
All’origine della trasposizione: il caso Bresson – Piccolo Schermo Gigantesco | SpinOff
«piccolo schermo gigantesco» (Ottieri) è una rassegna di interviste, pubblicata su «Birdmen Magazine», a scrittori italiani contemporanei, a proposito della “mescolanza” di media, dell’influenza delle arti cinematografiche sulla narrativa, sulla poesia e sull’immaginario, della corrispondenza biunivoca dei mezzi. L’obiettivo è critico. Perciò, a ciclo concluso, verrà elaborato uno scritto saggistico. Nella sezione “SpinOff” si raccoglieranno interventi critici sul rapporto tra arti cinematografiche e letteratura.
Bela Balázs nel suo Arte: Materia e Forma si sofferma sul rapporto tra la realtà viva e fenomenica e il suo farsi in forma d’arte. La realtà viva – o grezza – viene osservata da diversi punti di vista a seconda dell’artista e al suo mezzo di espressione. Quindi un drammaturgo, uno scultore e un romanziere assorbono uno spicchio di realtà in funzione dell’arte che professano e lo stesso vale per il regista. La formula di Balázs per cui la realtà grezza, una volta filtrata dall’occhio dell’artista, si trasforma in tema, il quale essendo di per sé contenuto determina una specifica forma d’arte, si è sedimentata relativamente tardi nella dimensione cinematografica e uno dei film che ha aiutato la sedimentazione fu sicuramente Journal d’un curé de campagne di Robert Bresson.
Journal d’un curé de campagne, presentato alla 12° Mostra d’arte cinematografica di Venezia, è tratto dall’omonimo romanzo di Georges Bernanos. Proprio la questione dell’adattamento è rilevante nel comprendere la capacità di permeabilità, e insieme di rottura, del cinema nei confronti della letteratura.
Sempre Balázs, poche pagine avanti, prosegue con un esempio che vede come protagonista Johann Wolfgang von Goethe e la sua volontà di voler adattare per il teatro la sua novella Der Mann von fünfzig Jahren. Fra le sue carte è rimasto il progetto già suddiviso in atti e in scene, in cui si può scorgere l’intento di «portare alla superficie una sezione diversa di realtà vivente» attraverso l’eliminazione o l’aggiunta di alcune parti del testo. Un caso simile riguarda, per l’appunto, il lavoro di adattamento di Bresson sul romanzo di Bernanos.
Bresson difatti prende, taglia e incolla parole e frasi del romanzo rimanendo fedele al loro senso originario e costruisce il film tramite il continuo susseguirsi alternato tra immagini visive e «iniezioni di elementi scritturali» (Gilles Deleuze) rappresentate dalle pagine del diario del prete. Tuttavia il regista francese spoglia il testo di Bernanos delle ridondanti descrizioni della campagna francese, condensa più capitoli in una o due scene, evoca i protagonisti del racconto ma li sottrae allo sguardo dello spettatore e ridimensiona l’importanza di alcuni personaggi fondamentali nel romanzo. Per questo motivo André Bazin parla di «un nuovo essere estetico che è come il romanzo moltiplicato dal cinema».
Questa moltiplicazione determina il ribaltamento estetico perché il film diventa letterario mentre il romanzo pullula di immagini. «Si tratta di costruire sul romanzo, attraverso il cinema, un’opera di secondo grado» , scrive André Bazin, cioè di riscrivere il testo e di conseguenza passare da un medium espressivo all’altro, dalla parola all’immagine. La letterarietà del film non risiede tanto nell’escamotage narrativo di impianto diaristico, quanto nell’assidua ripresa del quaderno, della scrittura e del calamaio.
D’altronde, pochi anni prima, Alexandre Astruc nel suo Naissance d’une nouvelle avant-garde: la caméra stylo preannunciava le potenzialità espressive del cinema, dove «un artista può esprimere i suoi pensieri, […] o tradurre le sue ossessioni». Quest’atto di traduzione, dal pensiero all’immagine, coincide con l’equivalenza tra regista e scrittore, tra macchina da presa e penna (stylo) e allo stesso tempo con la cesura tra i due linguaggi. Così il gesto di benedizione del prete alla contessa acquista una nuova dimensione, tutta cinematografica, perché la mano che la compie, dal punto di vista percettivo, non corrisponde più alla mano immaginata dal lettore nel libro, ma ad un nuovo oggetto visivo capace di costruire «uno spazio adeguato alle decisioni dello spirito» (Gilles Deleuze). Ormai non si tratta di adattamento fedele ed estetico, bensì di creazione ex novo partendo da un materiale originario comune.
La costituzione del nuovo oggetto estetico avviene mediante un passaggio dinamico -e non statico- delle due sfere del significato e del significante del primo testo verso la sua trasposizione cinematografica, o, per dirla con il termine adottato da Roman Jakobson (1963), verso la sua «trasmutazione», semiotica e storico-culturale. Il segno linguistico d’origine, mediato da Bresson, è stato sottoposto ad un processo di spoliazione tale da sottrarre l’immagine allo spettatore («l’immagine non si sviluppa», dirà André Bazin), togliere l’inchiostro alla penna di Bernanos, infine trasfigurare il contenuto spirituale dell’opera in un nuovo atto comunicativo. Allora, tornando a Balázs, si presentano nel film un nuovo tema, un nuovo contenuto e di conseguenza una nuova forma d’arte in seguito a una diversa osservazione della realtà.
In conclusione appare chiara l’insufficienza del termine adattamento davanti ad un simile processo creativo; al contrario risalta, in Bresson, l’atto di libera traduzione, la «grazia» della trasposizione.
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[…] d’Ambricourt di Georges Bernanos (sulla questione dell’adattamento ero già intervenuto qui). Non a caso André Bazin parlò di un «effetto paradossale» nelle modalità di trasposizione […]