
Star Wars: The Bad Batch – Pro e contro della serie animata su Disney+
Dopo la settima e ultima stagione di The Clone Wars e le due stagioni di The Mandalorian, su Disney+ si è aperto una nuova finestra sulla Galassia di George Lucas con The Bad Batch, serie animata che parte dagli eventi di Episodio III per approfondire le avventure della squadra di cloni più borderline dell’esercito. In questa doppia recensione andiamo ad approfondire le potenzialità e le criticità di The Bad Batch, tra animazione all’avanguardia e scivoloni narrativi, per capire in che direzione va la serialità a marchio Star Wars.

The Bad Batch: la serie che credeva di essere un film
«Qualcuno fermi l’uomo col cappello», così esordiva un articolo di 16 settimane fa, quando su Disney+, approdò il primo episodio di The Bad Batch. Il pezzo di Nicolò Margani partiva dal presupposto che Filoni avesse ancora molto da dimostrare e che sebbene il suo lavoro su The Clone Wars fosse indiscutibilmente di livello, su The Mandalorian non si poteva dire altrettanto, almeno sulla seconda stagione. Conclusa la prima stagione di The Bad Batch, possiamo dire che non è il caso di mettere in discussione l’importanza e la bravura di Filoni, ma certamente gioverebbe all’intero canone se lavorasse con qualche supervisione in più. The Bad Batch non è The Clone Wars né si sforza minimamente di esserlo – a dispetto dell’ottima e ormai ben rodata animazione – è semmai un film parecchio lungo (e allungato) che spiega bene cosa accade alla Galassia lontana lontana appena dopo Episodio III (o dopo la stagione 7 di The Clone Wars). Sono spiegazioni che forse nessuno ha richiesto, ma che una volta avute non se ne può più fare a meno: come si riorganizza la Galassia con la nascita dell’Impero? Cosa succede ai cloni dopo l’Ordine 66? Cosa pensano i soldati della Repubblica della riorganizzazione politica? E sopratutto, i cloni pensano con il chip inibitore? Tutte queste domande trovano una risposta nell’arco dei 16 episodi proposti.

Ciò che funziona meglio in The Bad Batch è proprio la narrazione orizzontale, la descrizione di un universo che sta cambiando nel grande come nel piccolo. Il rovesciamento di un sistema che fa spazio al nuovo facendo però finta che niente stia cambiando o che se cambia è per il bene dei suoi cittadini. In questo senso una menzione speciale meritano gli episodi ambientati su Ryloth, da sempre meta immancabile di ogni serie animata di Filoni, nei quali si respira bene la tensione socio-politica tra chi governa e chi è governato. Altra menzione speciale va alla regia degli episodi 7, 8 e 9 nei quali “l’uomo col cappello” si mette letteralmente in gioco e sfodera le sue armi migliori (una regia western da urlo) e inaspettatamente anche un po’ thriller (alzi la mano chi ha avuto paura di Wrecker in episodio 7). Proprio negli episodi centrali emerge quello che probabilmente è il più grande pregio della serie e al tempo stesso il suo più grande limite: imitare bene, anche troppo, i film dimenticandosi di essere un prodotto seriale. Certo non si può fare a meno di storcere il naso di fronte agli evidenti – e si sperava ormai superati – errori di continuity che in questo caso lo stesso Filoni ha contribuito a creare già dal primo episodio ed è proprio per questo che speriamo che in futuro Filoni possa accettare un po’ di supervisione in più. Per il resto The Bad Batch è un lungo e almeno esteticamente ottimo prologo di qualcosa che si spera esploderà nella già annunciata stagione 2. Luca Carotenuto

Star Wars ha bisogno di tutto ciò?
16 episodi sono tanti, troppi, per come si sta evolvendo il modello seriale contemporaneo, soprattutto per piattaforme come Disney+ che necessitano dell’uscita settimanale per tenere alto un buzz discorsivo intorno ai propri prodotti che altrimenti si spegnerebbe in un soffio. E The Bad Batch è la prova più recente di questo limite: poco meno di quattro mesi per raccontare eventi di decisamente scarso interesse, puntando su una narrazione episodica monotona e ripetitiva a discapito di una fragile e flebile dimensione orizzontale. Dopo meno di metà stagione, questo prodotto di casa Star Wars, che si era aperto con un deflagrante primo episodio lungo, denso e carico di squisita azione, semplicemente annoia e aggiunge poco o niente al delicato e stratificato mosaico della Galassia creata da Lucas.

