
Hearts of Darkness – L’Inferno di Coppola
Hearts of Darkness: A Filmmaker’s Apocalypse si apre con una conferenza stampa di Francis Ford Coppola, a poco tempo dalle prime proiezioni del suo Apocalypse Now (1979), precisamente con una frase destinata a diventare memorabile nei salotti cinefili: “Il mio film non parla del Vietnam. È il Vietnam. È come doveva esserlo… Eravamo in troppi. Avevamo a disposizione troppi soldi. Troppo equipaggiamento. E un po’ alla volta ne uscimmo matti”. Una frase perfetta per riassumere Apocalypse Now come opera e l’inferno che la sua produzione ha comportato. Un inferno che intrattiene un rapporto esistenziale con Coppola, che ne attraversa tutta la carriera: lo dimostra il fatto che il regista è tornato più volte sulla pellicola, variandone il montaggio originale nelle riedizioni Redux (2001) e la recentissima Final Cut (2019). È appunto questo inferno esistenziale, questa Odissea che il film del 1991 realizzato da George Hickenlooper e Fax Bahr ha raccontato – senza però assumere una veste artistica puramente servile nei confronti dell’opera di Coppola – fornendo testimonianze e materiali quasi necessari per una profonda e completa comprensione del film che ha segnato l’intera carriera del regista americano.

Eleanor Coppola, moglie del regista, è in realtà da considerarsi la prima fra gli autori, per lo meno per quel che riguarda il materiale che va a convergere nel lavoro di Hearts of Darkness. Giunta con i figli nelle Filippine per le riprese del film, decide di documentare la realizzazione del progetto, cogliendo alcuni dei momenti più drammatici del set di Apocalypse Now. Eleanor è portata a condividere in prima persona gli sforzi tremendi del marito, e sostenerlo dev’essere stato tutt’altro che semplice: il ritratto di Francis che emerge dai suoi footage originali è estremamente tormentato e confuso, diviso fra un grande impegno nel cercare di tenere le redini della produzione e le sue confessioni disfattiste. “Un disastro da 20 milioni di dollari” lo definisce. “Prenderò una F!” incalza, quando la moglie lo sprona a finire “il compito” anche se dovesse rivelarsi al di sotto delle aspettative. E in tutto questo, immagini di una quotidianità quasi festosa e leggera, con celebrazioni per i traguardi delle riprese, scherzi con la troupe e qualche immagine di una piccola Sofia Coppola che disegna il set con i suoi pastelli colorati, commentando che le Filippine sono come “Disneyland nella giungla”.
Nella giungla vera e propria è invece il lavoro di suo padre, il quale ha scommesso 20 milioni di dollari delle sue tasche e in cambio rischia di veder crollare il suo futuro da filmmaker, appena dopo aver messo un piede in paradiso grazie al successo delle prime due parti de Il Padrino (1972 e 1974). All’epoca, Francis Ford Coppola è una sorta di semi-dio nel fiorente panorama della New Hollywood e sente di poter scommettere le sue energie su qualsiasi cosa tocchi, come un Re Mida del Cinema. Così, quando George Lucas e Steven Spielberg si presentano da lui con un’allegoria di Cuore di Tenebra di Conrad ambientata in Vietnam e firmata da John Milius, un progetto notevolmente impegnativo e rischioso, Coppola è sicuro di sé e non solo accetta di produrre il film, ma in seguito assume anche la regia. La sceneggiatura è solida, Coppola è una voce importante del cinema statunitense e la sua immaginazione vola davvero in alto. Cosa potrebbe andare storto? Letteralmente tutto. Il set distrutto da uno spaventoso incidente climatico, la sostituzione dell’inadatto Harvey Keitel con un Martin Sheen demolito dall’alcolismo e un Marlon Brando sceso dall’aereo fuori forma e fuori parte (ma pagato un milione a settimana per uno screen time ridicolo) sono solo alcune delle zavorre che trascinano lentamente nel baratro Coppola.

Hearts of Darkness: A Filmmaker’s Apocalypse sviscera la bufera con estremo dettaglio, fornendo moltissimo materiale e riordinandolo con adeguata cura. Il clima confuso, a tratti fiducioso e a tratti fragilissimo che emerge dal film ci permette di costruire un dialogo tra Apocalypse Now e la sua produzione, mostrando quanto per Coppola il lavoro diventi sempre di più una questione personale. Una linea sottile divide uno dei più grandi film della storia da un’enorme bancarotta, potenzialmente fatale per il regista: sono l’orgoglio e l’audacia con cui Francis trascina l’opera dalla parte giusta della storia nel mezzo della tempesta perfetta a dare al prodotto la forma che oggi conosciamo.
Se è spesso vero che un’opera si riflette nel suo creatore, lo specchio è stato raramente tanto drammatico e distorto quanto nel caso di Apocalypse Now e Francis Ford Coppola. Il regista condivide con il suo film quel Vietnam folle e irrazionale, una giungla concreta e spirituale. Apocalypse Now ci restituisce la sensazione di una discesa agli inferi allucinatoria, come se il mondo e i suoi valori si sgretolassero pezzo dopo pezzo di fronte a noi. Il filo conduttore del film – la ricerca del colonnello Kurtz – è talvolta messo in secondo piano di fronte a eventi così terrificanti e privi di logica da privare i protagonisti e lo spettatore stesso di un orizzonte logico ed etico. La risposta emotiva di Coppola agli eventi delle Filippine è effettivamente la forza di Apocalypse Now, un film magistralmente capace di riassumere i temi della cultura non solamente cinematografica degli anni Settanta e di presentarli come un delirio lisergico collettivo, con al centro quel Vietnam troppo inspiegabile per non essere un incubo.
Qui è la sostanziale differenza fra l’opera di Coppola e il documentario: Hearts of Darkness cerca di portare ordine nel labirinto di Apocalypse Now, e vi riesce senza compromettere l’esperienza del film di cui tratta. È un’opera molto ordinata, divisa in compartimenti stagni ben scanditi dai principali incidenti di percorso della produzione. Ed è anche un film che riesce ad ampliare Apocalypse Now, aggiungendo profondità al capolavoro di Coppola e conferendo ulteriori elementi ad amplificare i suoi tratti. Più di tutto, però, è un lavoro che riesce a separarsi artisticamente dall’opera da cui deriva, costruendo una narrazione che vuol farsi ascoltare indipendentemente dalla storia di Willard e Kurtz. Ciò che ne deriva è il racconto concreto di come un grande artista possa attraversare l’inferno per portare a compimento un’opera che lo trasforma indelebilmente, uno sguardo profondo e concreto sull’Odissea che dona forma allo spirito di uno dei registi più importanti della storia del Cinema, al contempo un manifesto del travaglio cui l’umanità può essere sottoposta per partorire l’arte.

Bonus: a questi link potete scoprire quali film di Coppola si trovano tra i migliori di sempre per quanto concerne il montaggio e la fotografia, in due liste stilate da professionisti dei settori interessati.
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