
I 10 migliori cortometraggi | Guarimba Film Festival 2020
La Guarimba Film Festival opera sul territorio di Amantea, in Calabria, da diversi anni. Ogni anno valuta migliaia di cortometraggi (quest’anno 1160, di cui 165 corti sono stati ammessi) provenienti da ogni continente e da ogni genere cinematografico. Il festival è diviso nelle categorie di fiction, documentario, videoclip musicale, animazione, film sperimentali (Insonnia) e La Grotta dei Piccoli, quest’ultima realizzata in collaborazione con UNICEF Italia. Birdmen Magazine, che ne è partner ufficiale, ha deciso di stilare, limitatamente alle categorie di fiction, documentario, animazione, videoclip musicali e film sperimentali, una lista dei dieci migliori cortometraggi, brevemente commentati dalla redazione.
Birdmen Magazine il 7 agosto sarà ad Amantea «riportando il cinema alla gente e la gente al cinema», come recita il motto dell’evento; nell’attesa, buona lettura!
di Federica Defendenti, Luca Mannella e Valerio Picca
Sticker, Georgi M. Unkovski – Fiction
In una cittadina dell’est Europa, Dejan non riesce a rinnovare l’immatricolazione della sua auto ma deve raggiungere in fretta lo spettacolo della figlia. Incappa così in una serie di disavventure con la polizia che non lo fermeranno però dall’essere presente allo spettacolo a tutti i costi. Inno alla determinazione anche nelle condizioni più avverse, Sticker è un cortometraggio capace di parlare di abusi di potere, di responsabilità genitoriale e di difficoltà della working class, il tutto carico di un’ironia amara.
Maradona’s legs, Firas Khoury – Fiction
I mondiali di Italia ‘90 incollano ogni nazione alla TV. Due giovanissimi tifosi cercano di completare il loro album di figurine, mentre giorno dopo giorno le partite si susseguono. Il regista Firas Khoury ripercorre con leggerezza un ricordo della sua infanzia, quando con il fratello inseguì le “gambe di Maradona” in tutti i paesi vicini. Di tutte le bandiere che sventolano in questa storia simile a tante, una soltanto non può essere mostrata, quella del luogo in cui si svolge la vicenda. La questione palestinese è tutta in filigrana, scevra di accenti politici ma pulsante nell’esigere il riconoscimento della propria storia. Anche di quelle più piccole e semplici.
I’ll end up in jail (Je finirai en prison), Alexandre Dostie – Fiction
Alexandre Dostie ha un background culturale decisamente variegato: poeta, cantante punk e filmmaker. L’eclettismo del giovane regista canadese si esprime, nel caso di Je finirai en prison, nei salti da un genere all’altro, dal dramma familiare al thriller, o nella variazioni del registro psicologico che sconfina dal comico al grottesco sanguinolento. Madre e moglie alla ricerca di libertà, Maureen si descrive nel ritornello «Day by day, in every way, I’m getting better and better», metafora acustica della volontà di fuga spericolata della protagonista dal nucleo familiare.
On est pas prés d’être des super heroes (And yet we’re not superheroes), Lia Bertels – Animazione
I «lidi» verso cui sfreccia questa Cadillac spaziale pilotata da un giovanissimo supereroe (o non-supereroe) sono battuti da onde del mare parlanti, dai sogni e dalle riflessioni immaginose sul passaggio dall’età infantile all’età adulta di alcuni bambini intervistati in sottofondo dalla stessa regista. Le loro voci si trasfigurano simultaneamente in animazione, in un viaggio “antiariostesco” – e ricerca – on the road nello spazio. Crescere significa sapersi collocare, per questo alla domanda «You’d like to get out of the movie?» si risponde fermamente di sì.
Suc de síndria (Watermelon juice), Irene Moray – Fiction
Dopo più di un anno di successi e riconoscimenti, il corto sbarca a Guarimba. Scritto e diretto dalla giovane Irene Moray, il film è un perfetto sodalizio fra una scrittura acuta e notevoli prove attoriali. Nonostante la ferita di un’offesa capitale, una ragazza può ancora amare intimamente e incrinare i tabù intorno alla sua tragedia. Una storia di riaffermazione femminile e un inno ad un romanticismo totalizzante che è, senza troppa retorica, un nuovo modello universale.
L’année du robot (Year of the robot), Yves Gellie – Documentario
Un documentario affascinante sull’uso della tecnologia nella cura degli anziani: Year of the robot, primo lavoro del francese Yves Gellie, ritrae le giornate degli anziani in clinica insieme a un robot dotato di intelligenza artificiale. Tra i pazienti che non ne tollerano la presenza e quelli incuriositi, tutti quanti iniziano a creare un legame con il robot attraverso giochi, sport, danza e musica o lunghe chiacchierate in cui però non sempre ci si capisce.
Notre territoire (Our territory), Mathieu Volpe – Documentario
A voler trovare il genere (o i generi) per definire questo documentario sulle condizioni di vita e, soprattutto, di lavoro, di un gruppo di migranti residenti in un complesso di abitazioni rudimentali, poco al di fuori di Rignano, si oscilla tra due ipotesi: vuol essere un reportage, un foto-documentario sulla scorta del foto-romanzo di Chris Marker, oppure un intimo diario visivo? Ovviamente entrambe le ipotesi potrebbero essere corrette e confluire l’una nell’altra così come accade, molto probabilmente, nell’opera di Mathieu Volpe. Il punto di raccordo però c’è, ed è l’idea di un cinema come strumento di conoscenza, in cui l’invisibile e gli invisibili diventano visibili e fotografabili, testimoniabili; illustratore di due dimensioni sociali e di vita ingiustamente opposte, che, attraverso l’esperienza cinematografica, diventano compatibili.
Why slugs have no legs, Aline Höchli – Animazione
In un mondo abbozzato ad acquarelli tutti gli insetti svolgono una vita che ci è molto famigliare. Il ritmo è furibondo ma alle lumache non sembra davvero importare. Una fiaba semplice e esilarante, un’allegoria fin troppo lampante a cui dedicare almeno un sorriso. Quanto inconsapevolmente sacrifichiamo di noi stessi per essere integrati? In fin dei conti c’è un motivo per cui le lumache non hanno le gambe.
Don’t know what, Thomas Renoldner – Film sperimentali
Un film sperimentale che ben si inserisce nello spettro della video art, prendendo spunto anche dal cinema delle avanguardie, incentra il proprio discorso audiovisivo sulla pura sperimentazione traendo dall’immagine cinematografica realistica, la possibilità artificiale di scomporre gesti, suoni e spazi e ricombinare tutto creando nuovi elementi in un esperimento impossibile da ascrivere a un campo preciso, al tempo stesso surrealista, strutturalista e astratto.
Hot Chip – Hungry Child, Saman Kesh – Videoclip musicali
Un videoclip assolutamente atipico, dove il brano musicale accompagna (o meglio, tormenta) una coppia in crisi in cui nessuno dei due ha il coraggio di interrompere la relazione. Il brano Hungry Child sembra più fare da colonna sonora a un film, passando così non tanto in secondo piano ma sicuramente giocando sull’inversione degli usuali rapporti di forza tra gli elementi del videoclip. Le voci dei personaggi si mischiano alla musica, che a tratti si interrompe, si affievolisce o aumenta di volume in funzione delle loro mosse, che interagiscono con il brano musicale in quello che risulta un videoclip dalla natura indubbiamente irregolare.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
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