
Watchmen: premesse, promesse e conclusioni
È andata in onda stanotte su Sky Atlantic in contemporanea con gli Stati Uniti la nuova serie HBO Watchmen, basata sulla pluripremiata graphic novel omonima di Alan Moore e Dave Gibbons pubblicata dalla DC Comics nel 1986. A trasporla sullo schermo televisivo troviamo la penna e la direzione artistica di Damon Lindelof, già sceneggiatore e produttore di Lost, il quale ambienta la serie in un presente alternativo ma tangibilmente possibile.
Già dal primo episodio è chiaro che, come vorrebbe Rorschach, non c’è spazio per il compromesso: Watchmen, come del resto il materiale di partenza, è un prodotto dalle tematiche sfacciatamente politiche, dove il ricorso ai personaggi mascherati è totalmente funzionale a una narrazione schietta e sincera delle contraddizioni sociali americane, una su tutte il razzismo. A queste si aggiungono ulteriori tematiche di contorno che arricchiscono il contesto mitologico della serie con elementi inediti, sebbene non del tutto imprevedibili, che promettono di portare i personaggi di Moore e Gibbons (con buona pace del primo) in contesti, ancora una volta, polemici e provocatori; contesti che vi riassumiamo nelle seguenti categorie:
Premesse:
- Come già anticipato, Watchmen si svolge in un presente alternativo, dove un non ancora apparso ma già menzionato Robert Redford (esatto, quel Robert Redford) interpreta sé stesso come possibile presidente degli Stati Uniti d’America. Sono Stati Uniti con molte più stelle alla propria bandiera e contraddistinti da una politica, almeno interna, progressista e liberale.
- Per chi ancora non lo sapesse, Watchmen è la diretta continuazione non del film di Zack Snyder di dieci anni fa, ma del fumetto. Bisogna ringraziare per questo anche un eccellente comparto agli effetti visivi per aver reso, ad esempio la pioggia di calamari alieni così bene, rimando alla vittoria di Ozymandias del fumetto; o ancora il design di Archimede, il velivolo di Gufo Notturno, praticamente identico a quello di Gibbons.
- C’è una precisa volontà iconoclasta verso una certa rappresentatività tradizionale americana: in particolare nei primi minuti dell’episodio c’è un preciso attacco a Birth of a Nation di Griffith del 1915, o se non attacco comunque un polemico ribaltamento.

Promesse:
- Fin dal primo quarto d’ora, pertanto, si evince la direzione che prenderà l’intera serie: Lindelof vuole affrontare la questione razziale, ribaltando quasi tutti gli stereotipi narrativi tradizionali. Siamo quindi abbastanza sicuri che i successivi episodi conterranno riferimenti antropologici ancora più diretti alla società americana, in particolare quella conservatrice ma non solo.
- La musica, ancora una volta, giocherà un ruolo essenziale. Al di là della bravura del compositore Trent Reznor, che ci regala un tema di Sister Night (la protagonista interpretata da Regina King) incalzante e di qualità, non manca la scelta di chiamare ogni episodio con dei versi di canzoni classiche americane. Il titolo del primo episodio ad esempio, It’s Summer and We’re Running Out of Ice, proviene dalla canzone Pore Jud is Daid del musical Oklahoma.
- Nuovi e ben studiati personaggi affrontano e approfondiscono l’eredità lasciata dal fumetto e dai personaggi originali, dalla già menzionata Sister Night fino all’interessantissimo Looking Glass interpretato da Tim Blake Nelson, una sorta di Cal Lightman in chiave mooriana.

Conclusioni:
- Il primo episodio di Watchmen può essere riassunto in una sola parola: intelligenza. C’è molta intelligenza, intesa come capacità architetturale d’immaginazione, nei suoi quasi sessanta intensi minuti. Il mondo post-Watchmen è costruito minuziosamente in ogni possibile dettaglio e già questo, al di là del buon lavoro attoriale, merita assolutamente la visione.
- Non tanto i dialoghi quanto le situazioni, ovvero gli scontri tra personaggi e contesto, sono il vero cuore della serie. In questo episodio ne menzioniamo almeno due da applauso: il career’s day a scuola e l’interrogatorio di Looking Glass.
- A visione conclusa sorge però una perplessità: almeno per ora sembra mancare alla serie quella sottilissima patina naif che contraddistingueva non solo il fumetto ma anche il tanto discusso film di Snyder. È forse per via di questa mancanza di elemento di contrasto che la serie appare forse un po’ meno cruda di quanto fosse lecito aspettarsi, ma rimandiamo il giudizio definitivo a serie conclusa.

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