
Le 5 dimensioni di “Spider-Man: No Way Home”
Attenzione: l’articolo contiene spoiler del film | Spider-Man: No Way Home è un film sbagliato, pieno di buchi di trama, un prodotto del fan service più becero e che ha poggiato quasi totalmente su una doppia campagna promozionale che è servita perfettamente al suo scopo: rivelare il più grande segreto di pulcinella della storia del cinema senza rivelarlo. Ma allora perché ci piace così tanto? Del film si può fare una recensione critica, sentimentale o che che sia entrambe le cose. È un film che può legittimamente non piacere e non perché de gustibus, ma anzi proprio per il motivo contrario, perché sui gusti si discute eccome o riviste come la nostra non avrebbero senso di esistere e regnerebbe una dittatura della soggettività.
È un film che non teme legittimi confronti, perciò facciamone: Into the Spider-Verse rimane ancora adesso il miglior lungometraggio dedicato all’Arrampicamuri. Laddove infatti Into the Spider-Verse, al netto di qualche citazione, stupisce ed emoziona con materiale nuovo ed inedito, No Way Home lo fa con tutto ciò che siamo stati abituati a vedere in questi quasi vent’anni (anche proprio con materiale già usato) di cinematografia su Spider-Man. Basta solo questo a capire quindi perché il terzo lungometraggio di Jon Watts dedicato all’Arrampicamuri non può piacere a tutti o comunque non a tutti quelli che hanno apprezzato il lungometraggio animato Sony. Quindi no, Spider-Man: No Way Home non è il miglior film su Spider-Man. Però…

Però c’è un “però”. C’è infatti il caso che No Way Home sia quasi un unicum nella storia del cinema. Dico quasi perché di esempi simili a onor del vero ce ne sono già diversi, ossia di film che poggiano palesemente sull’eredità del passato per ravvivare una saga o un franchise: Jurassic World, Ghostbusters Afterlife, Matrix Resurrections e altri ancora. Ma tutti questi film appunto ravvivano una saga che non tocca i cinema da almeno vent’anni, capitalizzano cioè su nostalgia e restauro per restituire una dimensione del ricordo il più autentica possibile (oltre ovviamente a fidelizzare le nuove generazioni). È un po’ la stessa filosofia che sta alla base dei classici Disney in live action. No Way Home è – anche e soprattutto – qualcos’altro e da buon film sul Multiverso si muove su almeno cinque dimensioni contemporaneamente.
1. Intrattenimento
«Perché questo è intrattenimento, non cinema». Bene, ora che abbiamo dato il giusto spazio all’esteta cinematografico, torniamo a discutere della sacralità dell’intrattenimento. Se quello con i nostri film preferiti è un rapporto d’amore, allora No Way Home è un Kamasutra. C’è tantissimo amore per il personaggio di Spider-Man, un amore carnale, oggettificato in dialoghi che sono l’equivalente di un feticcio («Sai sono una specie di scienziato anch’io») o di cameo assolutamente gustosi pur nella loro esiguità (esatto, parlo di Matt Murdock). Molti diranno che si tratta solo del già citato fan-service e molti hanno ragione ma appunto si tratta di un rapporto carnale e i rapporti carnali sono anche buffi, divertenti, goffi e talvolta stentati ma sempre figli della spontaneità. Amore è anche intrattenere con dei giochi e allora No Way Home è un gioco continuo di una coppia – il pubblico e Spider-Man al cinema – che ha avuto certamente alti e bassi nella sua storia, ma che profondamente non si è mai rotta o interrotta (a differenza di altri franchise). Certo, è innegabile che nella foga passionale avvenga qualche sbavatura. Buchi di trama anche grossi non mancano e certamente qualche dialogo poteva essere gestito meglio. Ma l’amore è anche fatto di intrattenimento fine a sé stesso e No Way Home, visto in quest’ottica, è il più riuscito dei film erotici senza che scada mai nella pornografia.

