
Spider-Man: No Way Home – L’epica del ragno e del ricordo
La tua debolezza, Peter, è la moralità: ti soffoca.
Questa recensione di Spider-Man: No Way Home è senza spoiler! | L’uscita dell’ultimo film Marvel Spider-Man: No Way Home è stata preceduta da un hype smisurato, quasi paragonabile a quello che aveva accompagnato l’arrivo di Avengers: Endgame ad aprile 2019. Il film di Jon Watts, terzo capitolo della saga del nostro Arrampicamuri preferito, riesce a dimostrarsi all’altezza delle (enormi) aspettative?

No Way Home riparte dal finale del precedente Far From Home, scegliendo di caricarsi sulle spalle tutto il peso di queste aspettative un po’ come Peter Parker sceglie di confrontarsi con la sua identità nota al mondo intero: ora più che mai, il giovane supereroe si trova a dover affrontare una sfida profondamente personale, che mette alla prova la sua maturità obbligandolo a imparare sulla propria pelle che ogni scelta ha inevitabilmente delle conseguenze. No Way Home racconta di una crescita, di come diventare adulti tentando, sbagliando e – cosa ancora più importante – diventando consapevoli delle proprie decisioni nel bene e nel male. Proprio questo è uno degli aspetti in cui la sceneggiatura si rivela più audace: Watts, McKenna e Sommers problematizzano le azioni del protagonista e scombinano gli elementi della struttura narrativa supereroistica tipica, offrendo un’interpretazione sorprendentemente fresca dei topoi del genere. In questo terzo capitolo le scelte di Spider-Man, e ancor più quelle di Peter, lo rendono un eroe unico, diverso dagli altri, e di conseguenza conducono la trama verso esiti inaspettati. Il suo desiderio di fare del bene a ogni costo è semplicemente rivoluzionario e riesce a tendere la narrazione al massimo delle sue potenzialità.

No Way Home è un film con un cuore davvero grande, che sceglie di costruire una riflessione non banale sul valore della memoria nel modo più semplice e tuttavia meno scontato: mettendola in scena, senza spiegarla. La memoria e i suoi meccanismi sono al centro di tutte le svolte principali del film, e questo traspare in particolare dalla recitazione: Tom Holland diventa finalmente Spider-Man, offrendo un’interpretazione luminosa, piena di entusiasmo e, a tratti, commovente per l’altissimo grado di immedesimazione raggiunto.
E se la solida sceneggiatura del film serve soprattutto come pretesto per esplorare le relazioni tra i numerosi personaggi, il più grande merito di No Way Home è quello di saper coniugare come forse mai prima d’ora l’epica e l’intimità. Più del dittico finale della saga degli Avengers (che si concentrava sull’epica “macroscopica” del cast corale); più dei due film stand-alone precedenti (che si focalizzavano invece sulla realtà “microscopica” del Ragnetto), e lungo la linea già inaugurata da Eternals, questo terzo capitolo riesce a trovare un equilibrio praticamente perfetto fra queste due componenti, restituendo sullo schermo l’anima più pura e l’essenza più autentica del “pensiero” Marvel, in cui da sempre convivono lo straordinario e il quotidiano.

A un livello di lettura ulteriore, poi, No Way Home offre l’occasione di una riflessione anche metanarrativa sul senso del ricordare, attraverso il rapporto stretto e insieme problematico che intesse con i film precedenti dell’Universo Cinematografico Marvel (UCM, per gli amici). Certo, ci sono la nostalgia e il fan-service, ma non sono invadenti e di certo non costituiscono il fattore centrale del film: Watts va oltre l’idea di cameo (già così tanto sfruttata nell’UCM) e si interroga su cosa significhi davvero riprendere in mano personaggi già ben noti al pubblico, sfruttando la stratificazione delle loro storie passate.

Per rispondere alla domanda iniziale: Spider-Man: No Way Home è uno dei migliori film Marvel e un grande film tout-court, che soddisfa a fondo tutte le aspettative e le supera decisamente. Alla fine, è il racconto della conquistata maturità di Peter Parker: il Ragnetto è cresciuto, e questo gli è costato molto. A stupire, però, non è solo la maturità del protagonista, ma anche quella dei narratori, che si sono mostrati in grado di raccontare con grande consapevolezza e misura le implicazioni della memoria. No Way Home, attraverso l’epica del sacrificio e il dilemma dell’eroe, nel terzo atto esplora l’importanza del ricordo e con coraggio sovverte le attese dello spettatore, ritornando al significato originale, etimologico della parola. Il ricordo, allora, non è più importante come atto con cui si riporta alla mente qualcosa che è già avvenuto, ma come re-cordari, cioè riportare al proprio cuore la relazione che ci lega alle persone che amiamo. E non una sola volta, ma tante quante ne serviranno affinché ciò che è davvero fondamentale non vada perduto. In altre parole, ricordare per ricominciare ancora, dall’inizio, come se fosse la prima volta.
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