
Euphoria – Lacrime di glitter
Bullismo, sangue, abusi, morte, alcolismo, droghe, mascolinità tossica, omofobia, omicidio, stupro, sessismo, violenza: Assassination Nation, secondo lungometraggio di Sam Levinson che qualche anno più tardi sarebbe diventato il creatore e showrunner di Euphoria per HBO, si apre con queste parole a caratteri cubitali, talmente grandi da soffocare lo schermo. Sono quelli che in gergo si chiamano trigger warning, ovvero disclaimer che devono avvisare e preparare il pubblico ai contenuti di cui sta per fruire. Sono avvisi, ma in testa a un film come Assassination Nation suonano più come provocazioni che rimproveri. È un invito a guardare quella che a detta di una delle protagoniste è una storia al 100% vera, senza esagerazioni. Potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno, ma è la quotidianità sia nella finzione filmica, sia nella vita vera di molti adolescenti. Sam Levinson ora prende le distanze dalla ferocia di Assassination Nation, tornando però su quelle stesse tematiche in Euphoria e in quel luogo che aveva definito come una vera tortura: il liceo.
Euphoria, prodotta tra gli altri da A24 e dal rapper Drake, vorrebbe essere un adattamento dell’omonima serie israeliana andata in onda tra il 2012 e il 2013, ma si limita a usarla come canovaccio per aggiungervi personaggi, situazioni e per aggiornarla al presente. Se spogliato dell’attenzione estetica fin troppo estremizzata, Euphoria è una messa a nudo del suo stesso autore: un dipinto attento della dipendenza dalla droga, che lui stesso ha attraversato durante l’adolescenza, ma è impossibile ridurre la serie solo a questo. Si passa da come il porno ha influenzato il rapporto dei giovani con il sesso alle relazioni tossiche, dalla mascolinità al fallimento dei sogni, tutto questo attraverso gli occhi degli otto protagonisti: Rue (Zendaya), Jules (Hunter Schafer), Nate (Jacob Elrodi), Maddy (Alexa Demie), Kat (Barbie Ferreira), McKay (Algee Smith), Cassie (Sydney Sweeney) e Lexi (Maude Apatow).
Questi ragazzi sono inquadrati fin dalla prima sequenza come vittime del sistema: Rue, presentandosi, sottolinea di essere nata pochi giorni dopo l’11 settembre e di aver vissuto i suoi primi giorni di vita illuminata dalla flebile luce del televisore che ripeteva all’infinito l’immagine delle torri che cadevano. Dalla sua voce narrante che ci accompagna per tutta la stagione emerge una forte rassegnazione, come se il mondo avesse deciso di condannarli facendoli nascere in una nazione rotta dalla tragedia, in cui questi giovani nonostante i numerosi tentativi né possono migliorare la loro condizione, né possono sfuggire alle trappole che la società ha teso per loro.
La visione soffocante della vita di Euphoria viene però trasposta sullo schermo con un’estrema attenzione all’estetica, che strizza l’occhio alla cura che uno qualsiasi dei teenager protagonisti potrebbe rivolgere al proprio feed di Instagram. La camera compie acrobazie per seguire i personaggi, i colori sono amplificati al massimo, le opere d’arte della make-up artist Doniella Davy hanno lanciato mille tendenze. Quando i personaggi piangono, le loro lacrime sono piene di glitter.
La serie nei suoi otto episodi riesce a trasmettere l’esagerazione con cui ogni persona vive la propria adolescenza, dove ogni ostacolo è la fine del mondo, ogni rottura ci fa smettere di credere nell’amore, ogni outfit deve essere pianificato alla perfezione per essere sicuri che quella persona ci guardi. È una parte della vita esasperante che Euphoria tratta con un’onestà che mancava ai teen drama che l’hanno preceduta soprattutto nell’affrontare le tematiche più delicate. Il tutto è aiutato dal rating TV-MA, quindi destinato solo ad audience mature, che gli permette di mostrare graficamente il sesso e la violenza, senza censure.
Durante la messa in onda americana ogni episodio è stato capace di far nascere dibattiti: dalla trentina di peni durante una scena nello spogliatoio alle critiche di un ex membro degli One Direction per la rappresentazione grafica di una fanfiction che lo coinvolge senza il suo consenso. Euphoria non vuole aizzare l’opinione pubblica solo per divertimento, vuole spingere le generazioni a conversare su quella che è la realtà dei giovani di oggi. È un racconto vorticoso e confusionario dell’adolescenza di oggi raccontata con il giudizio di chi l’ha già vissuta, in cui i ricordi si confondono, le sensazioni si mischiano e sembrano ancora più forti di quanto fossero veramente. È realistica? Forse, ma Euphoria è vera. Parla con vulnerabilità e coraggio di temi spesso trascurati come la depressione, le dipendenze e la sessualità femminile. Che piaccia o no, dovrebbero esserci più serie come Euphoria al mondo.
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