
Il Mistero del falco – John Huston e il Noir umanista
“La mia prima regola è comprendere me stesso. La seconda è trovare il modo più semplice per farmi comprendere dagli altri” mistero del falco huston
John Huston
Il mistero del falco di John Huston debutta sullo schermo a New York, il 3 Ottobre del 1941. Oggi, a ottant’anni dal suo esordio, appare chiaro come quest’opera sia stata fondamentale non solo per aver inaugurato la carriera del regista di origini scozzesi, ma anche per aver gettato le basi espressive e aver influenzato espressivamente molto del cinema a venire.
Realizzato con un budget esile che portò il trentacinquenne Huston a realizzare l’opera quasi totalmente in interni, il film è un adattamento del romanzo omonimo di Dashiell Hammett, uno dei più grandi autori del genere poliziesco-nero. Il suo Sam Spade, vero e proprio genitore narrativo del Marlowe di Raymond Chandler, oltre ad aver avviato il successo del genere letterario hard-boiled, avrà il merito di consolidare definitivamente l’icona di Humphrey Bogart nell’immaginario cinematografico del cinema americano classico. mistero del falco huston

Lo Spade di Bogart non è che la fondamenta interpretativa che lo porterà alla ribalta con il Marlowe de Il Grande Sonno (1947) di Howard Hawks. È un investigatore privato archetipico nel suo essere freddo, cinico e razionale, in consonanza con le esperienze narrative noir degli anni trenta in cui è il personaggio a muovere il racconto; ma allo stesso tempo, Sam Spade è anche un uomo solo, in balìa della continua compenetrazione tra bene e male che permea il racconto, assoggettato dal dubbio e profondamente malinconico, crepuscolare.
Da questo punto di vita, Il mistero del falco delinea il suo protagonista in maniera rivoluzionaria rispetto alla consuetudine narrativa dei custodi del genere – tra i tanti: Fritz Lang, Robert Siodmak e il poliedrico Billy Wilder – principalmente registi di origine centro-europea capaci di far confluire suggestioni e stilemi dell’espressionismo tedesco e solide strutture narrative del sistema dei generi classico.

Se lo Spade di Bogart ispessisce e attualizza il personaggio forte del cinema classico americano, elevandolo dalla funzione di veicolo narrativo a vero eroe scisso, Huston fa lo stesso con la complessità del racconto, ricco di ambiguità. Il regista fa sì tesoro delle esperienze visuali che lo precedono – utilizzando una fotografia che tagli i volti in due grazie a un bianco e nero violento e contrastato, sperimentando angolazioni ardite nelle inquadrature – ma non lascia che il dato formale soffochi l’umanità dei personaggi.
In questo senso, Il mistero del falco è forse il primo noir umanista della storia del cinema, per la sua regia asciutta e fluida, al totale servizio della rotondità del personaggio, sul quale la macchina da presa si concentra quasi ossessivamente. Ecco che a risaltare sono quindi le interpretazioni degli attori – tra tutti, oltre a Bogart, la femme fatale Mary Astor, Peter Lorre e Sydney Greenstreet – e la complessità della storia. mistero del falco huston

Secondo Huston, lo spettatore deve accorgersi il meno possibile che quello che sta fruendo è raccontato da qualcuno o qualcosa. Questo non si riferisce tanto alla linearità e alla facilità di comprensione imposta dagli standard istituzionalizzati della Hollywood classica, ma piuttosto ad un’attitudine che sarà propria del cinema d’autore europeo, in cui lo sguardo al personaggio è nitido, apparentemente immediato, più importante di tutto il resto.
Quello che Huston attua da esordiente nel 1941 è un’operazione che – più o meno consapevolmente – precede quella rivisitazione critica dei generi propria della New Hollywood, un contesto di grande fermento creativo nel quale diversi autori europei come Michelangelo Antonioni e Louis Malle approdarono oltreoceano.

A questo proposito, risultano limpidi i riferimenti narrativi a Il mistero del falco in Chinatown (1974), neo-noir di Roman Polanski nel quale lo stesso Huston compare come antagonista. Anche qui, trentetré anni dopo, troveremo atmosfere torbide non dissimili, una donna laconica e portatrice di pericolo, un investigatore preda degli eventi. E per l’umanismo di Huston regista la New Hollywood sarà un terreno confortevole, non tanto per i suoi tratti di rottura, ma piuttosto per la predilezione per protagonisti spostati, outsiders arresi e dissoluti, come i pugili del raffinato Città amara (1972), in cui gli stilemi della nuova ondata si sintonizzano pienamente con i gesti narrativi che Huston ha coerentemente sposato per tutta la carriera.
Huston è profondamente convinto che lo stile non sia che l’adeguamento della parola e dell’azione, all’idea originaria e questo lo ha spesso esposto a svalutazioni di buona parte della critica, che lo considerava scolastico, a volte addirittura sciatto. Questo tipo di attitudine trasparente e gentile all’uso del mezzo in cui la macchina da presa, scevra di ogni tipo di virtuosismo, si aggira silente e leggera come un pulviscolo attorno alla storia, lo connoterà per il resto della sua carriera fino al testamentario I morti (1987) tratto da Gente di Dublino di James Joyce.

Quello che ha fatto di Huston non solo un maestro del cinema classico ma un autore capace di attraversare le epoche è stato il suo sguardo non radicalmente asservito, ma piuttosto accogliente verso la storia rappresentata. Il mistero del falco, prima esperienza alla regia e primo dei tanti generi affrontanti, riassume la solidità espressiva di un regista che, proprio come il suo protagonista, si limita a seguire con lo sguardo lo svolgersi degli eventi, le azioni dei personaggi, il ritmo incalzante dei dialoghi, lasciando respiro alla natura poliedrica di un’opera che, dietro l’apparenza di un poliziesco, conserva in sé un racconto melodrammatico ed esistenziale
“Io faccio come i miei personaggi: guardo. Non giudico. Mi limito a guardare”
John Huston.

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