I protagonisti, presentati nell’ottima ultima stagione di The Clone Wars, vengono ridotti al minimo delle loro caratteristiche strumentali, basati unicamente sulle loro capacità differenti, appiattendone ogni caratterizzazione: ottimi personaggi come Crosshair vengono allontanati dal racconto sbilanciando l’equilibrio della narrazione corale e condannando all’oblio comprimari ininfluenti come Echo (un massacro, se si pensa alla caratterizzazione in The Clone Wars). Il tutto per far spazio a Omega, fastidiosamente al centro di ogni copione episodico, a ricalcare quelli che furono il primissimo Ezra di Rebels e l’allora poco promettente prima incarnazione di Ahsoka, entrambi prontamente fatti evolvere con eccellenti risultati, al contrario di questa clone mutata che sembra condannata ad un’eterna preadolescenza, ben lontana persino dall’adorabile infantilismo di Grogu.

Ma il fallimento di The Bad Batch, al netto dell’eccelsa animazione e di alcuni sprazzi di buona azione di marca Star Wars, è l’inconsistenza, nonostante gli sforzi e il setting, nel connettersi efficacemente all’immaginario del mondo di Lucas: alcuni sprazzi ci sono, ma decadono presto nel fan service per far spazio a verbosi e contraddittori intrighi politici, con l’unico scopo ancora una volta – come troppo spesso sta accadendo nei recenti prodotti Star Wars – di tentare di giustificare, in maniera maldestra, l’imperdonabile Episodio IX. Nicolò Villani
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[…] The Bad Batch […]
[…] A partire dalla scrittura scriteriata di Favreau, passando per le infelici scelte di cast, di costumistica, di fotografia perfino, The Book of Boba Fett conferma ciò che era chiaro anche in The Mandalorian, l’obiettivo è sfruttare il mondo Star Wars finché ce n’è, finché non si ribellano e smettono di guardare. Ma se The Mandalorian, pur non potendosi chiamare quality TV, è riuscita a creare un personaggio, un’attesa, una storia degna di essere seguita, a questo giro siamo invece di fronte a qualcosa di unico, un disastro su larga scala peggiore della già decadente The Bad Batch. […]
[…] Va detto, le aspettative erano alte: dopo l’insperato exploit di The Mandalorian e l’acclamata conclusione di The Clone Wars, la serie spin-off sul gruppo di outsider dell’esercito di cloni della Repubblica appariva come la ciliegina sulla torta di una rinascita della gestione Disney di Star Wars. E dopo il primo lungo episodio, un vero e proprio film animato che ha ridisegnato il contesto del post-Episodio III, The Bad Batch prometteva grandi emozioni, azione adrenalinica e personaggi profondi. Il risultato, invece, nelle successive 14 settimane, è stato un crescendo di tedio e situazioni ridondanti, con ruoli macchiettistici tutti persi nel far da babysitter a Omega, bambina-clone di cui proprio non si sentiva la necessità. L’insipienza del racconto si disperde nella mancanza di un focus chiaro: le trame politiche non incidono a sufficienza, le tensioni tra membri del gruppo – il personaggio più interessante, Crossfire, viene sacrificato come villain eternamente indeciso – diventano gare di sguardi mai davvero pericolose. In tutto, si registra il fatto che 16 episodi, oggi, per una miniserie (sperando non si replichi con una seconda stagione) sono decisamente troppi. Di Nicolò Villani. Qui potete leggere un articolo approfondito. […]