2. Villains
Chiamateli cattivi ovvero captivi, “catturati”, “imprigionati”. I cattivi sono prigionieri prima di tutto delle circostanze («Non sono cattivo, è cattiva la mia sorte») e poi della loro cattiveria. Laddove gli altri film “revival” poggiano quasi esclusivamente sul ritorno in grande stile dei protagonisti storici, No Way Home lo fa con gli antagonisti, delegando loro la struttura portante di un film che è sia conclusione che principio. I villains sono letteralmente proiezioni delle circostanze avverse, materializzazioni dei nostri errori e delle nostre scelte egoistiche. In questo senso, i vari Rhys Ifans, Thomas Haden Church, Jamie Foxx e Alfred Molina non sono revival del passato ma vere e proprie continuazioni di discorsi non conclusi in un lungo presente. In altre parole, è certamente possibile glissare la nuova e più recente trilogia di Star Wars e rimanere comunque soddisfatti del destino di Palpatine. Non guardare No Way Home invece equivale a rinunciare a una parte di un percorso narrativo che si conclude solo adesso. Discorso a parte per Willem Dafoe e non perché la sua presenza in questo film sia di un’imponenza colossale (ok, forse anche per quello) ma perché il suo Goblin si scopre essere una creatura duttile e adattabile alle circostanze pur rimanendo fedele alla propria natura originaria. Sono i vari cattivi a chiedersi, come ce lo chiediamo noi, come siano finiti in un’altra dimensione (e per alcuni, come Electro, obiettivamente non c’è risposta). Dafoe invece è puro caos senza ragione e questa paradossalmente è la sua raison d’être. Goblin è un personaggio negativo, ovvero il Mr. Negativo della situazione (per fare un confronto con un altro ormai storico nemico di Spidey). Il suo tocco cambia irreversibilmente da buona a cattiva una situazione o una persona molto più di quanto non facesse «l‘alieno gelatinoso nero dallo spazio» in Spider-Man 3.

3. Attesa
No Way Home, come molti revival, è un film molto furbo e lo si può constatare anche con una certa freddezza. Certo un ragno-fan urla di gioia quando entrano dal portale Andrew Garfield e Tobey Maguire. Sono momenti che fanno urlare il pubblico in sala (e indignare gli anonimi recensori del cinema estetico) come successo con Endgame o Il Risveglio della Forza e via discorrendo. Ma c’è anche il caso che in No Way Home si compia il più classico dei viaggi di formazione dell’eroe e allora occorre ripensare a questi diciannove anni di attesa. Un’attesa nella quale ad esempio trova compimento il viaggio di Zia May. E non parliamo della “Zia Tomay” – che comunque in questo film con la sua morte trova giustizia come personaggia – ma della May Parker di Rosemary Harris. Uno dei tanti problemi di Spider-Man 3 era lo spreco di Zia May in un film che voleva parlare di vendetta e redenzione senza riuscirci appieno. Alla fine di Spider-Man 3 infatti lasciamo un Peter Parker addolorato ma rancoroso che solo dopo aver sentito la di lui versione della storia decide di perdonare Flint Marko. Quindi che fine ha fatto il «Non spetta a noi decidere chi vive e chi muore»? Eccolo qui, dopo un’attesa durata quattordici anni, finalmente l’invecchiato Tobey ha l’occasione di dimostrare di essere il nipote prediletto di Zia May fermando il piccolo Holland da un gesto che l’avrebbe condannato per sempre. La stessa attesa che ha portato alla redenzione di Garfield il quale salva MJ in un momento certamente più telefonato ma non per questo meno intenso. Così come Alfred Molina ha l’opportunità di restituire il potere del sole nelle mani giuste. Alcuni gridano già a una sorta di “compromesso storico” (o compromesso trash) che snatura la purezza (?!) di film come Spider-Man 2. Niente di più lontano da ciò che hanno fatto i Marvel Studios e Sony almeno in questo film. È semmai il caso di parlare di “capitalismo narrativo” ovvero di un investimento oculato e maturato (sia pure non preventivato) nel tempo che in questo film viene riscosso dopo una lunga attesa.

