
Il grande sonno – Il noir di Howard Hawks
Nel 1946 esce Il grande sonno, il film noir diretto da Howard Hawks e tratto dall’omonimo romanzo di Raymond Chandler, scrittore prestato ad Hollywood per l’elaborazione di soggetti e di sceneggiature, tra cui quella de La fiamma del peccato, scritta due anni prima con Billy Wilder.
L’opera di Hawks arricchisce una filmografia che affronta diversi generi e filoni, dal gangster-movie (Scarface – Lo sfregiato, 1932), la screwball comedy (Susanna!, 1938) alla fantascienza (La cosa da un altro mondo, 1951), allontanando il regista dalla tendenza alla specializzazione in un solo genere, comune nell’era classica di Hollywood, e consacrandolo a cineasta poliedrico e con vocazione trasversale.

Il protagonista del film è Philip Marlowe, l’investigatore privato creato dalla penna di Raymond Chandler e personaggio noto dell’hard boiled, prima forma di giallo moderno il cui significato – letteralmente «duro», «sodo» – si riferisce al pessimismo e al realismo crudo, all’atmosfera cupa, la tematica criminale e infine alla presenza di poliziotti o detective rudi e solitari.
Marlowe viene convocato dal generale Sternwood per indagare sul ricatto perpetrato nei confronti della figlia Carmen, giovane donna con debiti di gioco e dall’indole adolescenziale, scoprendo poi che la questione è molto più complessa e intricata e che coinvolge anche la sorella di questa, Vivian.

Lo sceneggiatore William Faulkner decide di rispettare l’inclinazione di Chandler per le trame aggrovigliate e labirintiche, rendendo chiaro, sin dall’inizio e dalla quantità dei nomi che vengono menzionati, che lo scopo del film non è rivelare gli artefici del ricatto e dei diversi omicidi ma osservare come si comportano e si relazionano i singoli personaggi.
L’esito è un racconto costruito su più piste, con particolare enfasi su Philip e Vivian e sulla relazione amorosa che sta nascendo, espressa tra scambi di battute ironici e ripetizioni delle frasi e tramite l’uso del trialogo, il dialogo teorizzato da Robert McKee costruito su un oggetto terzo – qui, ad esempio, le gare di cavalli – che serve per incanalare la sfida tra i due e a parlare di sé in modo implicito.
L’allusività di tali conversazioni rivela la natura dei due personaggi: Philip è interpretato da Humphrey Bogart che ha il phisique du rôle dell’eroe misterioso e affascinante, in un certo senso inventato da lui e reso noto dal Rick di Casablanca (Michael Curtiz, 1942), disilluso e concentrato sul suo lavoro e desiderato proprio perché sfuggente; Vivian, impersonata da Lauren Bacall a due anni dall’esordio in Acque del sud (Howard Hawks, 1944) con lo stesso divo, è una donna risoluta e indipendente, che si apre gradualmente all’altro, presumibilmente delusa e segnata da un passato doloroso.

Il sistema dei personaggi del film non è estremamente rigido in quanto rinuncia alla divisione netta tra buoni e cattivi, aspetto del giallo classico rifiutato da Chandler, per creare figure meno bidimensionali, individuando una sorta di zona grigia dei cattivi, che compiono azioni efferate ma che presentano più sfaccettature e sfumature: l’ambiguità dei protagonisti è infatti enfatizzata dal tono comico dei dialoghi tra detective e criminali, che ne rivelano le debolezze e l’ottusità, o ancora dalla stessa Vivian, personaggio positivo ma non del tutto sincero con Philip.
La vicenda si infittisce in uno scenario urbano notturno, tipico del noir, fatto di luoghi che non sono quello che sembrano (nella libreria si organizzano affari loschi, la casa del suo proprietario è un covo di criminali), ambienti interni che diventano trappole dove non si è mai al sicuro e in cui l’azione non lascia spazio ai tempi morti ma procede rapidamente, in un labirinto narrativo che rivela bische clandestine, ricatti e depistaggi.

Il grande sonno conferma la maestria di Howard Hawks nel misurarsi con più generi e nell’approccio innovativo e atipico rispetto alla norma, rinunciando, nello specifico, alla componente onirica e al chiaroscuro del noir e adottando un tono sarcastico nei dialoghi ricchi e veloci.
Come per Philip Marlowe nel finale del film, non c’è nulla che il regista non possa risolvere, aggiustare e, quindi, dirigere.
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Perché non scrive un articolo sulla storia del cinema noir in generale?
[…] di Bogart non è che la fondamenta interpretativa che lo porterà alla ribalta con il Marlowe de Il Grande Sonno (1947) di Howard Hawks. È un investigatore privato archetipico nel suo essere freddo, cinico e […]