
Enola Holmes 2 – Sguardi alternativi sul Canone holmesiano
Basterebbe leggere uno qualsiasi dei gialli scritti da Arthur Conan Doyle per rendersi subito conto che «il Canone holmesiano» non tratta certo di ragazzine ribelli, di amori adolescenziali, di emancipazione femminile o di un Moriarty donna, tanto per cominciare. È più che lecito dunque, guardando la nuova incarnazione di Sherlock Holmes proposta da Netflix avere il suo bel daffare con tutti questi elementi nella saga di Enola Holmes, chiedersi se il regista Harry Bradbeer del Canone Holmesiano di Doyle non c’abbia poi capito granché.
Certamente si tratta di rivisitazioni poco fedeli, e già nella recensione del primo film osservavamo che, nonostante le precedenti ed estremamente eterogenee versioni del personaggio, con Enola raggiungiamo per la prima volta «l’apice del possibile» perché ogni caratteristica canonica che circonda Sherlock viene tradita. Ma a parlare di infedeltà, comunque, siamo ancora fermi «ad una chiara visione dell’ovvio»: senz’altro più proficuo si rivela passare al setaccio l’opera di Bradbeer per capire in che misura e per quali fini il regista tenti così audacemente di allargare l’universo discorsivo di un personaggio su cui, con decine di film e produzioni televisive alle spalle, sembra oggi impossibile dire qualcosa di nuovo.

Il Watson che non c’è
Un’interessante chiave di lettura dei due Enola Holmes la si ottiene iniziando a riflettere sull’assenza tutt’altro che accidentale del Dr. John Watson, la spalla fidata di Sherlock Holmes. Al tempo delle vicende raccontate nei film il Dottore e l’Investigatore non si sono ancora conosciuti: i film sono ambientati prima delle avventure che compongono il Canone e dunque prima del loro incontro avvenuto nel romanzo Uno studio in Rosso del 1887 e ambientato nel 1881.
La questione non è senza rilevanza se si considera che Watson, unico ‘Io narrante’ dei testi originali, costituisce pressoché il solo punto di vista attraverso cui vengono filtrate le storiche avventure del duo. I film di Bradbeer, che precedono l’entrata in scena del Dottore, fanno invece occupare la posizione di Narratore Interno ad Enola, la sorella adolescente di Holmes nata nei romanzi apocrifi di Nancy Springer ma mai nominata da Doyle. Parliamo di Narratore Interno non a caso: non solo seguiamo le personali vicissitudini di questo nuovo personaggio, ma è la stessa Enola che, proprio come in un racconto letterario, buca di frequente la quarta parete per interpellare lo spettatore e commentare gli eventi.

Se gli occhi con cui accediamo all’universo narrativo creato da Doyle smettono d’essere quelli di un ex ufficiale medico dell’Esercito britannico per diventare quelli di una vivace adolescente, lo stravolgimento che ne consegue è facilmente prevedibile. Molti tratti costanti di ogni racconto su Holmes si perdono inevitabilmente, come quei classici siparietti al 221B di Baker Street preliminari ad ogni indagine che il lettore conosce bene; accade infatti che Enola alloggi in tutt’altra zona di Londra e finisca a casa del fratello pochissime volte. Siamo costretti anche a fare a meno delle trame insolite e degli enigmi inconsueti che Doyle apprezzava, e questo perché la ragazza, aspirante investigatrice, non può che assumersi casi decisamente più modesti.
Ma bisogna anche riflettere su cos’è che un simile mutamento di prospettiva permette di guadagnare. È infatti solo attraverso l’adozione di uno sguardo laterale radicalmente diverso da quello solito che i film di Bradbeer diventano in grado di affrontare situazioni e tematiche che Watson nei suoi scritti non inseriva, e ciò li porta a darsi come delle eccitanti e realizzabili proposte per esplorare pieghe nascoste del Canone e metterne al contempo in risalto alcuni aspetti problematici.

Le strade di Londra
Forse il merito principale che possiamo attribuire ad Enola Holmes 2 è proprio quello di esplicitare numerosi aspetti della Londra vittoriana in cui Sherlock Holmes viveva e operava ma che sono sempre rimasti taciuti nei suoi racconti. In parte ci riferiamo a quelle situazioni ‘tipicamente femminili’ che solo ad una ragazza dell’epoca potevano capitare, come le costrittive regole del galateo a cui bisognava star dietro frequentando l’alta società o i momenti in cui tutti i clienti dell’agenzia investigativa, vivendo in una città in cui i ruoli gestionali sono al di fuori della portata delle donne, scambiano Enola per la segretaria di un ‘vero’ investigatore uomo.
Senza dubbio più interessanti sono però le scene in cui il punto di vista di Enola si intreccia con quello di altre donne del suo tempo. Accettando il caso che le propone Bessie, una giovane fiammiferaia, la storia di Enola si lega a quella delle proletarie impiegate in fabbrica per miseri salari e in ambienti di lavoro poco salubri. Nel corso delle sue indagini Enola entra così in contatto con la Storia, e dunque con l’oppressività del sistema capitalista della Londra industriale del XIX secolo, con la produzione di massa e lo sfruttamento della forza lavoro, con gli invivibili agglomerati urbani e con il conseguente insorgere dei primi movimenti operai organizzati.