4. Nostalgia
Perché sì, alla fine No Way Home è un film nostalgico e non potrebbe essere altrimenti. La nostalgia è un usato sicuro e in questo No Way Home si rivela inferiore a prodotti come il già citato Into the Spider-Verse. La nostalgia però è prima di tutto “nostos” cioè desiderio (anche questo erotico?) di ritornare a casa. È adeguatamente ironico che un film che punta parecchio sulla nostalgia abbia come sottotitolo “No Way Home”. Su questo contrasto si articola tutta l’assurdità delle vicende multiversali nelle quali il Doctor Strange di Cumberbatch è sì un personaggio secondario ma anche un attore di primo piano. Il problema di questo film, se di problema si vuole parlare, è «vivere due vite diverse», una vita come film del MCU e un’altra come capitolo della maxi-saga di Spider-Man al cinema. È una doppia natura dal quale anche volendo il film non può sfuggire e che cerca di risolvere ed emanciparsi durante tutta la storia. No Way Home, non è mistero, è un film sulla crescita e la maturazione. Ma crescere è fare i conti con il passato prima di gettarsi sul futuro. E se per farlo la nostalgia può aiutare, allora ben venga.

5. Arrivo
È già stato detto e ridetto, No Way Home è anche una origin story a tutti gli effetti. Lo Spider-Man di Tom Holland, casomai qualcuno ne avesse mai dubitato, è ora a tutti gli effetti l’Ultimate Spider-Man, il ragno definitivo. Ma quella dell’arrivo non è solo una destinazione figurata per il protagonista, bensì il compimento di un lavoro di scrittura anche in questo caso iniziato anni addietro. Chi oggi si lamenta delle maxi-saghe al cinema probabilmente è convinto che Arda (l’Universo del Signore degli Anelli per i profani) o la Divina Commedia siano state scritte e concepite fin da subito come opere unitarie e compatte. Allo stesso modo, l’Universo Marvel al cinema si sta compattando solo ora, complice anche mamma Disney, sotto un unico grande marchio che tenga conto anche retroattivamente dei lavori passati con l’espediente del Multiverso. Indizi di ciò si sono già avuti, sia pure in maniera fumosa e puramente citazionista, in WandaVision. Attenzione: non si vuole in questo modo affermare, come sostengono alcuni, che Spider-Man (2002, Sam Raimi) sia a questo punto il primo film del MCU perché non lo è e non lo sarà mai. Si tratta semmai dell’arrivo a tutti gli effetti di un multiverso cinematografico Marvel che finora è esistito solo nella testa dei fan più accaniti. No Way Home è quindi il punto d’arrivo di un Multiverso Marvel che ormai vive di vita propria e che non è più solo una trasposizione di qualcos’altro – i fumetti in questo caso – ma una realtà narrativa ben definita. Lo si può dire di No Way Home ma anche in generale di tutta la fase 4 del MCU che sfoggia ormai regolarmente e palesemente i costumi classici dei vari characters non solo per un omaggio effettivo ai comics, ma quasi come una sorta di traguardo d’arrivo di una scrittura a più livelli (fumetti, film, videogiochi, libri e pure giochi di ruolo tutti citati in questo e negli altri film di Spidey) ora paralleli, ora incidenti. Per questo veder svolazzare Peter con un costume fatto da lui e che è praticamente identico a quello dei fumetti è molto più di un easter egg, bensì una constatazione: siamo diventati la casa e siamo arrivati a casa (contrariamente a quanto annunciato dal titolo del film).

Intrattenimento, Villains, Attesa, Nostalgia e Arrivo – o “IVANA” per usare gli acronimi tanto cari al Marvel Universe – sono i cinque punti di forza di un film che era tutt’altro che inaspettato ma non per questo meno sorprendente. No Way Home è l’equivalente per questi tempi dell’Eneide o dell’Orlando Furioso, ovvero la continuazione e la conclusione di cicli già iniziati da altri e non ha senso quindi parlare di mancanza di autorialità in un film che deve tenere conto di almeno altri due autori – Sam Raimi e Marc Webb -, per tacere di tutti gli innumerevoli altri del Marvel Cinematic Universe. Ma è anche un film generazionale, di una generazione di nerd e appassionati, se vogliamo, che è letteralmente cresciuta con Spider-Man. E sì, forse è anche e comunque un film sbagliato almeno per una certa idea di cinema. Ma è questo il bello dei film generazionali: far cambiare idea.
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