
“Obi-Wan Kenobi” Episodio 6 – Divide et impera
Attenzione: la recensione contiene spoiler dell’episodio 6 di Obi-Wan Kenobi. | C’è una costante nel fandom di Star Wars da quando la Disney ha preso in mano l’Universo creato da Lucas e ha deciso di plasmarne il seguito e gli interstizi per capitalizzarne ogni angolo dell’immaginario: la divisione. Mai come dal 2015 con Episodio VII (e in particolare con Episodio VIII) i fan di Star Wars, per motivi che vanno dalle differenze generazionali fino all’intensità con cui si vive e si è vissuto il franchise, sono stati più divisi ogni volta che viene rilasciato un nuovo prodotto. Da Twitter alle riviste specializzate, ogni singolo titolo (escluso Rogue One, va detto) genera due tipi di fan – entrambi spesso competenti e raramente superficiali -: l’Entusiasta e il Disilluso.

Obi-Wan Kenobi non è da meno, avendo polarizzato il pubblico tra chi grida al miracolo, magari plaudendo una riqualificazione della Trilogia Prequel, e chi grida allo scandalo, sentendosi tradito dalla messa in forma di storie che semplicemente non dovrebbero essere così. Proviamo, in questa recensione dell’episodio 6 di Obi-Wan Kenobi – che in quanto finale di stagione ne diventa anche un bilancio -, a immedesimarci in entrambe le posizioni, per cogliere scarti e incontri delle potenzialità e delle criticità di questo prodotto, il tutto a partire dal suo segmento conclusivo.
Lo spettatore Entusiasta – Una mitologia coesa
Quello che lo spettatore Entusiasta ha lodato in questa incarnazione seriale di Obi-Wan Kenobi è la volontà – più e più volte espressa e messa in forma – di connettere insieme due mitologie altrimenti distanti, quella della Trilogia Prequel e quella della Trilogia Classica, costruendo un ponte che permetta di riconoscere nei due Kenobi (Ewan McGregor e Alec Guinness) lo stesso personaggio, attraversando gli altri prodotti che l’hanno visto protagonista (The Clone Wars e, soprattutto, Rebels). Ogni episodio della miniserie è intriso di citazioni evidenti, spesso integrate con la narrazione, che rimandano all’una e all’altra parte della saga, sfidando la competenza dello spettatore e accontentandone parecchie aspettative.

Lo spettatore Entusiasta è anche spesso un amante della Trilogia Prequel e ha trovato in Obi-Wan Kenobi un grandissimo quantitativo di rimandi a quell’immaginario. Specialmente nell’ultimo episodio della serie assistiamo a un attesissimo combattimento, che rima e risponde al combattimento finale de La Vendetta dei Sith, incastrandone dialoghi, colori, inquadrature (chi era più in alto questa volta?) e integrandovi rimandi visivi da far sobbalzare i più attenti. A ciò si aggiungono battute attesissime e finalmente pronunciate, come un molto nostalgico «Hello there» da sentire rigorosamente in lingua originale. Negli occhi dello spettatore Entusiasta si trova anche la meraviglia per inquadrature e sequenze visivamente notevoli, che restituiscono la potenza di una Darth Vader a metà tra quello di Episodio III e di Rogue One, materializzandone quell’impulsività e quell’aura di terrore che va plasmando uno dei villain più riusciti di sempre.

In qualche modo, lo spettatore Entusiasta si lascia trasportare da Obi-Wan Kenobi – e dall’episodio 6 più che mai – come in un’attrazione da parco a tema, restando sorpreso ad ogni giro di curva, apprezzando la cura e l’attenzione che gli autori hanno messo nello stimolare le sue competenze e nel ricucire parti di racconto altrimenti troppo distanti, il tutto senza perdere il focus della componente visiva. Per questo spettatore, l’ultimo scambio di battute tra Kenobi e Vader è la quadratura di un cerchio aperto fin da Episodio IV, la risposta alla grande domanda riguardo la responsabilità della morte di Anakin e la nascita di Darth Vader stesso. Il tutto trova coronamento con la comparsa di Qui-Gon Jinn in forma di fantasma, sorpresa annunciata e definitiva consacrazione dell’immaginario della Trilogia Prequel.

