
Il Padrino – La nascita di una regola
A cinquant’anni dalla sua uscita, Il Padrino rimane uno dei film più imitati e analizzati del panorama cinematografico. Ancora oggi domina le classifiche dei migliori film della storia, fidelizza nuovi spettatori, è materia di restauro, studio, analisi, è insomma un’opera ancora in dialogo col nostro tempo. Troppo spesso però, la compattezza di un racconto consolidato e affermato come Il Padrino porta a considerare quest’opera come una regola dell’arte cinematografica, oscurando innovazioni narrative e tematiche che ha apportato al genere.
La storia de Il Padrino inizia nel 1967, quando Mario Puzo, sommerso dai debiti di giochi, accetta un anticipo di dodicimila dollari dalla Paramount Pictures in cambio dei diritti sul suo romanzo ancora da terminare. È lo stesso anno del sorgere della New Hollywood, che con i successi di Gangster Story di Arthur Penn e Il Laureato di Mike Nichols inaugura una stagione di rottura espressiva, stilistica e produttiva del cinema statunitense, mai come ora aperto alla contaminazione delle altre cinematografie.

Il Padrino, che cinque anni dopo irrompe nelle sale americane, appare come in controtempo rispetto allo slancio giovanilistico e sperimentale emanato dalle nuove forze del cinema statunitense del tempo. Lo scheletro narrativo che contestualizza la gerarchia criminosa è di derivazione shakespeariana, il dato visivo è piano e solenne, lontano dalle frammentazioni e dai movimenti selvaggi delle macchina da presa della New Hollywood.
Dietro alla monumentalità di un racconto classico si nasconde però una silenziosa rottura dei codici che rende Il Padrino un’alternativa alla New Hollywood più sperimentale, e al contempo una conseguenza diretta dell’influenza delle nuove istanze creative e produttive portata da questi giovani autori. In questo senso, Il Padrino è un prodotto ambiguo, ibrido nel suo guardare al passato per modernizzarlo, attualizzarlo.
Il motivo principale risiede nel suo trascendere i generi, sommando alla muscolarità della narrazione criminale la nota emotiva e melodrammatica della sua ambientazione famigliare. È come se il sotto-mondo domestico e originario in cui è ambientato negasse la possibilità di definire Il Padrino esclusivamente un gangster movie. Al contempo però la famiglia e il suo bene, ne Il Padrino, sono le motivazioni dell’azione gangsteristica e criminale, e da qui deriva la dualità fondante della narrazione: il rapporto tra il puro e il male, tra la sacralità famigliare del nido d’appartenenza e l’esercizio della violenza più efferata per affermarla.

A ciò, si aggiunge il racconto intimo di Michael Corleone che, come il Ben de Il Laureato, torna in famiglia e si trova al cospetto delle aspettative paterne riguardo al suo futuro. La differenza tra Michael e Ben e in fondo, tra Il Padrino e l’istanza giovanile della New Hollywood, sta proprio nel fatto che Michael accetta l’incarico paterno, se ne responsabilizza mettendo da parte sé stesso, e quella fetta di società intonsa dal crimine rappresentata dalla Kay di Diane Keaton.
Il melodramma gangsteristico incontra quindi il viaggio di formazione del giovane Michael, un rito iniziatico che inspessisce la nota action di un film di mafia con uno sguardo intimista e drammatico. Nella solidità con cui Francis Ford Coppola risolve questa commistione di generi risiede il dato epocale di un film come Il Padrino. Il passato del gangster movie che parte da Hawks e approda a Huston, si tinge delle note malinconiche e noir della New York del dopoguerra e si drammatizza con l’approfondimento di personaggi che fino ad allora erano stati puri vettori, esistenti solo per l’esercizio del male.

Per il Coppola cresciuto con Nicholas Ray ed Elia Kazan, ma da sempre attento al cinema centro-europeo e alle selvagge sperimentazioni dell’avanguardia russa sembra un’azione naturale, ma per il pubblico del tempo è un’innovazione palpabile e al contempo inafferrabile. La violenza cruda e risolutoria del film di mafia qui dirompe da un andamento lento, riflessivo e pensoso. La messa in scena sobria, filmata a tableaux, con gli attori che entrano ed escono dalla fissità del quadro, si drammatizza grazia alla fotografia sottoesposta e fumosa di Gordon Willis.
Il dramma internalizzato della metamorfosi del protagonista si unisce al racconto affollato dell’attività criminale e del sottobosco di una famiglia siculo-americana nel momento focale della violenza, così come il destino collettivo della famiglia e degli affiliati e quello individuale di Michael. La violenza è il punto di incontro tra i due poli tematici del film e proprio per questo appare più cocente e necessaria rispetto agli altri gangster movies.

La motivazione della criminalità è la protezione della famiglia, così il sacro e il domestico rispondono alla legge etica della violenza, l’amore e il dovere verso i propri cari all’esercizio del male. La binarietà tra la purezza del legame famigliare e le efferatezze dei gangster raggiungerà una definitiva ma illusoria ibridazione nello storico montaggio alternato della sequenza finale, per poi riaprirsi problematicamente nel secondo capitolo, nella relazione tra Michael e Fredo.
Riguardo a questo è importante specificare come Il Padrino dissacri lo schema narrativo del gangster movie che aveva dominato nella Hollywood classica, per il quale il criminale partendo dal nulla e raggiunto il suo apice di successo, dovesse necessariamente cadere in rovina sul finale. Per questo motivo venne anche considerato come amorale nel suo far parteggiare il pubblico per la parte criminale della società, quella delle organizzazioni mafiose.
Per tutte queste ragioni sarebbe superficiale pensare ad Il Padrino semplicemente come ad un capolavoro classico, un monumento inscalfibile e assumibile come regola a priori della costruzione della sceneggiatura e del montaggio. Se Coppola fa uso di stilemi linguistici e profilmici antichi lo fa in modo innovativo, atto alla divaricazione del genere, alla commistione di più modalità di racconto nella stessa epopea. Il suo è un approccio ibrido e interstiziale che proprio come Il Padrino sembra collocarsi in una zona grigia tra classico e autoriale, tra istituzione e rottura delle norme.

Va specificato come anche a livello produttivo l’avventura de Il Padrino rispondesse ad un clima pienamente istituito nella New Hollywood, almeno nelle intenzioni. La New Hollywood attualizzava il sogno utopico di un cinema degli autori che guardava alla Nouvelle Vague e ai cineasti oltre-oceano, la piena libertà del cineasta sul prodotto, una libertà che Coppola riesce straordinariamente a ottenere grazie a un braccio di ferro tra la sua American Zoetrope e il colosso Paramount, che gli lascia mano libera nella scelta degli attori e nella scrittura.
Questa libertà inedita renderà Il Padrino molto più che un campione d’incassi capace di proiettare il suo immaginario nel corso dei decenni, ma piuttosto un’attestazione di un cinema antico che si rinnova dall’interno. Ne risulta un Blockbuster d’autore, un Kolossal sperimentale, un gangster movie intimista che all’interno della durezza ritmata della trama action, inserisce un silenzioso duello simbolico, tra un vecchio tipo di gangster (Vito Corleone) – e quindi di narrazione del gangster – e una nuova (Michael), moderna, stratificata, dalla quale sarà per sempre impossibile tornare indietro.
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