
Sex Education 3 – Com’è bello far l’amore
| Per chi dovesse ancora vedere Sex Education 3, questa recensione è senza spoiler!
I don’t know if any of us understand much about love, I just know we feel it when we feel it.
Jean Milburn
La nostra ora preferita di educazione sessuale è tornata. Il 17 settembre, Netflix ha rilasciato la terza stagione di Sex Education: otto episodi densi, ricchissimi e colorati, che portano a maturazione i frutti di tutte le trame lasciate in sospeso e alzano ancora di più la posta in gioco.
La seconda stagione si era chiusa con un cliffhanger straziante e questi nuovi episodi ripartono proprio da lì, introducendo con discrezione alcuni nuovi personaggi. Il gruppo degli sceneggiatori, guidato dalla creatrice Laurie Nunn, dimostra grande abilità, riuscendo a coniugare l’amore sincero per i propri personaggi e una cura stupefacente nel delinearli. Ognuno di loro, anche chi è apparentemente più repellente, ha una dignità e dà allo spettatore almeno un motivo per essere amato o quantomeno compreso, come nel caso della nuova preside Hope (Jemima Kirke), villain enigmatica e fragile. Nell’arco di questi nuovi episodi vengono tessuti rapporti inediti fra personaggi che sembrava impossibile potessero legare, eppure non si avverte mai un senso di forzatura e le interpretazioni dei giovani attori sono se possibile ancora più centrate rispetto alle stagioni precedenti. Tanya Reynolds, Aimee Lou Wood ed Emma Mackey in particolare donano a Lily, Aimee e Maeve una ricchissima gamma di sfumature, lavorando con finezza e precisione sui gesti, sulla mimica facciale, sui minimi dettagli.

L’alta qualità della scrittura si rivela anche in un altro aspetto: nonostante il titolo, Sex Education non è mai esplicitamente didascalica. Il suo obiettivo non è insegnare, bensì mostrare, proponendo un’esperienza che sia quanto più possibile ancorata alla realtà: i temi centrali emergono dalle vicende raccontate in modo spontaneo, mai artificioso o gratuito ma sempre radicato nei personaggi e motivato da un genuino interesse per questioni attuali legate all’identità di genere e al modo di vivere la sessualità. Uno dei principali nuclei di riflessione della stagione sono i pericoli derivanti dalla censura, dalla negazione degli impulsi e dalla soppressione di tutto ciò che dovrebbe essere considerato naturale: la dittatura di Hope, le sue misure estreme per rimuovere il sesso dalla scuola e soprattutto le loro conseguenze dannose sugli studenti vengono trattate con delicatezza e decisione.

Forse, il più grande merito della terza stagione di Sex Education è di essere riuscita a creare e consolidare uno sguardo coerente con cui raccontare le (dis)avventure dei suoi protagonisti. Uno sguardo basato sull’empatia, che agisce sia in sede di scrittura, valorizzando l’importanza della comunicazione e dell’ascolto reciproco, sia nella messa in scena. Anche nelle sequenze più calde, la macchina da presa esplora l’intimità dei ragazzi con rispetto e leggerezza, con uno sguardo che non è mai voyeuristico o pornografico, ma sempre aperto e comprensivo.

Un ulteriore miglioramento rispetto alle scorse stagioni si nota anche nel montaggio: il ritmo degli episodi è decisamente frizzante, senza momenti vuoti. La scelta (che ormai è quasi un marchio di fabbrica) di segmentare le varie trame in micro-frammenti narrativi che scorrono paralleli, si intrecciano e si separano funziona a meraviglia, soprattutto per uno spettatore che desideri fruire la serie in binge-watching, tutta in un colpo. Da questo punto di vista, la seconda metà della stagione è perfetta: la regia sa trovare sempre il momento più giusto in cui staccare, costruendo un equilibrio magistrale fra commedia e dramma non solo tra una scena e l’altra, ma anche all’interno delle singole sequenze. Questo, di conseguenza, favorisce il coinvolgimento dello spettatore e il senso di immedesimazione diventa fortissimo: non è un’esagerazione dire che tutti i fili narrativi sono interessanti in ugual misura, anche quelli che ruotano attorno a personaggi secondari.

Questo terzo blocco di Sex Education conferma quindi tutti i pregi della serie e rilancia ancora una volta la scommessa, eguagliando e superando il livello già alto delle stagioni precedenti. È un prodotto profondamente pop, immediatamente comprensibile e fruibile da un pubblico vastissimo, e nonostante questo non scende a compromessi, non semplifica lo sviluppo dei suoi personaggi e non rinuncia a rappresentarli nello spettro vastissimo e complesso della loro sessualità e delle loro emozioni. Sex Education nel corso degli anni sta costruendo un percorso di grande coerenza sia visiva che tematica: si potrebbe quasi dire che stia diventando un manifesto, un inno scanzonato ma consapevole alla libertà di amare e al diritto di scoprire, finalmente senza censure né tabù, com’è bello far l’amore.

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[…] Giunta alla sua terza stagione, Sex Education rimane una serie di grande successo, un teen drama profondamente pop, capace di catturare l’attenzione di un pubblico vasto anche dal punto di vista generazionale. Mai didascalica, “l’educazione” di cui parla la serie non è solo sessuale ma anche emotiva, un percorso scevro da pregiudizi e tabù per conoscere e comprendere meglio sé stessi e gli altri. Il cuore della serie risiede proprio nella scrittura dei personaggi, di cui vengono esplorati in profondità i sentimenti e la crescita, sia individuale che relazionale. La terza stagione di Sex Education riesce a trovare un buon equilibrio tra le componenti emotive e sessuali delle relazioni interpersonali, riuscendo a dar voce alle esperienze complesse e sfaccettate tanto degli adolescenti quanto degli adulti, che si trovano anche loro a fare i conti con le proprie fragilità. Al centro della narrazione della terza stagione c’è soprattutto una guerra ideologica, sancita dall’arrivo della preside Hope Haddon che, nel tentativo di riabilitare il Liceo Moordale dalla nomea di “scuola del sesso”, con le sue politiche repressive e bigotte diventa un ostacolo a una corretta educazione sessuale e alla libertà di esprimere la propria identità. Con il personaggio di Cal (Dua Saleh), una persona non binaria, Sex Education introduce la questione dell’identità di genere, che sicuramente avrà modo di essere maggiormente esplorata nella stagione successiva. Maria Francesca Mortati. Leggi la nostra recensione qui. […]
[…] nella stagione conclusiva richiede un certo coraggio, eppure tutto funziona molto bene. Se nella terza stagione, con l’arrivo della nuova tirannica preside, eravamo dalle parti della distopia, ora i toni sono […]