
Social Distance – La serie Netflix girata in remoto durante il lockdown
Disponibile dal 15 ottobre, Social Distance è una serie Netflix ideata da Hilary Weisman Graham e prodotta da Jenji Kohan – già autrice di Weeds e Orange is the New Black – che in 8 brevi episodi vuole consegnarci un affresco di cosa è stato il lockdown negli Stati Uniti. Fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria il mondo del cinema e delle serie tv ha dovuto fare i conti con molti nuovi ostacoli: da quelli produttivi ad altri più concernenti la narrazione e la rappresentazione di una realtà completamente nuova e instabile.
Ci si sta ancora interrogando se sia il caso che nuovi progetti ambientati nel presente comprendano coerentemente l’uso di mascherine e rappresentino la situazione per quella che è, anche se non vogliono trattare direttamente l’elemento del lockdown. Non c’è una risposta univoca, ma Social Distance, girata e post-prodotta interamente da remoto, ha provato ad andare dritta al punto e raccontare precisamente quali possano essere state le condizioni del lockdown statunitense.
Non è in realtà l’unica proposta: anche l’NBC ha lanciato la sua serie comedy Connecting, che ha però registrato bassi ascolti facendo pensare che, forse, sia più efficace affrontare di petto anche i lati più drammatici dell’isolamento forzato. Ed è precisamente quello che si prefigge di fare Social Distance, che comunque non arriva mai a raccontarci la morte di nessun protagonista, ma indaga, grazie alla struttura antologica, una varietà di più o meno difficili situazioni per mostrare cosa è stata la primavera del 2020.
Dal giovane barbiere che soffre di alcolismo alla dottoressa in pensione che vuole tornare in corsia nonostante il dissenso del marito; dall’infermiera in una casa di riposo che non sa a chi lasciare la figlia al padre che si ritrova da solo con il figlio mentre la moglie è malata ed isolata nella stanza a fianco; dalla famiglia che a distanza assiste ad un tragicomico funerale del suo “patriarca” alla giovane gamer che prova a conquistare a distanza la sua crush del momento; dalla coppia gay annoiata che scarica Grindr per un avventura con uno sconosciuto fino ad arrivare ad un giovane afroamericano, costretto a decidere se restare al lavoro o rischiare il licenziamento per partecipare alla manifestazione a supporto di Black Lives Matter.

Da subito, dunque, emerge la varietà nella rappresentazione e il buon proposito di affrontare il tema dell’attualità in una nazione in cui l’emergenza sanitaria ha fatto esplodere una tensione già attiva da tempo a causa del razzismo e della forte disuguaglianza economica e sociale.
La sceneggiatura è scritta con attenzione e cura ai dettagli, adattando lo stile ai contesti e creando dialoghi credibili e capaci di trasportare velocemente nell’atmosfera della puntata senza annoiare, ma conducendo lo spettatore verso un finale che di volta in volta può essere spensierato, commovente o agrodolce.
Il merito va anche alla capacità di sfruttare le potenzialità della tecnologia in modo intelligente, poiché tutto ci viene raccontato attraverso lo schermo di un dispositivo; può trattarsi di una videochiamata, di un filmato registrato dalla videocamera di sorveglianza, del feed di Instagram o ancora delle ricerche online del protagonista. La molteplicità di strategie e il ritmo con cui vengono alternate suggeriscono le motivazioni, le intenzioni e gli stati d’animo dei personaggi, partecipando in maniera rilevante alla costruzione dell’arco drammatico dell’episodio.
Non si tratta certamente del primo progetto che sfrutta il linguaggio della tecnologia per raccontare una storia – basti pensare al teen horror Unfriended del 2014, ma anche ai thriller Searching e Profile, entrambi usciti nel 2018 – ma è chiaro che dopo l’esperienza del lockdown la stessa idea acquista un significato diverso per un pubblico che per mesi ha trovato online l’unica possibilità di connettersi agli affetti e al mondo.

Interessante è anche l’apertura alla tecnica dell’animazione nell’episodio che racconta di un padre che cerca di spiegare al figlio cosa stia accadendo intorno a loro: si tratta di brevi parentesi in grado di smorzare il tono cupo delle altre scene, provando a darci il punto di vista di un bambino che con il disegno elabora un’esperienza che sfida la sua comprensione.
Sono quindi da premiare la versatilità e l’onestà di un prodotto che non punta troppo in alto, ma cerca di esprimere senza patetismi un senso di comune disorientamento e instabilità. Unica pecca: la brevità degli episodi a volte tende ad appiattire la complessità delle situazioni proposte, lasciando all’arrivo dei titoli di coda una sensazione di incompletezza e un poco di insoddisfazione. Ora resta solo da capire quanto gli spettatori abbiano voglia di rivivere una condizione di isolamento che ha portato tanti traumi e difficoltà.
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