Lo spettatore Disilluso – Tutto è perduto
Non c’è appello per lo spettatore Disilluso: Obi-Wan Kenobi è semplicemente un prodotto sbagliato e questa conclusione ne è la prova lampante. Lungo i sei episodi della miniserie questo spettatore non ha potuto che constatare buchi di trama, scivoloni stilistici, asciuttezza estetica e una colpevole mancanza di autenticità che, suo malgrado, è stato costretto a riscontrare più volte nell’era Disney. Sia chiaro, lo spettatore Disilluso attende ogni nuovo prodotto Star Wars con la stessa trepidazione dell’Entusiasta, semplicemente il risultato non corrisponde mai alle sue aspettative, coltivate da anni di Universo Espanso e narrazioni grassroots. Questo spettatore non vede nei nuovi titoli la realizzazione del suo immaginario, bensì una repentina anestetizzazione, in cui il respiro delle produzioni non corrisponde a quello richiesto da un’epica più vasta del suo contenitore.

Limitandosi a questo episodio 6 di Obi-Wan Kenobi, lo spettatore Disilluso trova terreno fertile per le sue critiche: una Reva distrattamente non uccisa da Vader arriva magicamente su Tatooine e nonostante il suo già evidente potere viene decisamente messa in difficoltà da due coltivatori; allo stesso tempo, Darth Vader rinuncia a inseguire un’intera flotta ribelle (dando spazio all’inizio di Rebels, quindi gli siamo grati) per trovare un solo fuggitivo dirottando un intero Star Destroyer. Ingenuità necessarie, si potrà dire, ma che per lo spettatore Disilluso pesano come macigni, tanto da vedere come un problema della trama il fatto che Obi-Wan non finisca Darth Vader una volta che l’ha sconfitto e ne ha compreso la natura apparentemente irredimibile.

Anche dal punto di vista stilistico non si è da meno: dove lo spettatore Entusiasta vede momenti potenzialmente iconici, il Disilluso nota un’asciuttezza di CGI e un senso di imperante claustrofobia, il tutto condensato in passaggi troppo frettolosi e spesso ininfluenti. Come ininfluenti sono per questo spettatore le strizzate d’occhio, troppe, troppo evidenti e spesso non coerenti col racconto (va detto, sono punti di vista). Lo spettatore Disilluso continua a sperare nell’integrazione tra le due Trilogie, ma più prodotti escono in questa direzione, più ogni occasione appare persa.

Is this the Way?
Fuori dalle logiche manichee, questo episodio 6 di Obi-Wan Kenobi si apre effettivamente a darsi come bilancio dell’intera serie, partendo da alcune scelte che mettono in luce, qui più che altrove, lo scarto inconciliabile (e per questo potenzialmente ricchissimo) tra le due Trilogie. Uscendo da entusiasmi e disillusioni, ci si limiterà qui ad osservarne uno, lampante, quasi paradigmatico, che ha concentrato su di sé l’attenzione di tutta la run: Darth Vader diventa in questo episodio il significante per ecellenza, inafferrabile, indefinibile, e per questo fulcro nodale della vicenda più che Kenobi stesso; Vader, l’abbiamo già detto altrove, è un personaggio composto, stratificato, assemblato e ogni sua apparizione ha sempre richiesto il frammento di maschera adatto e coerente col contesto evocato. Qui il tentativo, invece, è sincretico, quasi di impossibile e incontenibile totalità.

Riprendendo ancora una volta la sequenza del duello finale, nel momento in cui la voce di Hayden Christensen liberata da metà maschera si lascia sentire in trasparenza a quella di James Earl Jones, due figure si sovrappongono: l’Anakin dei Prequel col Vader Classico; e la sovrapposizione non arriva a coincidenza. Assistiamo a una frizione, a un disincastro: le battute auliche, quasi shakespeariane di Vader non appartengono alla voce e al corpo di Anakin; la frattura è incommensurabile, resta aperta, eppure per questo vivissima, risonante come un battimento tra due note vicine ma non identiche. Vader è la figura tecnicamente più sbagliata di Obi-Wan Kenobi eppure, forse proprio per questo, la più riuscita e la più meta-discorsiva dell’intero prodotto.

Resta da chiedersi se Obi-Wan Kenobi sia un esempio incoraggiante o meno della direzione che sta prendendo la produzione Star Wars su Disney+. I fan, abbiamo visto, sono divisi e anche un occhio esterno non può che constatare che limiti e potenzialità si susseguono repentinamente dimostrando un approccio quantomeno scostante. Certo è che avremo parecchio altro materiale a brevissimo per giudicare la strada segnata, ma la paura di un’occasione mancata resta, come resta l’attesa, quella sì sempre bellissima.
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