debrayage narrativi, la sensazione dello spettatore è quella di poter decidere insieme alla protagonista quale sarà la prossima mossa, stabilendo un rapporto latente tra l’opera e i suoi fruitori.
Zola non è, dunque, un semplice film su un road trip dalle note thriller, ma una riflessione sulle modalità in cui il linguaggio del web può arrivare ad influenzare quello cinematografico, nello stesso modo in cui, secondo le teorie postmoderniste del cinema, i videogiochi e i videoclip lo hanno trasformato e rivoluzionato per sempre. Adesso è il turno di internet.
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