Enola Holmes 2 mette chiaramente in scena la Londra della prima ondata femminista e cerca a modo suo di dare un’idea della pluralità di battaglie che portavano avanti donne di diversa estrazione sociale. Se con i personaggi di Bessie (Serrana Su-Ling Bliss) e Cicely (Hannah Dodd) ci appassioniamo alle battaglie della classe lavoratrice, possiamo invece eleggere a rappresentante delle femministe della classe media il personaggio di Eudoria Holmes (interpretato da Helena Bonham Carter), la madre di Enola, che a più riprese sottolinea la necessità di ribellarsi alle convenzioni sociali che costringerebbero le donne ad una vita oziosa, relegate nella sfera domestica della casa e della famiglia.
Tuttavia siamo costretti a prendere atto di come questi temi molto delicati vengano spesso fortemente semplificati, al limite da raggiungere la banalizzazione e il luogo comune. Parliamo di un’attenuazione dei contenuti in cui non si può che leggere il tentativo di voler far affermare il film presso un pubblico più generalista possibile, da non inquietare più del dovuto con messaggi espliciti e diretti o con riferimenti storici precisi. Ed è così ad esempio che gli insegnamenti di Eudoria diventano delle frasi fatte dotate di falsa universalità, buone per tutte le occasioni e per nessuna.

Lo Sherlock Holmes dei nostri tempi
Enola ci presenta sotto una luce diversa non solo la Londra di fine ‘800 ma anche suo fratello Sherlock Holmes, offrendocene un ritratto molto lontano dalla versione superomistica che noi tutti conosciamo. Uno Sherlock Holmes ridimensionato se non addirittura ridicolo è quello che ad esempio troviamo ubriaco e rissoso fuori ad un pub, così barcollante da non riuscire a reggersi in piedi e da richiedere l’aiuto della sorella per poter tornare a casa. Detta in altri termini, Enola ci porta a mettere in dubbio la parola di Watson – che ci descriveva Sherlock come «il migliore e il più retto degli uomini» – e a chiederci se il Dottore non fosse accecato dalla troppa stima che nutriva nei confronti dell’amico per non accorgersi di questi suoi momenti più indecorosi.
I film di Bradbeer non sono i primi a sollevare simili dubbi: muovendoci in lungo e in largo tra vari apocrifi osserviamo come già il racconto Il secondo Malloppo di Robert Barr o la commedia Senza Indizio di Thom Eberhardt abbiano sviluppato in chiave comica l’ipotesi secondo cui Watson faccia ampio uso di artifici letterari e quel che succede a Baker Street sia diverso da quello che poi effettivamente racconta al pubblico. L’eccesso di stima che porta il Dottore ad avere una visione distorta della realtà è invece oggetto di parodia del racconto Il portasigari scomparso di Bret Harte e del film Holmes & Watson – 2 (de)menti al servizio della Regina di EtanCohen.

Ma con Enola siamo al di là della parodia e Sherlock ci viene mostrato sotto un’altra luce anche in contesti meno ironici. Si consideri come quel suo acuto spirito d’osservazione che costituisce da sempre il suo cavallo di battaglia ora si trasformi in un limite evidente: poiché lo vediamo o chiuso nel suo studio a decifrare messaggi in codice o a portare avanti la sua «strana ossessione per le impronte e la polvere di carbone», pare non accorgersi mai che appena fuori dal suo appartamento accadano importanti rivoluzioni sociali e si combatta per quel che conta davvero. La femminista militante Edith (Susie Wokoma) aveva d’altronde già messo polemicamente in luce il carattere apolitico dell’investigatore nel corso del primo film, quando gli rimproverò di non sapere cosa significhi non avere potere: «la politica non v’interessa perché non avete interesse a cambiare un mondo che vi calza così a pennello».
E così viene a cadere l’immagine mitica di Sherlock Holmes: non più eroe ma anzi parte del problema (almeno per chi porta avanti battaglie sociali che tentano di sovvertire lo status quo), per una volta possiamo osservarlo in tutta la sua mediocrità e fallibilità, proprio come un essere umano qualsiasi. E non si può fare a meno di osservare come questo nuovo Sherlock Holmes si aggiunga alla lista di quei nuovi eroi inetti e inadeguati di cui avevamo già parlato in uno scorso articolo, quando denunciavamo una tendenza di film e serie tv a mettere in scena le insormontabili difficoltà dei ‘vecchi eroi’ quando catapultati in un mondo più adulto e maturo di quello in cui sono stati originariamente pensati. Che sia diventato il destino paradossale dei superuomini doversi mostrare mediocri e fallibili per poter continuare a funzionare al giorno d’oggi?

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