
La serie su Boba Fett è il grado zero dell’imbarazzo, qualcuno la fermi
Nel vertiginoso inseguimento a quaranta all’ora per le strade di Mos Espa tra uno speeder motorizzato Trabant e Lambrette verniciate da alcuni appassionati di American Graffiti, Grease e i Power Rangers si condensa tutto ciò che è oggi Star Wars per la Disney: un’enorme carcassa di balena da raziare, spolpare, tritare fino all’osso. In ogni caso, una balena spiaggiata o il suo scheletro restano pur sempre uno spettacolo da ammirare, solo che la balena sul bagnasciuga forse si sarebbe potuta salvare, dallo scheletro è invece difficile tornare indietro. Ebbene, col terzo episodio di The Book of Boba Fett, ci siamo arrivati, abbiamo visto non l’osso, ma il midollo, siamo giunti al minimo termine, da qui in poi non si può più parlare di balena, da qui in poi Star Wars non esiste più, è avanspettacolo. Capitolo 3: Le strade di Mos Espa è infatti il triste trionfo dell’imbarazzo, un tour nell’inadeguatezza che ci porta a chiedere di fermare questo scempio, di non pubblicare altri episodi, sia per Star Wars, che non merita questo, sia per il mondo della serialità su piattaforma in generale, decisamente ridimensionato da questa ansia per la quantità sopra la qualità.

Se il primo episodio si era giocato la carta del Sarlacc per distrarci, con minimo successo, e il secondo episodio era stato una vera perdita di tempo sanza ‘nfamia, la parabola discendente si rivela un trittico, proiettandoci nell’ennesima passeggiata sul set trito e ritrito di Mos Espa, qui oltretutto privo dei crismi, dell’allure cinematografica che rendono tutto più autentico. Sembra una vera gita agli studios, ma a parte questo, sembra l’ennesima caduta di tono e presa in giro di un personaggio, Boba Fett, di cui forse interessava già poco a pochi, e che ora si rivela una specie di funko pop comico dal cuore d’oro, con una testa troppo grossa, un’armatura eccessivamente sgargiante e l’attitudine a togliersi troppo spesso l’iconico casco. Scopriamo che Boba Fett le prende di continuo, fa amicizia con quattro giovini punk di provincia e poi li ingaggia senza averli mai visti combattere: d’altronde hanno avuto esperienze pregresse come cosplayer di Quadrophenia e ogni tanto potenziano i loro corpi con qualche nuovo braccio robotico od occhio bionico. Inoltre Boba Fett, da buon disneyano, facendo amicizia coi Maneskin strizza pure l’occhio alle audience giovani e appassionate sì di motori, ma soprattutto di colori sgargianti e cromature, insomma il target di Disney sembra essere quel ragazzino scapestrato appassionato di motori anni ’50 a cui piacciono tanto i musical e gli inseguimenti a passo d’uomo.
Forse un target leggermente troppo specifico, se possiamo dire la nostra.

Ma passiamo avanti, Boba Fett non ha finito di insultare il nostro gusto e la nostra intelligenza, dunque costruisce un personaggio temibile, questo wookie nero imbattibile che però ci gira intorno e da buon assassino mercenario si dimentica di cogliere le mille occasioni di finire i propri avversari. Che sbadato. Meno male che a distrarci arriva un amico del regista Robert Rodriguez, che rende Danny Trejo – l’amico – nientepopodimeno che un addestratore di Rancor, tra le creature più feroci della galassia, qui però in versione Disney, dove tutto si appiattisce, si ingentilisce e si addolcisce: questo Rancor è una creatura da comprendere e coccolare. Se paghi €9.99 in più ti fa anche le fusa. Una deriva insomma agghiacciante che mette la parola fine sulle aspirazioni di Disney+ in tema di quality TV.
A partire dalla scrittura scriteriata di Favreau, passando per le infelici scelte di cast, di costumistica, di fotografia perfino, The Book of Boba Fett conferma ciò che era chiaro anche in The Mandalorian, l’obiettivo è sfruttare il mondo Star Wars finché ce n’è, finché non si ribellano e smettono di guardare. Ma se The Mandalorian, pur non potendosi chiamare quality TV, è riuscita a creare un personaggio, un’attesa, una storia degna di essere seguita, a questo giro siamo invece di fronte a qualcosa di unico, un disastro su larga scala peggiore della già decadente The Bad Batch.

Mi chiedo dunque se abbia senso andare avanti, con la serie e con questo articolo, perché di tempo con Boba Fett ne abbiamo già sprecato abbastanza. Sicuramente la serie sfodererà l’ennesima chicca/cameo/easteregg, continuando a cannibalizzare il patrimonio creativo cui può attingere, trascinando molti a vederla fino all’ultimo episodio, nella speranza di un colpo di scena, di una spada laser da qualche parte. In pratica un rapimento, forse un ricatto, e il punto è proprio questo: nel 2022 il vero cacciatore di taglie non è più Boba Fett, è la piattaforma streaming, e il suo vero obiettivo non è più creare cose belle e grandi storie.
Al centro del mirino ci sei tu, abbassa la testa.
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[…] stilistici, asciuttezza estetica e una colpevole mancanza di autenticità che, suo malgrado, è stato costretto a riscontrare più volte nell’era Disney. Sia chiaro, lo spettatore Disilluso attende ogni nuovo prodotto Star Wars […]
[…] sé stesso e del diritto di farsi chiamare come titola la serie. Dopo l’estrema delusione di The Book of Boba Fett – salvata in corner unicamente quando è diventata qualcosa di più di un spin-off […]
[…] dalla Bibbia, o al leggendario Kraken dell’immaginario norvegese. Nella quinta puntata di The Book of Boba Fett peraltro l’Armaiola aveva profetizzato che solo il ritorno del Mitosauro avrebbe dato vita a […]
Evidentemente abbiamo visto uan serie diversa!