
Eternals – Dove si ferma la critica cinematografica
In principio nacque la critica cinematografica. Sorta parallelamente al mezzo espressivo in questione, la critica cinematografica conobbe una prima importante metamorfosi dopo la Prima Guerra Mondiale, quando si cominciarono a delineare in maniera sempre più netta i generi. Sorsero quindi diverse riviste specializzate e anche i quotidiani generici arrivarono ad avere una loro sezione di critica cinematografica. Negli anni ’60 la critica poi ha avuto un ruolo decisivo nello sfidare la censura e ad abbattere molte convenzioni (e convinzioni) della dottrina benpensante. Poi giunsero internet e gli aggregatori di recensioni. Sia chiaro che non si vuole in questa sede e con queste premesse scadere in alcun modo nella nostalgia più becera. La critica non era migliore prima e non è decaduta adesso, quantomeno non definitivamente. È indubbio però che qualcosa nel sistema delle recensioni si sia fisiologicamente rotto. La critica in molti casi, cinematografica e non, non è più un’esegesi soggettiva e analitica di un prodotto, ma la customizzazione autoriale di un dato oggettivo, ovvero dell’opinione che fa più tendenza. Qualcosa si è rotto, di certo non oggi o ieri ma di sicuro in quest’epoca di transizione informatica e nessun film quanto Eternals, ultimo lavoro Marvel Cinematic Universe, è sintomatico di questa rottura: noi non sappiamo scrivere una recensione di Eternals. E va benissimo così.

Un fatto che sembra sfuggire a buona parte della critica, ad esempio, è che la Marvel non ha assoldato la premio Oscar Chloé Zhao per il suo Eternals ma ha assoldato la regista Chloé Zhao, la quale ha poi vinto due meritatissimi premi Oscar come miglior film e miglior regia con il suo Nomadland, per realizzare un film basato sugli Eterni di Jack Kirby. Mettere Chloé Zhao alla regia, quindi, non è stata una scelta di marketing corporativo post-Academy ma una decisione di Kevin Feige maturata dopo aver valutato positivamente i lavori e la poetica della Zhao. È importante sottolineare questo passaggio per ricordare a tutta quella critica a cui piace contrapporre l’Oscar al film di supereroi, che la distinzione tra cinema alto e basso dice poco sul cinema in sé e tutto su chi la sostiene. Non si può negare poi l’enorme impatto che i già citati aggregatori di recensioni hanno nello stroncare o promuovere un film, a volte con percentuali che non rendono giustizia alla complessità che sta dietro un voto. Anche qui, non si vuole affatto auspicare un ritorno al passato ormai impossibile, ma al massimo suscitare una riflessione su un presente caotico e in crisi (che è poi il tema di Eternals praticamente), cioè in cambiamento. Eternals è il film della crisi, quello che fa emergere ciò che siamo veramente quando ci troviamo di fronte a una visione autoriale realizzata con i mezzi pressoché illimitati delle major.

È la distinzione tra generi che ci frega, quella stessa compartimentazione che rafforza la non-comunicabilità tra le discipline dello scibile umano e con la quale siamo formati già a scuola. Ogni genere ha il suo spazio o se preferite il suo “vaso in cui pisciare” e fintanto che ogni genere (o materia) sta nel proprio territorio la convivenza è pacifica, ma anche inesistente. Si può parlare infatti di convivenza quando non c’è comunicazione tra le parti? Quando invece i generi e gli stilemi si incontrano, non per forza generando meraviglie o capolavori ma comunque qualcosa di nuovo, ecco che i cultori della compartimentazione urlano allo scandalo, all’inappropriatezza, all’autore che “ha pisciato fuori da vaso” cercando di fare qualcosa che era meglio non facesse. Perché il vero fulcro delle critiche negative a Eternals, tra latrati omofobici e sessisti, è quello di non essere inquadrabile in nessuna delle aspettative che il pubblico medio poteva avere su di esso. Eternals «non è un cinecomic tipico dei Marvel Studios» ma non è neanche «il film che ci si aspetterebbe da una regista di alto livello come la Zhao». Prima di essere un qualcosa, insomma, il film della Zhao semplicemente non è niente. Ha la colpa di esistere quando non dovrebbe.

