
Enola Holmes – Pro e contro di un esperimento Netflix
Ancora una volta, Netflix ha giocato bene le sue carte con Enola Holmes, la rivisitazione in chiave femminile (e femminista?) di un universo letterario e cinematografico amatissimo dal pubblico (dire “Holmes” è dire successo o, almeno, interesse), e affidando i ruoli principali ad attori già noti e affermati sulla piattaforma, come Millie Bobby Brown (Stranger Things), Henry Cavill (The Witcher), Sam Claflin (Peaky Blinders) e la straordinaria Helena Bonham Carter (The Crown). Non a caso, il film ha raggiunto la top ten a un giorno dall’uscita. Valutiamo, con due recensioni “opposte”, i pro e i contro di questo esperimento Netflix.

Pro – Il fascino semplice di Enola e del suo mondo
Certo, la pellicola non è un capolavoro – puntando presumibilmente su un pubblico vasto e poco esigente – eppure si fa apprezzare per alcune caratteristiche molto attraenti: mistero, azione, umorismo, sentimenti, politica e una buona dose di leggerezza danno vita a una trama molto semplice e lineare, adatta a tutte le età (ma rivolta soprattutto ai più giovani). In una coloratissima (ed edulcorata) atmosfera vittoriana, i personaggi di Arthur Conan Doyle vengono reinterpretati e affiancati ad una inedita protagonista, Enola, l’arguta sorellina di Sherlock ideata dalla scrittrice Nancy Springer. Nuovi orizzonti per l’universo-Holmes? Come il famoso detective, Enola sembra possedere grandi doti investigative, associate ad un’ottima padronanza delle arti marziali; tuttavia, il risultato non è una Sherlock in gonnella, ma un personaggio con una propria indipendenza mentale ed emotiva, che ha nell’Holmes originale una guida e un contraltare, non un modello da seguire pedissequamente.

Infatti, il prototipo di Enola Holmes non va ricercato nei romanzi di Doyle, ma in quelle opere letterarie e cinematografiche che hanno plasmato la figura dell’eroina ribelle alle convenzioni sociali, coraggiosa, piena di risorse e dalla moralità incrollabile; un personaggio apprezzabile, che tuttavia si allontana dall’immagine dell’investigatore tormentato, complesso e controverso cui ci ha abituati Sherlock, col rischio di rendere la nostra protagonista poco sfaccettata, al limite del banale. Non contribuisce il fatto che Enola si erga a modello di femminismo, adottando (ahimè!) uno schema hollywoodiano alla Wonder Woman ormai stantio e tedioso, spesso colpevole di ridurre le stesse istanze femministe a una macchietta, anzi che supportarle (ammesso che sia questa l’intenzione).

Nondimeno, il film risulta molto piacevole e divertente, a tratti coinvolgente. Benché la personalità della protagonista sia un po’ troppo prevedibile, sono proprio la sua vivacità e la sua intraprendenza a scandire il buon ritmo della narrazione, che avviene in prima persona: l’espediente del camera-look e il coinvolgimento del pubblico mettono in chiaro sin dai primi minuti che il punto di vista dominante sarà quello di Enola. E ciò non è irrilevante, se si analizza la raffigurazione degli altri personaggi: si direbbe che non siano essi stessi ad evolvere nel corso della vicenda, bensì la considerazione che Enola ha di loro, tant’è vero che alcuni rimarranno relegati, fino alla fine, ad una descrizione idealizzata o caricaturale. Irene La Rocca

Contro – Le forme snervanti dell’appropriazione indebita
Niente da dire, Enola Holmes è la prova che Netflix conosce il proprio pubblico e che sa quali e quante frecce possano essere scoccate dal proprio arco, ma quello che tende a mancare non è tanto il bersaglio, bensì il contesto in cui si trova a colpirlo. In un macchiettistico teatro di rivista – reso esplicito dai titoli di coda – vediamo Henry Cavill indossare i panni di Sherlock Holmes con la stessa convinzione (e la stessa ristrettezza) di come farebbe in una recita scolastica, accompagnato da altri ottimi interpreti semplicemente fuori luogo, nel senso più radicale di quest’espressione.

Perché se fiumi di inchiostro critico si sono spesi nel criticare i due Sherlock Holmes di Guy Ritchie per la mancanza di quegli elementi fondamentali che caratterizzano l’immaginario del detective di Baker Street, in questo ennesimo prodotto a marchio “Holmes” si è raggiunto l’apice del possibile: ogni singola caratteristica “canonica” che circonda Sherlock viene qui irrimediabilmente tradita, dalla sua presunta mancanza di amici – e il dottor Watson? – fino alla forma fisica del fratello Mycroft, che non è certamente mai stato così magro.

La verità è che l’adattamento letterario – il quale probabilmente sarebbe rimasto chiuso nella sua nicchia di mercato poco “esperta” di Holmes per ragioni anagrafiche – era troppo perfetto per lasciarselo scappare e, come una buona recita, aveva in sé il giusto numero di ruoli per spendere i propri attori in una logica reticolare di connessione di contenuti. Ma il richiamo a Sherlock, altro titolo di punta della distribuzione Netflix internazionale, diventa un’arma a doppio taglio: lì l’immaginario è più che rispettato, inoltre due elementi fondamentali di questo film (la sorella perduta e un gruppo di attiviste femministe) erano già stati raccontati, inseriti e contestualizzati nel macro-immaginario holmesiano riscritto da Moffat e Gatiss.

Netflix avrà pur beneficiato di risonanza social e di rinnovo di contratti grazie a Enola Holmes, ma non deve perdere di vista il necessario rispetto per i contenuti che propone ai propri sottoscrittori, molto spesso esigenti e quasi sempre competenti. Anche se avviene al proprio interno, un’appropriazione simile resta comunque indebita. Nicolò Villani
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[…] si tratta di rivisitazioni poco fedeli, e già nella recensione del primo film osservavamo che, nonostante le precedenti ed estremamente eterogenee versioni del personaggio, con […]