
Intervista a Tommaso Matano – Piccolo Schermo Gigantesco
Illustrazione di Valentina Marcuzzo
«piccolo schermo gigantesco» (Ottieri) è una rassegna di interviste, pubblicata su «Birdmen Magazine», a scrittori italiani contemporanei, a proposito della “mescolanza” di media, dell’influenza delle arti cinematografiche sulla narrativa, sulla poesia e sull’immaginario, della corrispondenza biunivoca dei mezzi. L’obiettivo è critico. Perciò, a ciclo concluso, verrà elaborato uno scritto saggistico.
Tommaso Matano nasce a Roma nel 1990. Ha co-creato la serie Netflix Curon (in uscita nel 2020) e la serie Sopravvissuti, una coproduzione internazionale Rai-France Television-Zdf (in produzione nel 2020). È tra gli autori del film tv Liberi di scegliere (2019) e della serie Rai Non mi lasciare (2020). Laureato in Filosofia, dirige per Edizioni Estemporanee “Repetita”, una collana di saggi sulle serie tv.
Birdmen si occupa di Cinema, Serie e Teatro. Quali sono i suoi rapporti con queste tre arti? Quali delle tre “frequenta” maggiormente? In che device guarda il cinema e le serie? Va a Teatro e al Cinema? È interessato alla realtà testuale delle tre arti?
Sono uno sceneggiatore che lavora principalmente nel settore della serialità televisiva. Ho sempre amato il cinema e negli ultimi anni ho iniziato, prima da spettatore e poi da autore, a frequentare il mondo delle serie. Rimango un appassionato della sala cinematografica, nonostante nella mia città, Roma, (purtroppo) negli ultimi tempi abbiano chiuso moltissimi cinema. Inizialmente guardavo le serie tv su dispositivi portatili come il computer, in situazioni anche piuttosto scomode. Adesso invece dedico alla fruizione casalinga un po’ di cerimoniosità, utilizzando un piccolo proiettore domestico. Ne vale la pena perché il livello fotografico e più in generale tecnico delle serie odierne merita di essere apprezzato su uno schermo grande.
Su quali serie ha lavorato? Su che serie sta lavorando?
Ho scritto per la televisione il film Liberi di Scegliere (2019), per RAI UNO, basato sulla vera storia del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, che ha messo in atto un protocollo per tutelare i minori delle famiglie di ‘ndrangheta. Sto lavorando alla serie Netflix Curon, che uscirà nel 2020, di genere supernatural drama e alla serie mistery Sopravvissuti, che è una coproduzione RAI-FRANCE TELEVISION e ZDF. Entrambe queste serie sono basate su idee originali, il che è una relativa novità per il mercato audiovisivo italiano, che fino a poco tempo fa tendeva a sviluppare quasi esclusivamente storie basate su fatti di cronaca o libri.
Attendiamo con molta curiosità. Vorrei chiederle: quali sono i suoi gusti cinematografici? Quali le sue serie preferite?
I miei gusti in ambito cinematografico spaziano molto, non saprei indicare un genere o una “scuola” favorita. In generale posso dire che mi piacciono i film che riescono a lavorare in modo peculiare col linguaggio cinematografico, a spostare le possibilità del medium un po’ più in là. Per fare un esempio in questo senso, uno dei film usciti negli ultimi anni che preferisco è Holy Motors di Leos Carax. Di contro, sul fronte delle serie sono un appassionato del genere mistery, mi piacciono i dispositivi narrativi fondati su domande scompaginanti, come Les Revenantes di Fabrice Gobert o Lost di J.J. Abrams e D. Lindelof.
Di più recenti, invece?
Ultimamente ho molto apprezzato la serie Succession di Jesse Armstrong, soprattutto per la scrittura dei personaggi. Stilisticamente mi hanno colpito sia Euphoria di Sam Levinson, sia Watchmen di D. Lindelof.
Crede che la serialità abbia una relazione particolare con la narrazione scritta? Spesso le serie sono considerate come il nuovo “romanzo d’appendice”. Si trova d’accordo?
Ritengo che l’ipotesi che la serialità si collochi più dalle parti del romanzo che da quelle del cinema sia molto suggestiva e anche piuttosto fondata. In effetti, le serie, soprattutto se viste in modo non lineare (col bingewatching ad esempio) si prestano ad essere fruite dallo spettatore secondo i suoi tempi e modi, proprio avviene con i romanzi. Inoltre, mentre i lungometraggi riposano su una struttura autoconclusiva, le serie ci mostrano la parte “emersa” di un mondo narrativo che potenzialmente si estende al di là di quello che guardiamo. Questa capacità di “istituire mondi” piuttosto che “raccontare storie”, che mi sembra la peculiarità del formato seriale, ricorda un po’ il dispiegamento di forze cosmologiche dei romanzi. In tale prospettiva credo che le serie gioveranno ai romanzi e viceversa, i romanzi continueranno a giovare alle serie – anche perché continuamente se ne traggono adattamenti.
Una domanda sulla scrittura che ritrae le immagini: è possibile, secondo lei, un approccio descrittivo in senso “creativo” all’immagine in movimento, come accade con oggetto l’arte figurativa, scultorea, eccetera? Se sì, ha esempi?
Credo che sia possibile un approccio descrittivo “creativo” all’opera audiovisiva, di cui forse si può avere qualche evidenza in opere di arte contemporanea che insistono proprio sul rapporto tra i formati mediali (ma sulle quali mi dichiaro ampiamente ignorante). Ah ecco, un esempio potrebbero essere i “titoli” di Blob, che commentano le immagini montate sotto? Probabilmente anche l’intermedialità e l’ipertestualità nelle pratiche interattive dei nuovi media potrebbero offrire spunti interessanti in tal senso.
Io mi chiedevo, principalmente, se questa intermedialità (romanzo-serie) possa cambiare le regole del gioco, di uno o dell’altro. Penso alla forma del romanzo a puntate, quasi del tutto morto, ma che potrebbe essere rilanciato sulla base della nuova serializzazione dei prodotti. Per l’ultima domanda, mi chiedevo più sullo possibilità, come dei quadri e dei film, da parte delle serie di diventare oggetto d’arte, cioè contenuto di un’altra opera d’arte.
Al momento c’è un proliferare delle saghe di romanzi (penso ai gialli italiani), ma non escluderei che anche i racconti a puntate possano tornare in voga. In effetti, oltre a seguire il trend delle serie tv, asseconderebbero la crescente difficoltà a concentrarsi su testi troppo lunghi e la tendenza a letture brevi e compulsive tipiche di quando leggiamo sugli schermi. Per quel che concerne la possibilità che le serie diventino oggetto d’arte credo che sia un destino inevitabile: hanno solo bisogno del tempo necessario a guadagnare sufficiente legittimità culturale. Anche il cinema ha vissuto un percorso simile.
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Interviste agli scrittori:
- Intervista a Filippo Tuena
- Intervista a Valerio Magrelli
- Intervista a Fabrizio Ottaviani
- Intervista a Tommaso Matano
- Intervista a Flavio Santi
- Intervista a Gilda Policastro
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