E sia chiaro che la maggior parte delle critiche negative al film non proviene dalla tifoseria del cinema d’autore che urla allo scandalo commerciale. Una buona metà proviene soprattutto da quel pubblico di genere – il genere neanche del cinecomic ma proprio dei Marvel Studios – che non riconosce più la propria major preferita e che anzi l’accusa di non avere più una storia da raccontare. Ma è proprio questo il punto: ogni film dei Marvel Studios, dal peggiore al migliore, aveva in effetti una storia da raccontare, un punto A e un punto B e una narrazione lineare, con i suoi buoni e i suoi cattivi, le sue battaglie e le sue vicende umane, galattiche o intime. In Eternals non c’è alcuna vicenda. Non viene messa in scena una storia (casomai la Storia) ma un’anima nel senso latino del termine, ovvero il “soffio vitale”, qualcosa che muove i personaggi sullo schermo. E per fare questo si può fare ricorso a una moltitudine di vicende, nessuna mai veramente primaria eppure tutte fondamentali alla formazione dell’anima.
È una riflessione sull’umanità che fa uso anche di idoli e di immagini semplificate (quando non inflazionate) per portare avanti la sua posizione, ma lo fa con una competenza e una chiarezza magistrali. Cercare il punto A e il punto B in Eternals è una perdita di tempo e anzi certamente può rivelarsi un’esperienza frustrante. Gli stessi cultori del cinecomic, non sapendo come interpretare questa profondità, non hanno saputo fare di meglio che paragonarlo a un film di Zack Snyder appena sopra la mediocrità. Ma Eternals è ben altro. Sarà certamente vero che non è, nel bene o nel male, come nessun altro film dei Marvel Studios finora, ma certamente è il film più autenticamente “marvelliano” mai realizzato e chi la pensa diversamente semplicemente non conosce a fondo la Marvel se non grazie ai film. Certo non è necessario conoscere il materiale originale per godersi un film Marvel, ma non bisogna ostentare neanche una conoscenza della stessa se non si è mai preso in mano un fumetto. Parlare di Eternals vuol dire fare congetture sulla genesi della scrittura del film, che porta anche la firma della regista. Vuol dire sentirsi mancare il fiato di fronte a immagini titaniche e al tempo stesso piccole e intime. Vuol dire commuoversi di fronte a una scelta sofferta e inorridire di fronte a scioccanti rivelazioni. Vuol dire affezionarsi a ogni singolo personaggio, persino quelli più mostruosi che scoprono la vastità del pensiero senziente anche solo per pochi minuti. Eternals è un film che travolge con un sorriso e spaventa con un abbraccio. È la messa in scena dell’anima umana, dello Spirito della Storia per parlare in termini hegeliani, e della asfissiante pesantezza della libertà.

Eternals è anche un film che mette a disagio lo spettatore, che lo sfida e lo provoca. Ebbene sì, è anche un film aggressivo e polemico che ci pone interrogativi fastidiosi e domande scottanti. A chi urla al politicamente corretto di questo film è sufficiente rispondere con la Sprite di Lia McHugh. Di fronte a questo effettivo disagio non c’è da stupirsi che molti spettatori si mettano sulla difensiva puntando il dito contro una pessima CGI (forse non allo stato dell’arte ma tutt’altro che pessima), buchi di trama arbitrari e presunti tecnicismi mancati. Eternals non è un film perfetto, una caratteristica che condivide con una miriade di altri film vincitori di Oscar e del plauso di critica e pubblico. È un film con un’anima dolce, aggressiva, ora contradditoria, ora saldamente coerente. Una caratteristica che condivide con la totalità dei suoi spettatori. Ma nessuno ci insegna a recensire l’anima e per questo ancora adesso non sappiamo recensire Eternals.
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