
Avengers: Endgame – La persistenza della memoria
Quando Umberto Eco, ne Il Mito di Superman, tentava di tracciare le caratteristiche comuni al fumetto di supereroi, individuava come aspetto principale della serializzazione ad esso sottesa la mancanza di memoria: episodio dopo episodio, il mondo sembrava resettarsi, il tempo non scorreva, fermo come in una sfera di vetro isolata dalla realtà. Da quel saggio di Eco, la ricerca sembra essersi fermata proprio come il tempo in quelle prime e ancestrali storie, mentre il mondo dei fumetti si è evoluto, a prescindere dalla teoria.
Con la straordinaria capacità di Stan Lee, negli anni ’60, di tenere tra le proprie mani le fila di praticamente ogni testata Marvel, prende il via quel collante concettuale che fa da sfondo alla tenuta stessa del suo universo: la continuity. La continuity è il tentativo del fumetto supereroistico di uscire dalla gabbia del mito senza memoria per dotarsi di una verosimiglianza e di una stratificazione di eventi, connessi l’uno con l’altro, recuperabili. La continuity supervisionata da Lee acquisisce passo passo la forma di una vera e propria teleologia narrativa, in cui ogni storia ha il permesso di servirsi degli eventi precedenti, discostandosi totalmente dalla teoria di Umberto Eco.
Ma certo è che il fumetto supereroistico è e resta, per quanto con picchi di qualità notevole, un prodotto industriale, serializzato, in cui questa teleologia tende all’infinito, senza uno scopo e un punto di arrivo. Una dialettica continua, che non vuole necessariamente trovare chiusura, per potersi sempre rinnovare e poter, molto pragmaticamente, produrre. La memoria persiste, ma i supereroi invecchiano molto più lentamente dei loro lettori, tanto da dover spostare continuamente le origini, trasformando la verosimiglianza dello scorrere degli eventi in un patto silenzioso tra l’universo narrativo e chi lo fruisce.
Dal 2008 tutto questo necessita di un cambiamento. Nelle sale esce Iron Man, primo ambizioso tassello di un progetto tutto ancora da costruirsi, in cui un supereroe si lega indissolubilmente a un volto umano, quello di Robert Downey Jr., che ne porterà avanti le storie per l’intero decennio successivo. E sul grande schermo, dieci anni si fanno vedere. Il progetto del Marvel Cinematic Universe nasce consapevole di non poter negoziare la memoria: ogni cosa mostrata sullo schermo è la realtà dell’universo raccontato, in cui persino la scansione degli anni corrisponde alla scansione di uscita delle pellicole.
Presa coscienza di questi limiti, apparentemente una nuova gabbia temporale, opposta a quella descritta da Eco, ma altrettanto restrittiva, gli autori dell’MCU decidono di sfruttarne appieno le regole: la teleologia narrativa generata dalla continuity viene estremizzata, tanto che ogni film diventa un nuovo tassello di un mosaico la cui immagine totale diventa visibile solo alla fine, o meglio, al suo fine.
Perché proprio questo è Avengers: Endgame, il fine ultimo di undici anni di racconti attentamente orchestrati, incastrati, concatenati, messi in parallelo. Tutto quello che, film dopo film, era soltanto intravisibile, con Endgame si mostra nella sua completezza e nella sua chirurgica precisione. Endgame è la chiave di lettura di un universo narrativo, di una vera e propria saga, che è perfettamente percorribile da una parte all’altra, in cui ogni evento trova la sua risonanza negli altri, che siano precedenti o successivi.
Al contrario di Infinity War, Endgame non può essere pensato come un film nel senso tradizionale del termine; inquadrature, passaggi, struttura del racconto, persino recitazione in questa pellicola risentono e risuonano del fine ultimo di undici anni di narrazioni di cui non ci si può dimenticare. Avengers: Endgame mette la parola fine alla teoria di Eco, costringendo il mondo dei supereroi a fare i conti con la possibilità realizzata di una persistenza della memoria totale, trascendendo le tradizionali regole di genere e i consueti criteri di critica.
In tutto questo, la qualità del prodotto non tradisce le aspettative, soprattutto grazie alle notevoli performance degli attori coinvolti, molto spesso superiori ai precedenti titoli Marvel. Su tutti, Jeremy Renner e Karen Gillan che sanno dare ai loro personaggi, normalmente ritenuti “secondari”, una preminenza narrativa totalmente insospettata.
Avengers: Endgame è quindi la fine di un lungo percorso e, nonostante l’annuncio di un prossimo titolo (Spider-Man: Far From Home), non si arroga il diritto di farsi nuovo inizio. Dei semi vengono qui piantati, ma la loro crescita è rimandata a un domani.
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